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Come funziona il nuovo farmaco contro l’Alzheimer

Il Lecanumab, questo il nome del principio attivo, interferisce con il metabolismo della beta-amiloide, la proteina che si deposita nel cervello e provoca la morte dei neuroni. Probabilmente non sarà il farmaco risolutivo per chi soffre di Alzheimer, ma rappresenta una tappa importante

Pixabay



Ha un nome difficilissimo il principio attivo che in questi primi giorni dell’anno sta catturando l’attenzione di pazienti malati di Alzheimer e dei loro familiari. Si chiama Lecanumab e se ne sta parlando per la sua attività contro l’Alzheimer, la malattia neurologica che gradualmente ma inesorabilmente sottrae i ricordi, l’identità, la capacità di parlare e di interagire con il mondo. Attualmente ne soffrono circa 35 milioni di persone nel mondo e 700mila in Italia, con  numeri destinati a crescere nei prossimi anni a causa dell’invecchiamento della popolazione.  


Che cos'è Lecanumab e come funziona

Lecanumab è un anticorpo monoclonale che si assume ogni due settimane per via endovenosa. A comunicarne i risultati è stato uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, e presentato alla comunità scientifica nel corso del congresso internazionale sulla malattia di Alzheimer di San Francisco negli Stati Uniti dello scorso dicembre.

Il principio attivo ha la capacità di interferire con il metabolismo della beta-amiloide, la proteina che per ragioni non ancora ben chiare si deposita nel cervello e provoca la morte dei neuroni. «Lecanumab è in grado di ridurre la deposizione della sostanza beta-amiloide», spiega Giacomo Koch, professore ordinario di fisiologia dell’università di Ferrara e Direttore del laboratorio di neuropsicofisiologia sperimentale, Fondazione Santa Lucia di Roma.

«Gli studi hanno dimostrato un buon vantaggio dal punto di vista statistico, ma non è certo che questo si traduca in un vantaggio clinico». In altre parole, gli aspetti positivi sono solo “sulla carta”, mentre nella pratica la storia clinica del malato di Alzheimer non cambierà molto.

Insomma, probabilmente non sarà questo farmaco a cambiare il destino di chi soffre di Alzheimer. Ma rappresenta una tappa importante. «Quando arriva una nuova molecola c’è sempre una grande attesa e lo abbiamo visto anche con Aducanumab, l’altro farmaco che ha un meccanismo analogo», chiarisce il professor Koch. «E questo genera facilmente aspettative che purtroppo non possono ancora concretizzarsi. Ma entrambi questi anticorpi monoclonali sono il risultato di una ricerca ventennale, che sta gradualmente iniziando a fornire le prime, parziali ma significative risposte». 


Gli altri principi attivi allo studio

Lecanumab e Aducanumab non sono le uniche molecole allo studio. I ricercatori si stanno concentrando anche sui principi attivi anti-tau, un’altra proteina coinvolta nei meccanismi della malattia, sulla neuroinfiammazione, sull’attività sinaptica, per citare solo alcuni dei filoni di ricerca attivi al momento. «Abbiamo compreso che l’Alzheimer è il risultato di più meccanismi che agiscono in concerto», conclude il professor Koch. «È una fase storicamente significativa, perché si comincia a intravvedere la terapia del futuro, un mix di più molecole con bersagli diversi».


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