Una ricerca svedese condotta su 8463 pazienti e pubblicata sull’International Journal of Dentistry ha dimostrato che i pazienti con protesi mobile totale hanno un’aspettativa di vita inferiore di circa 10 anni rispetto a chi è trattato con impianti dentali fissi su almeno un’arcata.
«Già prima di questo studio, l’esperienza empirica di molti odontoiatri aveva fatto sospettare che la qualità di vita offerta dalle protesi mobili fosse inferiore rispetto a quella garantita dai denti fissi», commenta il professor Mario R. Cappellin, professore a contratto di Ergonomia e Discipline Odontoiatriche all’Università di Modena e Reggio Emilia. «Per esempio, le protesi mobili non consentono di masticare tutti i cibi e quindi limitano la dieta, creano imbarazzo nelle relazioni sociali, fanno sentire più “anziani” e peggiorano il benessere generale. Lo studio svedese ha confermato quelle ipotesi».
Quali sono i motivi
Al momento, non è chiaro il fattore principale che giustifica i risultati dello studio. Al di là della migliore qualità di vita, della masticazione più efficace e del benessere psicologico che vengono offerti da una dentatura fissa, c’è chi accende i riflettori anche sulla deglutizione.
«Pare che questo gesto naturale, automatico, sia in grado di influenzare il ritmo cardiaco e addirittura di alterarlo», evidenzia il professor Cappellin. Per esempio, esiste una rara forma di tachicardia atriale indotta proprio dalla deglutizione, che viene più comunemente riscontrata negli uomini di mezza età con cuore e apparato gastrointestinale strutturalmente normali.
«Ecco perché avere una dentatura fissa, soprattutto nell’arcata inferiore che è strettamente coinvolta nel processo di deglutizione, potrebbe rappresentare un fattore predisponente positivo per l’aspettativa di vita: i denti fissi consentono di deglutire meglio e, a sua volta, la deglutizione permette al cuore di battere con regolarità», commenta l’esperto.
Rischio infiammazione
Un’altra ipotesi è legata al fatto che le protesi mobili totali, se non vengono pulite correttamente, possono causare infiammazione delle gengive e fornire una superficie favorevole alla colonizzazione da parte di microrganismi patogeni.
«Alla lunga, sopra e sotto la protesi si accumulano funghi e batteri che non soltanto irritano le mucose del cavo orale, ma possono anche “passare” nel sangue o lungo le vie aeree», tiene a precisare il professor Cappellin.
«A questo si somma il fatto che molti anziani provano vergogna a mostrarsi senza dentiera, per cui non la tolgono mai, neppure la notte se dormono con un’altra persona. Al contrario, le protesi mobili andrebbero rimosse durante il riposo notturno per evitare lo sviluppo di uno stato infiammatorio, che nei casi peggiori può evolvere verso lesioni cancerose o precancerose della bocca».
Cosa fare
Tutte queste riflessioni evidenziano l’importanza di non sottovalutare la condizione di edentulismo, perché avere denti fissi non rappresenta solo un “lusso” dal punto di vista estetico. «La masticazione è strettamente legata a funzioni vitali, come la digestione e la respirazione: la mancanza dei denti influisce negativamente su questi processi e può generare un effetto domino negativo, riducendo potenzialmente l’aspettativa di vita», riflette il professor Cappellin.
Eppure, secondo un rapporto pubblicato dall’ufficio europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità, un adulto su quattro ha perso almeno un dente. Solo in Italia, l’edentulismo si attesta al 12,9 per cento, cioè sono circa 6 milioni e 300 mila le persone sopra i 20 anni che non hanno denti o a cui ne restano al massimo otto sui trentadue complessivi.
Per porre rimedio al problema, da qualche anno si parla di implantologia, un’alternativa alle classiche protesi fisse o mobili che consente di ripristinare la piena funzionalità dell’apparato masticatorio: è soprattutto negli ultimi dieci anni che questa tecnica ha fatto passi da gigante in termini di strumenti e soluzioni innovative, per cui sempre più pazienti vi ricorrono con fiducia e successo.
Una soluzione efficace
Spesso si sente parlare di “rigetto” degli impianti da parte dell’organismo, ma si tratta di una terminologia poco corretta, che fino a qualche anno fa veniva associata alla mancanza di osteointegrazione per la scarsa qualità dei materiali utilizzati o per la poca esperienza di chi effettuava l’intervento.
«Oggi, invece, si parla più frequentemente di malattia perimplantare, legata all’insorgenza di eventi batterici», descrive il professor Cappellin. «Per evitare la possibile perdita di un impianto, infatti, è indispensabile seguire una corretta igiene orale, effettuare controlli periodici e attenersi alle indicazioni del dentista per favorire la completa guarigione».
L’importante è affidarsi a un professionista serio, esperto in implantologia e rigenerazione ossea. In aiuto vengono alcuni siti: Associazione nazionale dentisti italiani, Associazione italiana odontoiatri, Società italiana di chirurgia maxillo-facciale e l’Ordine dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri della propria provincia di residenza. Sui vari portali sono disponibili informazioni utili o, quanto meno, dei contatti generali a cui fare riferimento per ricevere consigli e indicazioni.
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