Costano meno e sono uguali a quelli di marca: lo dice la legge. Ma allora perché i farmaci generici (o equivalenti) ancora non sfondano? Di tutti i medicinali venduti in Italia solo il 17% è fatto di "non griffati", contro una media europea del 50%. Non solo: secondo un’indagine realizzata dall’Istituto di Ricerca Medi-Pragma, ben 2 medici su tre continuano a essere scettici verso gli equivalenti, diversi farmacisti sono convinti che questi prodotti non siano tutti uguali, un over 65 su due preferisce continuare a utilizzare i farmaci griffati, spingendosi a spendere fino a 4,60 euro in più pur di avere il "suo" medicinale. Insomma: i generici convengono davvero oppure sono solo un modo per lo Stato di risparmiare sulla nostra pelle in ossequio alla spending review? Abbiamo chiesto aiuto a due esperti come Carlo Gargiulo, medico di medicina generale a Roma e Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società italiana di medicina generale.
Li chiamano equivalenti, ma lo sono?
«Sì. Per essere considerati bioequivalenti, la legge impone che i farmaci generici debbano avere la stessa forma, le stesse indicazioni terapeutiche e lo stesso tipo e quantità di principio attivo dei medicinali di marca», spiega Brignoli.
È vero che un generico e un "griffato" possono essere diversi anche del 20%?
«No: i due farmaci sono uguali», assicura Brignoli. «La differenza possibile, prevista dalla legge, sta in uno scarto (il 20% in eccesso o in difetto appunto) nella biodisponibilità, cioè nella presenza di principio
attivo nel sangue dopo che il farmaco è stato assorbito dall’organismo. Questa differenza, però, dipende solo dal fatto che ogni paziente risponde in modo diverso a un medicinale: per le sue abitudini alimentari, per esempio, per la conformazione fisica, o magari perché quel giorno il suo organismo reagisce in modo particolare». Ed è una differenza, questa, che può esistere anche fra due medicine di marca.
È possibile che chi è abituato a prendere un farmaco di marca, solo per il fatto di passare a un generico possa convincersi che sia meno efficace, o che possa dare degli effetti collaterali che prima non c’erano?
«Sì, è possibile», dice il dottor Ovidio Brignoli. «Il cosiddetto effetto placebo può indurre a pensare che una terapia non stia funzionando nello stesso modo di sempre solo perché si è cambiato medicinale. Ma l’efficacia del farmaco non c’entra nulla, tanto che ciò può accadere anche tra farmaci di marca. Mi è anche capitato, nella pratica medica,
di avere pazienti che si lamentavano del mal di testa, sicuri che questo effetto collaterale dipendesse dal generico che avevo loro prescritto. A quel punto ho fatto fare tutti i test necessari per verificare cosa non andasse bene: alla fine non ho mai scoperto nulla di collegabile a un problema del medicinale generico in quanto tale».
Se sono uguali, perché sulla confezione dei generici la composizione talvolta è diversa da quella dei "griffati"?
«Solo perché la legge accetta che due farmaci, pur avendo lo stesso principio attivo, possano contenere eccipienti diversi, cioè quelle sostanze che servono per facilitarne l’assunzione, garantirne la
conservazione, renderli più gradevoli», dice il dottor Carlo Gargiulo.
Ma eccipienti diversi rendono il farmaco generico meno efficace? E magari bisogna anche prenderne di più, per avere gli stessi effetti?
«No», continua Gargiulo. «Perché gli eccipienti sono sostanze inerti, cioè prive di efficacia terapeutica,
e dunque non in grado di migliorare le prestazioni del principio attivo».
Non sarà che lo Stato, per risparmiare, ci spinge a usare farmaci di serie B?
«No, e la prova sta nel fatto che la differenza di costo tra il generico e il griffato la paga il paziente, non certo il Servizio sanitario nazionale», spiega Gargiulo. «Alle casse dello Stato il generico è utile per stabilire il prezzo di riferimento dei farmaci, che viene fissato nella tariffa più bassa del medicinale generico più economico».
Ma perché i generici costano così poco rispetto ai griffati?
Il prezzo basso dipende dal fatto che la casa farmaceutica non ha dovuto sostenere le spese della ricerca (spesso molto alte) toccate invece a chi aveva prodotto per primo il medicinale di marca.
Perché certi medici sono scettici?
«I medici di medicina generale sono da sempre un po’ pigri nei confronti dei generici», commenta il dottor Carlo Gargiulo. «Proprio come accade al paziente, anche il medico può essere portato a pensare: ma se mi trovo bene da sempre con quel determinato farmaco griffato, perché mai dovrei cambiare? Così, non di rado, la scelta finale è lasciata spesso alla volontà dei pazienti»
Ma qualche difetto c’è...
● Eccipienti: attenta se sei allergica. «Il fatto che gli eccipienti possano cambiare diventa un problema quando il paziente è allergico o anche solo intollerante a diversi tipi di sostanze», spiega il professor Francesco Scaglione, farmacologo e membro del gruppo di studio della Società italiana di farmacologia sui medicinali equivalenti. «Accade con i diabetici, i celiaci, gli intolleranti al lattosio, gli allergici ai sulfamidici, i fenilchetonurici e, soprattutto, gli allergici in generale». Il medico, in questi casi, deve usare ancora più attenzione. Alla fine è spesso impossibile sostituire il farmaco di marca.
● E poi ci sono i pazienti anziani: «Sostituire un farmaco di marca con uno generico, in questo caso, è una scelta che va molto ponderata, caso per caso. Cambiare un medicinale che funziona bene in un paziente cronico può provocare importanti variazioni nel suo assorbimento. Non solo: il farmacista può vendere anche generici di ditte diverse, nel corso del trattamento. Ciò può confondere il paziente anziano, aumentando il rischio di errori nell’assunzione della terapia», avverte il professor Francesco Scaglione.