di Flora Casalinuovo
Il titolo parla da solo: Non volevo morire vergine è libro di Barbara Garlaschelli (Piemme), che uscirà in libreria il 28 marzo. Quattro parole nette che sono riecheggiate migliaia
di volte nella mente dell’autrice, in carrozzina per un incidente da quando aveva 15 anni, l’età dei primi batticuori e delle scoperte sessuali.
Una frase risuonata nel cuore degli oltre 3 milioni di italiani (dati Istat) che convivono con una disabilità fisica o mentale. Più di due milioni hanno tra i 15 e i 60 anni, un arco di tempo in cui desiderio e sessualità dovrebbero far parte della vita. Ma per queste persone non è così.
Nell’immaginario collettivo i portatori di handicap, soprattutto se con deficit cognitivi, sono asessuati e accostare le loro patologie a termini come piacere e orgasmo sembra un’eresia.
INTORNO SPESSO C’È IL DESERTO
«Tante persone si riconosceranno nella mia storia e spero che il romanzo serva a rompere il muro d’omertà che circonda l’argomento», esordisce Barbara Garlaschelli. La scrittrice ha un marito che adora, ma ricorda ancora la sofferenza della sua educazione sentimentale.
«Per quelli come me, il corpo è il colpevole, il nemico, è impossibile pensare che possa dare gioia. Poi scatta una specie di richiamo ancestrale. Io ho scoperto di piacere all’altro sesso e ho iniziato un percorso.
La prima volta? A 28 anni con un caro amico. È stato bello, ma non facile: lui temeva di farmi male, io mi vergognavo perché ho bisogno di aiuto anche solo per spostarmi sul letto. Da lì non sono più tornata indietro: ho amato e sofferto, sentendomi sempre sola.
La famiglia mi ha aiutato, ma intorno avevo il deserto. E so che è ancora così. Mi scrivono tantissimi disabil e sono storie di dolore e solitudine. Trovo disumano che nel 2017 un genitore debba aiutare il figlio a masturbarsi o ad andare da una prostituta».
INIZIA A FIORIRE QUALCHE INIZIATIVA
Eppure, gli esperti assicurano che qualcosa è cambiato, anche se la strada è lunga. «Negli ultimi anni c’è maggiore sensibilità. Certo, si tratta di iniziative ideate da associazioni e cooperative, nulla a livello istituzionale», spiega Maria Cristina Pesci, psicoterapeuta e sessuologa di Aias Bologna, una delle onlus più attive nel campo.
«Noi puntiamo su corsi di formazione aperti ai disabili, ai loro familiari e agli operatori (psicologi, educatori e assistenti sociali) per renderli consapevoli di cosa vuol dire vivere la sessualità anche in condizioni di handicap fisici o mentali.
Funzionano bene i gruppi di ascolto: un esperto aiuta i disabili a confidarsi, parla di contraccezione e desiderio, risponde alle paure e propone storie positive che facciano da modello. È fondamentale insegnare a questi ragazzi come esprimere gusti e bisogni sessuali e come invece sottrarsi alle attenzioni che non vogliono, soprattutto se hanno dei deficit cognitivi.
Bisognerebbe creare anche degli spazi a misura di intimità, adatti a metterli nelle giuste condizioni per poter vivere in modo discreto un contatto fisico: non dimentichiamo che spesso i disabili vivono in famiglia o in strutture in cui la privacy è limitata».
SERVE UNA NORMATIVA AD HOC
Progetti e aiuti concreti, quindi, si contano sulle dita di una mano. Lo sa bene Max Ulivieri, 47 anni e una malattia rara che lo ha costretto sulla sedia a rotelle. «Nl 2013 ho fondato il Comitato per l’assistenza sessuale alle persone con disabilità (lovegiver.it). Da allora mi batto perché ci venga riconosciuto questo diritto», racconta Max.
«Nel 2014 ho presentato in Parlamento un progetto di legge per il riconoscimento dell’assistente sessuale, una figura specializzata, che aiuta fisicamente e psicologicamente i disabili ad approcciarsi all’affettività (vedi qui di seguito). La norma non è nemmeno stata calendarizzata.
Qualche settimana fa è stato proposto un disegno di legge molto simile. Temo che farà la stessa fine. Intanto, mi sto muovendo con le Regioni per chiedere di sperimentare questa figura, ma anche qui incontro un po’ di resistenza».
Max, però, non si dà per vinto: «Ho organizzato 32 corsi per operatori e 67 convegni in tutta Italia: i disabili hanno bisogno di essere ascoltati e supportati e noi lo facciamo con psicologi ed educatori esperti.
Ora proseguo formando i primi assistenti sessuali: un avvocato mi ha spiegato che senza normativa si rischia l’accusa di avviamento alla prostituzione. Ma non mi fermo e voglio vedere se qualche giudice avrà il coraggio di contestarmi».
COS'È L'ASSISTENTE SESSUALE
Un professionista (uomo o donna) formato, iscritto a un albo, che aiuta i disabili ad approcciarsi al sesso. Ecco cosa fa l’assistente sessuale o sex surrogate: niente prestazioni sessuali, dunque, ma supporto fisico e psicologico e tanti consigli. All’estero sono già molto diffusi.
In Svizzera hanno un diploma e devono seguire un codice etico, in California si trova la sede dell’associazione che riunisce le figure di tutto il mondo, mentre in Olanda le loro prestazioni sonoaddirittura rimborsate dal servizio sanitario nazionale.
IL GRUPPO DEI DESIDERABILI
DesiderAbili è un nuovo progetto che riunisce disabili e non, con sede a Verona e uno slogan molto chiaro: “siamo abili nel provare e nel suscitare desiderio sessuale. E nel saperlo soddisfare!”.
Il gruppo è attivissimo sui social e nella realtà lancia iniziative, progetti fotografici, cineforum e seminari e il riuscitissimo “DesiderAbilia-il party del desiderio”, una festa con musicisti e artisti per conoscersi e abbattere tutte le barriere.
PRESTO IN LIBRERIA
Non volevo morire vergine (Piemme, 17 €) è il romanzo autobiografico di Barbara Garlaschelli: rimasta paralizzata a 15 anni, trascorre la giovinezza nella paura di rimanere a digiuno di tutte le esperienze di vita, a partire dal sesso.
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Articolo pubblicato sul n. 14 di Starbene in edicola dal 21/03/2017