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Declino cognitivo: un aiuto dalla metformina

Un farmaco comunemente usato per trattare il diabete ha dimostrato di rallentare l’invecchiamento cerebrale e preservare la cognizione in un recente studio cinese

Foto: iStock



Disponibile sul mercato sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, la metformina rappresenta tutt’oggi un farmaco di prima scelta per trattare il diabete di tipo 2. Da tempo, però, i ricercatori ipotizzano che i suoi benefici vadano ben oltre e si estendano ad altre condizioni cliniche, come il cancro e le malattie cardiovascolari.

Uno studio appena pubblicato su Cell suggerisce che la metformina a basse dosi potrebbe avere anche un potenziale uso anti-invecchiamento a livello cerebrale: la ricerca, condotta all’Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, ha coinvolto dei maschi di macaco, trattati quotidianamente con una bassa dose di metformina per oltre tre anni. La terapia prolungata ha prodotto benefici geroprotettivi sulle scimmie, che hanno mostrato non solo un rallentamento del declino cognitivo, ma anche un ringiovanimento cerebrale di circa 6 anni (equivalenti a 19,8 anni negli esseri umani). Come è possibile?

Come la metformina agisce sul cervello

«La metformina agisce su più fronti», spiega il professor Raffaello Nemni, responsabile della Memory Clinic del Centro Diagnostico Italiano. «A livello epatico riduce la glicogenesi, per cui il fegato produce meno zucchero e rende l’insulina in circolo più efficace. Inoltre, diminuisce l’assorbimento intestinale di glucosio e facilita il metabolismo lipidico e la produzione di acidi grassi a catena corta, che svolgono un effetto antiossidante».

Il nuovo studio cinese ha mostrato che la metformina attiva anche una proteina, chiamata NRF2, che prolunga la vita delle cellule perché le protegge dai danni causati dallo stress ossidativo e dalle infiammazioni. Questo meccanismo potrebbe spiegare perché le scimmie trattate hanno preservato meglio la loro funzione cognitiva, mostrando un cervello biologicamente più giovane.

C’entra l’asse intestino-cervello

«Lo studio richiama indirettamente l’ormai noto asse intestino-cervello, un’espressione con cui si indica la connessione bidirezionale fra l’apparato gastrointestinale e il sistema nervoso centrale attraverso meccanismi complessi», evidenzia il professor Nemni.

«Tra l’altro, seppure questa ricerca non ne faccia cenno, la metformina aumenta anche le cellule staminali circolanti, fondamentali perché servono a riparare i tessuti. Questo è prezioso a livello cardiovascolare, ad esempio, dove il farmaco favorisce la riparazione di eventuali danni vascolari». Non a caso, molti cardiologi prescrivono la metformina insieme alle statine per trattare una malattia aterosclerotica.


Metformina, basta una piccola dose

Attenzione, però: la metformina non è priva di effetti collaterali, come l’insorgenza di acidosi lattica, un malassorbimento di vitamina B12 e qualche disturbo gastrointestinale, come diarrea e meteorismo. «Nello studio cinese, però, il farmaco è stato somministrato a basse dosi, quindi gli effetti indesiderati sono minimi, se non nulli», tiene a precisare l’esperto.


Le implicazioni per il futuro

Questo studio apre nuovi scenari nel campo della ricerca per ritardare l’invecchiamento, anche a livello cerebrale, dove l’attenzione si sposta dal trattamento delle singole malattie croniche a un intervento sistemico. «L’importante è non aspettarsi l’arrivo di una strategia “miracolosa”, che deresponsabilizza da uno stile di vita corretto», conclude il professor Nemni. «La metformina, come qualunque altra molecola farmacologica, potrebbe rappresentare un valore aggiunto, ma solo se associata a una dieta equilibrata, a un adeguato livello di esercizio fisico e a stimoli sociali e ricreativi che favoriscano il benessere generale».


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