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I farmaci intelligenti vanno dritto al bersaglio

Agiscono bloccando ingranaggi vitali per le cellule malate e stanno aprendo scenari di cura sempre più entusiasmanti. Ecco a che punto siamo

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«Come può la freccia fare centro se non hai chiaro qual è il bersaglio?». Lo sapeva bene Tetsuya, l’abile arciere protagonista del racconto Il cammino dell’arco di Paulo Coelho. E lo sanno bene anche i ricercatori dell’Irccs Istituto di Candiolo alle porte di Torino, che collaborando a un grande studio internazionale, pubblicato su Nature, hanno identificato un nuovo target da colpire per combattere il tumore del colon. «Si chiama Wnr ed è una proteina essenziale per la crescita di un particolare sottogruppo di tumori, quelli di tipo Msi, cioè caratterizzati da instabilità dei microsatelliti, piccole porzioni ripetute di Dna ad alto rischio di mutazione: rappresentano il 10% dei tumori del colon», spiega Livio Trusolino, professore di istologia alla facoltà di medicina dell’Università di Torino. «Con i nostri esperimenti abbiamo dimostrato che la disattivazione di Wnr permette di arrestare o addirittura far regredire questi tumori: un risultato che ha già suscitato la curiosità di molte aziende interessate a sviluppare nuovi farmaci contro Wnr».


Le conquiste nella cura del melanoma
Preparare le “frecce” migliori per colpire il bersaglio molecolare in modo mirato: ecco il principio della medicina di precisione, che negli ultimi 20 anni ha letteralmente stravolto le cure in oncologia con i suoi farmaci intelligenti.

Sono anticorpi o piccole molecole di sintesi che agiscono selettivamente bloccando “ingranaggi” vitali per la cellula malata, come fattori di crescita o recettori di membrana. I risultati più significativi si sono ottenuti nella lotta al melanoma, e non è un caso che gli esperti parlino di “effetto Lazzaro”. «Circa la metà dei pazienti presenta una mutazione del gene Braf contro cui abbiamo terapie mirate che inducono la regressione della malattia nell’80-90% dei casi», afferma Armando Santoro, direttore di Humanitas Cancer Center. «Uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine ha poi dimostrato che i farmaci anti-Braf combinati con quelli diretti contro la proteina Mek permettono di raggiungere un tasso di sopravvivenza a 5 anni pari al 35-40%, un risultato inimmaginabile fino a qualche anno fa».

Anche il tumore del polmone, in un caso su dieci (soprattutto nei non fumatori), presenta mutazioni che possono essere colpite in modo mirato con terapie ben tollerate che allungano la vita migliorandone anche la qualità. «Contro le mutazioni più frequenti, abbiamo farmaci orali specifici che garantiscono un altissimo tasso di risposta (pari al 70-80%) e che hanno quasi quadruplicato la sopravvivenza dei pazienti rispetto alla sola chemioterapia», ricorda Santoro. Spesso è proprio la combinazione della vecchia chemio con i nuovi farmaci intelligenti a garantire una maggiore efficacia, come nel caso del tumore del colon-retto metastatico. «Grazie all’aggiunta di specifici anticorpi monoclonali, si possono guadagnare anche 6-8 mesi di sopravvivenza», precisa l’esperto di Humanitas. Chemio e farmaci a bersaglio possono essere usati insieme per aumentare le probabilità di guarigione definitiva, come accade nelle donne con tumore della mammella Her2 positivo. «In una paziente su quattro si usa trastuzumab, che storicamente è stato il primo anticorpo monoclonale introdotto in oncologia: usato nel 25% dei casi, ha notevolmente migliorato anche la prognosi della malattia metastatica», spiega Santoro.


I risultati con le malattie autoimmuni

Vent’anni di successi contro i tumori, ma non solo. Risultati altrettanto importanti sono stati ottenuti anche nel campo delle malattie autoimmuni croniche, come l’artrite reumatoide. «Era la fine degli anni Novanta quando venivano introdotti i primi farmaci biotecnologici diretti contro una delle più note molecole proinfiammatorie, la citochina Tnf-alfa», ricorda Carlo Selmi, responsabile di reumatologia e immunologia clinica di Humanitas e docente di Humanitas University.

«Oggi, invece, abbiamo farmaci biologici con diversi meccanismi d’azione per quasi tutte le malattie reumatiche: alcuni sono già disponibili in clinica, altri sono in fase di sperimentazione». Indicati per quei pazienti che non riescono a tenere sotto controllo la malattia con le terapie tradizionali, i farmaci biologici possono essere somministrati con iniezioni endovenose o sottocutanee. Particolarmente cari (la terapia per un paziente con artrite reumatoide può costare anche 20mila euro all’anno), sono interamente pagati dal Servizio sanitario nazionale.

«L’Italia, tra l’altro, è tra i Paesi con la migliore accessibilità a queste terapie innovative costose», rileva Selmi. «Il loro utilizzo ha davvero rivoluzionato la gestione del paziente e l’andamento nel tempo della malattia: oggi permettono una vita del tutto normale alla gran parte dei pazienti». L’apripista è stata l’artrite reumatoide con farmaci mirati a bloccare i “messaggeri” dell’infiammazione, come il Tnf-alfa e l’interleuchina 6 (Il-6). Poi è arrivato il turno della psoriasi che, in un paziente su quattro si accompagna anche ad artrite, malattia con cui condivide diversi bersagli terapeutici comuni come Tnf-alfa, Il-17 e Il-23. «Da qualche anno - ricorda Selmi - abbiamo anche un anticorpo monoclonale specifico per il Lupus eritematoso sistemico (Les)», che oggi è disponibile sotto forma di penna pre riempita per la somministrazione sottocute, in modo da non dover ricorrere al day hospital per l’infusione come accadeva fino a pochi mesi fa. Migliora la vita anche per molti pazienti che soffrono di malattie infiammatorie intestinali, come il morbo di Crohn. Un recente studio pubblicato su Gastroenterology dal gruppo di Silvio Danese di Humanitas, per esempio, ha dimostrato che l’anticorpo monoclonale vedolizumab favorisce la guarigione della mucosa intestinale se viene usato fin dalle prime fasi della malattia.


Utili anche per le patologie della pelle
Ma le buone notizie non si fermano qui. «Ormai abbiamo farmaci biologici per combattere anche malattie dermatologiche come la dermatite atopica, e alcuni di questi sono efficaci perfino nelle forme di asma grave: ciò accade perché malattie diverse possono condividere meccanismi molecolari comuni», afferma Selmi. Può succedere perfino che un anticorpo utilizzato contro l’artrite, chiamato canakinumab, risulti capace di ridurre il rischio di recidiva dell’infarto, come dimostrato un paio di anni fa dal grande studio Cantos, pubblicato sul New England Journal of Medicine. È probabilmente troppo presto per pensare che un’iniezione possa salvarci il cuore, ma quello che è certo è che la ricerca scientifica sta continuamente riempiendo la “faretra” dei medici con frecce di precisione da scoccare contro ogni genere di malattia. «A breve saremo in grado di dire quale paziente potrà rispondere meglio a quale farmaco: questo ci permetterà di cucire su misura terapie sempre più personalizzate, in modo da offrire il farmaco giusto alla persona giusta», conclude Selmi.


Ci si può fidare dei biosimilari?

Levata di scudi contro l’intenzione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di rendere possibile la sostituibilità automatica (“switch”) dei farmaci biotecnologici con i loro biosimilari, analoghi per qualità, efficacia e sicurezza, ma meno costosi perché non soggetti a brevetto. La proposta, inviata al Ministero della Salute, è stata contestata da molti. «I dati disponibili in letteratura sono rassicuranti: i pazienti che rispondono al farmaco originale e poi passano al biosimilare continuano a rispondere bene. Quello che però ancora non sappiamo - sottolinea Carlo Selmi, responsabile di reumatologia e immunologia clinica di Humanitas – è cosa può accadere se il farmaco viene sostituito in modo automatico dal farmacista in base alle disponibilità e non alla prescrizione del medico o, addirittura, in caso di cambiamenti continui che potrebbero avvenire per esempio con le gare d’acquisto».


Le fake news sulla pericolosità dei farmaci biologici

Non è vero che i farmaci biologici usati in reumatologia aumentino il rischio di cancro: la “bufala” che circola sul web e sui social può essere facilmente smascherata, come ricorda il sito dell’Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare (Apmarr). Basta leggere i registri che monitorano i pazienti a lungo termine in Italia ed Europa e i grandi studi osservazionali degli ultimi 15 anni: i dati indicano che l’incidenza del cancro nei pazienti in terapia con farmaci biologici è simile a quella della popolazione generale; il rischio non aumenta neppure per le persone con una storia di tumore che vengono poi avviati alla terapia con i biologici.


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Articolo pubblicato sul n. 52 di Starbene in edicola dal 10 dicembre 2019

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