Intervista a Cristina Chirichella, la principessa del volley

Quasi due metri di eleganza. E di assoluta determinazione. Vera arma della capitana della nostra Nazionale: «Perché senza impegno e costanza, anche il più prezioso talento perde valore»



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Quando Cristina Chirichella arriva sul set, conquista subito tutti. Merito del sorriso radioso, delle parole garbate e dei modi regali con cui si presenta: non a caso è chiamata la “principessa” della pallavolo italiana.

Viso da bambola e fisico statuario, la centrale dell’Agil Volley Igor Novara, e capitana della Nazionale, non ha nulla da invidiare alle modelle: 193 cm di altezza non le tolgono nemmeno un briciolo di femminilità. Et voilà, dopo un velo di trucco e un colpo di spazzola, la 25enne campionessa napoletana (nel suo palmarès spiccano l’argento ai Mondiali 2018 e la Champions League vinta a maggio con il suo club) è splendida, pronta per l’obiettivo.

«All’inizio la macchina fotografica mi imbarazza. Poi però mi sciolgo: amo mettermi in gioco e affronto le piccole e grandi sfide con entusiasmo e grinta», racconta tra una posa e l’altra. Proprio il suo atteggiamento positivo e determinato, oltre alla stoffa e alla compostezza, le ha assicurato il ruolo di leader dell’Italvolley, che guiderà al torneo di qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (dal 2 al 4 agosto, a Catania) e agli Europei (esordio il 23 agosto a Łódź, in Polonia, contro il Portogallo).


Cristina, quali obiettivi ti sei prefissata?
«Uno: dare il massimo. Perché non voglio avere né rimpianti né rimorsi, comunque si concluderà l’avventura. Il punto di partenza è buono: mi sono impegnata anima e corpo e non vedo l’ora di scendere in campo».


Preferiresti ottenere il pass per il Giappone o l’oro continentale?
«Entrambe le opzioni non sono ammesse? (ride, ndr). I Giochi regalano emozioni senza paragoni: sarebbe la mia seconda volta e mi godrei ancora di più l’evento spettacolare. Salire sul tetto d’Europa, invece, dimostrerebbe che siamo davvero brave, perché dovremo vedercela con molte tra le migliori squadre del pianeta».


Il successo di cui vai più fiera?
«Una classifica dei trofei è complicata, ciascuno è magico. Quindi tralascio la bacheca e rispondo: “Avere creduto in me stessa”. Altrimenti a 14 anni non mi sarei trasferita a Roma per capire se la pallavolo fosse il mio futuro. Napoli non è così distante e i miei venivano spesso a trovarmi, ma per una teenager abitare da sola è un’impresa. Le infinite responsabilità e la totale indipendenza mi hanno spinta a maturare alla svelta e a prendere fiducia».


Ti è mancata la routine da ragazza “normale”?
«Un po’ sì. Anche per questo l’anno scorso mi sono iscritta alla facoltà di scienze motorie alla Cattolica di Milano: il confronto con persone della mia età in un ambiente diverso dal palazzetto mi stimola molto. Parecchi compagni di corso lavorano, proprio come me, e mi sento una di loro. Consapevole di essere una privilegiata per aver trasformato la mia passione in mestiere».


Non soffri nemmeno della disciplina ferrea che l’agonismo impone?
«No. Merito dell’educazione ricevuta: la famiglia mi ha inculcato il valore delle regole e ho capito presto che non sono un limite, ma invece contribuiscono a sviluppare le doti naturali. Non mi crea problemi neanche la dieta del nutrizionista, forse perché ogni tanto mi concedo qualche strappo alla regola».


Il volley cosa ti ha insegnato?
«Un sacco di lezioni. Su tutte, riporre fiducia nel prossimo. Non potrebbe essere altrimenti: il mio è lo sport del passaggio. Esclusa la battuta, un giocatore ha bisogno del gruppo per portare a termine l’azione. Ciascuno accantona l’ambizione di essere protagonista del match, si mette a disposizione degli altri cinque».


L’unione fa la forza, insomma.
«Già in allenamento: tra pesi e pallone, la doppia seduta quotidiana supera le 4 ore e la stanchezza, giorno dopo giorno, si accumula. Durante i collegiali con la Nazionale, poi, la preparazione tocca l’apice: se resistiamo alla fatica e riusciamo a recuperare alla svelta le energie fisiche e mentali, è grazie al sostegno reciproco e allo spirito di sacrificio che ci lega. Lo sport premia il merito: le medaglie bisogna guadagnarsele».


Il talento quanto conta?
«In partenza è necessario; sulla distanza non basta. Ho visto atlete dotatissime sparire nel nulla e altre, meno capaci ma irriducibili, emergere».


Ad alti livelli la pressione schiaccia: che tecnica adoperi per gestirla?
«Mi aiutano l’esperienza, un certo autocontrollo innato e la scaramanzia. Da napoletana verace, figurarsi se non sono superstiziosa! Con portafortuna annessi, ovviamente».


Per esempio?
«Il classico cornetto rosso: guai a separarmene! Da quando mamma mi ha regalato una croce che mi protegge, è passato dalla collana all’elastico per i capelli. Il più recente è una penna. Al primo esame universitario l’avevo con me e ho preso 30 e lode: da allora mi accompagna sempre davanti ai professori. È qui nello zainetto, stamattina ho fatto tappa in aula per un esame».


Com’è andato?
«Stesso voto: sono una secchiona, non come al liceo linguistico. Per un semplice motivo: sto approfondendo argomenti che mi interessano perché mi riguardano direttamente. Come per esempio l’anatomia».


E nel tempo libero cosa fai?
«Inizio con una passeggiata nella natura, che mi rilassa e mi ricarica. Mentre a casa mi diletto ai fornelli: gli spaghetti cozze e vongole mi vengono al bacio. Poi amo fare shopping di cosmetici: mi piace avere un aspetto sempre curato. La sera la trascorro con il mio ragazzo, con cui convivo da due anni, o con gli amici».


Il tuo stile d’abbigliamento?
«Essenziale. T-shirt e leggings o abitini, abbinati a un paio di sneakers: viaggiando spesso, do la precedenza alla comodità. Con un’attenzione speciale ai particolari: sono loro che fanno la differenza. Succede lo stesso in gara: la posizione sbagliata delle dita trasforma il muro da barriera invalicabile in colabrodo».


Un dettaglio che distingue il tuo look?
«Le trecce d’estate, mi sbizzarrisco con i tutorial online, e i guanti d’inverno. Rigorosamente di pelle, quelli che produce l’azienda di famiglia. L’amore per questo accessorio così chic è una vera e propria eredità».


Se non avessi sfondato nello sport, avresti seguito le orme di papà?
«Dubito, probabilmente farei l’organizzatrice di eventi. Da bambina sognavo di diventare una ballerina di danza moderna, peccato che la statura, già superiore alla media, mi abbia stroncato la carriera sul nascere».


Ma ti ha spalancato altre porte...
«E pensare che ho cominciato con il volley per stare con le amiche: in campo mi divertivo, me la cavavo bene e non ho più smesso. Ancora oggi per me giocare è gioia pura e non scambierei la mia vita con nessun’altra».


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Articolo pubblicato sul n. 33 di Starbene in edicola dal 30 luglio 2019

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