Il nome non deve trarre in inganno. I farmaci biologici non sono terapie naturali, né hanno a che fare con il mondo del bio che tutti conosciamo. Si tratta piuttosto di molecole bio-ingegnerizzate che vengono ottenute a partire da sistemi viventi (cellule di origine umana oppure animale, microrganismi o lieviti), “costretti” in laboratorio a riprodurre alcune sostanze dell’organismo, come anticorpi, ormoni o recettori, rendendole attive contro un determinato bersaglio.
«Si tratta di un campo in continua evoluzione, soggetto a incessanti revisioni e novità», spiega la professoressa Amelia Filippelli, ordinario di Farmacologia presso l’Università di Salerno ed esperta della Società Italiana di Farmacologia. «Ad esempio, fino a un paio di anni fa, per farmaci biologici si intendevano unicamente delle proteine, mentre oggi la definizione si allarga anche ai vaccini a mRna messaggero, come quelli anti-Covid, che sfruttano solo un pezzetto di Rna, quello che fornisce all’organismo il manuale di istruzioni per produrre frammenti di proteine virali, come se ci fosse un’infezione in corso, affinché il sistema immunitario possa poi produrre anticorpi specifici».
Che cosa sono i farmaci biologici
Figli di sofisticate tecniche di ingegneria genetica, i farmaci biologici hanno strutture molto più complesse e voluminose rispetto a quelli chimici e stanno alla base della cosiddetta target therapy, perché agiscono selettivamente contro un bersaglio molecolare.
Per esempio, in campo oncologico, i primi a essere apparsi sulla scena terapeutica sono stati l’imatinib, che ha cambiato radicalmente le prospettive di cura per i pazienti colpiti da leucemia mieloide cronica, e il trastuzumab, diventato la punta di diamante per quelle donne il cui tumore al seno esprime una proteina chiamata HER2 (circa un caso su quattro). «I primi farmaci biotecnologici erano in grado di interagire solo con “bersagli” presenti all’interno del sangue. Per esempio, l’imatinib di cui parlavamo prima è in grado di legare il TNF alfa, una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica, presente nel sangue. Attualmente, invece, questi farmaci sono in grado anche di interagire con alcuni recettori presenti sulla superficie cellulare e addirittura di legarsi a determinati carrier, cioè proteine che le trasportano all’interno delle cellule e le aiutano ad attraversare barriere altrimenti complesse da valicare».
È il caso di quella emato-encefalica, il “filtro” che limita il passaggio di cellule e molecole dal sangue al sistema nervoso centrale: «Questo ha acceso le speranze per una malattia come l’Alzheimer, finora del tutto priva di trattamenti efficaci», commenta la professoressa Filippelli. «Purtroppo, i farmaci a oggi utilizzati riescono ad attraversare questo ostacolo fisiologico e vanno a interferire con la degradazione dell’acetilcolina, ma agiscono solo sui sintomi. Il vantaggio di quelli biologici invece è la capacità di arrivare all’origine del problema, perché cercano di contrastare la formazione di placche amiloidi e la comparsa di quei grovigli neurofibrillari che danneggiano i neuroni, distruggendo l’encefalo e le sue funzioni».
Quali sono gli effetti collaterali dei farmaci biologici
Pur provenendo da una fonte biologica, questi farmaci possono indurre degli effetti collaterali, spesso gravi: «Il più frequente è l’immunogenicità, ovvero la capacità di indurre una reazione immunitaria nell’organismo, che può essere banale come orticaria e prurito, ma anche grave come una reazione anafilattica. Per fortuna, però, le più gravi avvengono molto precocemente, durante l’infusione, e quindi possono essere facilmente contrastate. Un altro rischio è quello legato all’immunosoppressione con il rischio di infezioni severe, tra cui la riattivazione della tubercolosi in pazienti che la presentano in forma latente», descrive l’esperta. «Talvolta poi, nel caso degli anticorpi monoclonali, si può addirittura arrivare alla produzione di anticorpi anti-farmaco, detti ADA, che riducono l’efficacia della terapia».
Quali sono i benefici
Il vantaggio dei farmaci biologici è la possibilità di “riprogrammare” anticorpi (ma non solo) per renderli capaci di riconoscere come aggressori le strutture malate – come nel caso delle cellule tumorali – oppure le proteine coinvolte nel processo patologico, agendo direttamente su queste senza danneggiare cellule o strutture sane. «La precisione di cura ha aperto nuove prospettive di trattamento contro diverse forme di tumore, malattie autoimmuni e patologie infiammatorie croniche dell’intestino», elenca la professoressa Filippelli. «Facendo due conti, oggi i farmaci biologici rappresentano il 20 per cento delle nuove sostanze immesse in commercio negli ultimi anni e addirittura il 50 per cento di quelle che sono oggetto di studio. A renderli così interessanti è anche la loro possibile applicazione nel campo delle malattie rare, spesso di origine genetica e legate al mancato funzionamento, ad esempio, di un enzima: ecco, i farmaci biologici sono in grado di andare a sostituire quell’enzima o di stimolarne la produzione. Insomma, non curano i sintomi ma cercano di correggere la causa che sta alla base della patologia».
Come vengono somministrati
A differenza dei farmaci tradizionali, quelli biologici non possono essere somministrati per via orale perché il tratto gastrointestinale rappresenta un ambiente ostile per queste formulazioni, che lì verrebbero degradate. Pertanto, al momento, vengono somministrati per via sottocutanea oppure per via endovenosa o intramuscolare.
«Spesso, per esempio in ambito oncologico, vengono associati a farmaci di vecchia generazione, perché si è visto che la terapia combinata è più efficace della monoterapia». Per fortuna, i progressi compiuti nel campo della farmacoterapia sono evidenti: «Ma dobbiamo sempre tenere alta l’attenzione sui possibili rischi legati all’uso dei farmaci», tiene a precisare la professoressa Filippelli, che conclude: «Ecco perché sono importanti congressi nazionali come quello della Società Italiana di Farmacologia, che si terrà a Roma dal 16 al 19 novembre 2022 e tratterà tanti temi, anche quelli meno convenzionali, come la farmacologia di genere, la medicina personalizzata, la farmacogenetica, fino alla povertà farmaceutica. Perché non dobbiamo mai dimenticare che il diritto alla salute dovrebbe essere uguale per tutti gli uomini e le donne, a qualsiasi latitudine».
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