Qual è l’ultima cosa che hai mangiato? Una barretta di cereali, un frutto, un gelato, una granita antiafa o un caffè con lo zucchero di canna? Qualunque sia la risposta, è molto probabile che tu abbia ingerito una molecola tuttofare, di quelle onnipresenti che si ritrovano un po’ dappertutto: il glucosio. E si presume che, in seguito alla sua assunzione, nel tuo organismo sia partito una specie di ottovolante, con improvvise curve glicemiche, picchi vertiginosi e, al culmine della salita, ecco che inizia una discesa altrettanto ripida. Sì perché il glucosio non è quasi mai stabile. Ama i “saliscendi”, i continui up and down che prima o poi ti faranno perdere la salute.
Perché questo zucchero, già presente in natura (frutta, miele, amidi dei cereali e delle patate, legumi, manioca, barbabietola, ecc), viene addizionato in un’infinità di prodotti industriali: in scatola, vetro o barattolo, in quelli da forno, e persino in molti farmaci che non si fanno mancare una punta di sciroppo di glucosio per “addolcire la pillola”.
Come utilizzarlo in modo intelligente? Ce lo spiega la dottoressa Jessie Inchauspé, autrice del bestseller La rivoluzione del glucosio (Vallardi Editore, 16.90 €).
Com’è riuscita a monitorare gli effetti generati dal glucosio?
Premetto che io sono una chimica e ricercatrice, non un medico. Perciò mi interessa studiare l’azione biochimica delle molecole e i loro riflessi sulla salute. In questo caso, ho voluto mettermi alla prova: ho indossato per 15 giorni un CGM (Continous Glucose Monitoring), uno degli ultimi dispositivi per la rilevazione costante della glicemia, che oggi i diabetici utilizzano al posto dei classici pungidito. Con un ago sottile un’infermiera mi ha posizionato un microelettrodo 3 mm sotto la pelle, nella parte posteriore del braccio. Poi ha sfilato l’ago, e il sensore è rimasto fisso a rilevare ogni piccola variazione della glicemia, legata all’assunzione o alla non assunzione del glucosio, permettendo di visualizzare in tempo reale la curva glicemica sul display del mio smartphone.
Ebbene: il tracciato emerso in quei 15 giorni era molto più movimentato di quanto mi sarei mai aspettata. Io stessa, che pure studio da anni questi argomenti, sono rimasta sorpresa di come la glicemia sia un’altalena continua. Se mangiavo i tachos con le amiche si impennava, ma dopo due ore crollava, per poi riprendere quota con l’immancabile caffè macchiato, una bibita gassata o un succo di frutta, anche senza zuccheri aggiunti.
È vero che gli up&down del glucosio si riflettono sul nostro umore?
Vero. La gente parla di picchi glicemici pensando che siano loro a combinare i guai. Ma non si rende conto che a ogni picco segue un abbassamento della glicemia, che è tanto più dannoso quanto più è repentino. A volte, dopo una megafocaccia farcita o una pizza seguita dal dessert, il suo valore registra un crollo verticale: in questo caso si parla di “ipoglicemia reattiva”. Una condizione che può diventare grave e che si accompagna ad ansia, palpitazioni, tremori, astenia profonda, sonnolenza, mal di testa e attacchi di fame nervosa. I picchi iperglicemici, invece, provocano nebbia mentale, senso di confusione e mancanza di concentrazione, gola secca e stimolo a bere. Insieme, picchi e contropicchi provocano un umore instabile, altalenante. E il bello è che, se dopo pranzo ci viene sonnolenza, combattiamo gli sbadigli al computer con altri caffè dolcificati. Ci hanno detto che “il cervello ha bisogno di zucchero” e che bisogna evitare il “calo degli zuccheri” di metà mattina o di metà pomeriggio mangiando una mela, un pacchetto di crackers o una barretta. Ma questi snack non fanno altro che far ripartire la giostra. Per avere una mente lucida e un umore stabile, con capacità di concentrazione, occorre appiattire la curva glicemica, stabilizzarla il più possibile.
Umore a parte, quali sono le conseguenze sulla salute dei picchi glicemici?
Disastrose. Tutti sappiamo che avere una glicemia alta porta al diabete, all’aumento di peso, all’ipertensione arteriosa e ai problemi cardiovascolari. Ma in realtà tutti i nostri apparati vengono interessati da una glicemia “ballerina”. Predispone alle patologie respiratorie, a quelle neurodegenerative come l’Alzheimer, ai reumatismi articolari, alle malattie della pelle (dall’acne alla psoriasi alla dermatite atopica), ai disturbi del ciclo, persino all’infertilità e alla cataratta precoce. La sindrome dell’ovaio policistico, che può causare amenorrea e difficoltà a restare incinta, è correlata ai livelli di glucosio nel sangue. Molto spesso basta dare la dieta giusta (dieta, non ormoni) per riequilibrare l’assetto ormonale e rimettere il ciclo in carreggiata.
Perché tutte queste patologie hanno a che fare con gli zuccheri? Perché i picchi glicemici provocano due fattori negativi: l’aumento dei radicali liberi, molecole impazzite che si attaccano a quelle sane per degradarle, e la glicazione, cioè il prodotto della reazione tra uno zucchero semplice, come il glucosio e il fruttosio, e una molecola proteica o lipidica. Da questa reazione biochimica, grassi e proteine ne escono malconci. Un danno irreversibile provocato proprio dagli zuccheri. Insieme, radicali liberi e glicazione creano un’infiammazione cronica che accelera i processi di invecchiamento in tutti gli organi. Ecco perché chi segue una dieta dolce ha più rughe e invecchia prima (anche il collagene, che altro non è che una proteina, viene glicato) ed ecco spiegato il legame tra eccesso di zuccheri e cataratta precoce.
Quali sono i valori ideali di glicemia?
L’American Diabetes Association (ADA) afferma che la glicemia a digiuno, misurata al mattino prima di colazione, dev’essere compresa tra i 60 e i 100 mg/dl; tra i 100 e 126 mg/dl indica il prediabete, cioè resistenza insulinica (quella situazione paradossale in cui l’insulina sale per cercare di metabolizzare l’eccesso di zuccheri ma più si alza, meno diventa efficace); sopra i 126 mg/dl è chiaro indice di diabete. La glicemia postprandiale, sempre secondo l’ADA, non dovrebbe superare i 140 mg/dl. I più recenti studi sostengono invece che il valore ideale della glicemia a digiuno debba essere compreso tra 72 e 85 mg/dl. Sopra gli 85 iniziano i problemi, come lo stress ossidativo, la glicazione e l’infiammazione “nascosta”. Quanto alla glicemia dopo pranzo, è facile sfiorare 180 o anche 200 mg/dl se si associa pasta, pane e frutta, cui segue magari un gelato, un budino, del vino o del liquore a fine pasto.
Con la dieta mediterranea e la classica colazione all’italiana, fatta di cappuccio, cornetto, fette biscottate e marmellata, stare entro il range del 140 mg/dl è un’utopia. Detto questo, chi dovrebbe misurare la glicemia? Tutti almeno due volte all’anno. Se poi sei in sovrappeso, con un girovita uguale o superiore a 100 cm per gli uomini e a 88 cm per le donne, misurare glicemia, insulina ed emoglobina glicata (la media dei livelli glicemici negli ultimi tre mesi) dovrebbe diventare una consuetudine: molte farmacie lo fanno e non serve la prescrizione. Se poi vuoi dimagrire, devi sapere che è impossibile perdere peso se prima non stabilizzi la glicemia e, di riflesso, l’insulina. Ci sono infiniti studi che dimostrano come il dimagrimento nei pazienti obesi sia sempre preceduto da un appiattimento della curva insulinica.
Come tenerla bassa? L’American Heart Association, che cura il peso per curare il cuore, dice che non bisogna superare i 25 g di zuccheri semplici al giorno per la donna e i 36 g per l’uomo. Ma è impossibile fare questi calcoli perché il glucosio e il fruttosio sono ospiti fissi di molti cibi. Basti pensare al saccarosio, il comune zucchero bianco da cucina, che è un disaccaride composto da una molecola di glucosio e una di fruttosio. Il suo uso è illimitato: dal caffè alla brioche, dallo yogurt alla frutta ai fiocchi di cereali. Per non parlare degli amidi, zuccheri a lunga catena che, una volta ingeriti, vengono scissi in maltosio e poi in glucosio, e del lattosio racchiuso in tutti i latticini destinato anch’esso a essere scomposto in glucosio e galattosio. Insomma, tenere una “tabella di marcia” del re degli zuccheri è impossibile. Meglio imparare i trucchi per rallentarne l’assimilazione.
Qualche strategia per rendere stabile la glicemia? Prima regola: sovverti l’ordine in cui mangi gli alimenti. La sequenza giusta?
Proteine, fibre, grassi (che possono essere assunti insieme), amidi e frutta per ultimi. Un esempio? Inizia con carne, formaggio, pesce e uova insieme a un piatto di crudité, verdure di stagione tagliate fini e non cotte perché la cottura intacca il loro patrimonio di fibre, che serve a rallentare l’assimilazione di zuccheri e il rilascio di glucosio nel sangue. Al limite si possono far saltare in padella o cuocere pochi minuti al vapore. Quale verdura? Tutta quella fibrosa va bene: spinaci, finocchi, radicchio rosso, indivia, sedano, porro, scorzabianca. E perché in autunno/inverno non provare con dei carciofi crudi tagliati a julienne che apportano ben 5,4 g di fibre all’etto? Si sposano con tutto e sono gustosi.
Per ultimo arrivano gli amidi: verranno assimilati di meno perché i cibi mangiati prima remano contro l’alfa-amilasi, l’enzima che li scinde in zuccheri semplici. Pasta e riso devono essere integrali. Ma l’integrale vero, con il chicco di grano “complet” che conferisce loro un colore scuro. La pasta va cotta al dente, perché così gli amidi si assimilano meno. Anche il pane va scelto con attenzione: un panino da 80 g deve contenere almeno 10 g di fibre. Per ultimo è il turno della frutta. Si dice che va assunta lontano dai pasti, come spuntino. Sbagliato. Va presa a fine pasto, come fosse un dessert. Con il mio CGM (misuratore di glicemia), ho visto la differenza tra mangiare dell’ananas da solo e alla fine di un pasto. Nel primo caso la glicemia volava oltre i 130 mg/dl, nel secondo caso veniva frenata da quanto assunto prima e restava sui 100 mg/dl. Due ore dopo la curva era già stabile.
Per gli italiani la prima colazione è un rituale importante. In cosa sbagliamo?
Nel puntare su alimenti ad alto carico glicemico. Guardiamo gli altri Paesi: in Norvegia il buongiorno si dà con del pesce affumicato o sotto aceto, e lo stesso si riscontra in Irlanda e in Scozia. In Inghilterra trionfano uova, bacon e salsicce, in alcuni paesi degli Stati Uniti non c’è colazione senza uova alla benedict, in Spagna e Francia ecco omelettes e tortillas, in Giappone l’insalata, in Turchia formaggio, carne e cetrioli. Non si inizia bene la giornata se si fa il pieno di zuccheri pensando di far benzina. Anche a colazione bisogna rispettare l’ordine indicato: prima le proteine, le fibre e i grassi, poi gli amidi e la frutta. Va bene, per esempio, iniziare con delle uova strapazzate, del prosciutto o dei cubetti di feta. Poi un gambo di sedano o una carota condita. Infine i cereali integrali (non i fiocchi che hanno un mare di glucosio aggiunto) e per ultimo un frutto.
Non bisogna mai far mancare una fonte di proteine e di grassi. Io suggerisco qualche fetta di prosciutto, l’avocado toast, i pancakes o il porridge di avena (che apporta 17 g di proteine all’etto), del pane di segale con del burro di arachidi o di mandorle al posto del miele o della marmellata che trasudano molecole di glucosio e di fruttosio. Il burro di arachidi, per esempio, fornisce 25 g di proteine per 100 g, mentre quello di mandorle 10 g di fibre. Chi non ama la colazione salata, e ha il “dovere” di assumere una fonte proteica, può ripiegare sul kefir o sullo yogurt magro. L’importante, come per tutti i pasti, è ricordarsi di tenere bassa la glicemia facendo dell’esercizio fisico dopo mangiato. Bastano 20 minuti di camminata a passo svelto per tenere alla larga i pericolosi picchi.
Odi il caffè amaro? Ecco le alternative
Il saccarosio, lo zucchero bianco, domina. Ma non pensare che lo zucchero di canna sia più salutare solo perché ha qualche minerale. Le alternative al glucosio? «Sconsiglio dolcificanti di sintesi ed edulcoranti quali l’aspartame, il maltitolo, il sucralosio e lo xilitolo: fanno impennare ugualmente la glicemia e hanno diverse controindicazioni», risponde Jessie Inchauspé. «Per dolcificare caffé, biscotti, dessert e torte, consiglio l’eritritolo, la stevia, l’allulosio o il monk fruit: naturale al 100%, viene estratto dall’omonimo frutto presente nel sud-est asiatico, ha zero calorie e un potere dolcificante 20 volte superiore al saccarosio».
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