Mantenere giovani le cellule, prevenirne la degenerazione e indurre addirittura l’organismo a correggere errori di trascrizione all’origine dei tumori. Sono gli effetti della riprogrammazione cellulare, nuovo approccio terapeutico promosso a pieni voti in un recente congresso organizzato a Milano dalla Società italiana di oncologia medica.
«La sua messa a punto, frutto di 30 anni di studi, nasce dall’aver identificato tutte le funzioni del codice epigenetico, quello che regola l’attivazione o lo spegnimento dei geni, senza alterare il Dna.
Lo abbiamo “fotografato” nel momento in cui si forma, ovvero durante la vita embrionaria, quando avvengono tutti i processi di differenziazione delle cellule staminali che portano alla formazione di tessuti e organi», spiega il dottor Pier Mario Biava, medico del lavoro e autore, insieme alla sua équipe, della scoperta. «In questa fase, il rischio di errori nella replicazione cellulare è molto alta, ma l’embrione produce preziose proteine, i fattori di differenziazione, in grado di bloccare le staminali “cattive”, spingendole a differenziarsi in una forma non pericolosa».
Il fattore di differenziazione
La riprogrammazione consiste proprio nel riattivare questo meccanismo in età adulta, obiettivo oggi possibile con i fattori di differenziazione di cellule staminali prelevati dall’uovo di Zebrafish, un pesce tropicale che ha oltre il 90% di proteine uguali a quelle umane.
«Agiscono da regolatori del nostro ciclo cellulare e riportano addirittura indietro le lancette del tempo», spiega il dottor Biava. «Le cellule ricevono le informazioni giuste per replicarsi, rallentando anche l’accorciamento dei loro telomeri (porzioni di Dna che rivestono le estremità dei cromosomi) la cui usura fa scattare un allarme molecolare che ne decreta la morte. I fattori di differenziazione contrastano anche le malattie neurodegenerative come il Parkinson o l’Alzheimer».
L’azione sui tumori
Ma c’è di più: possono bloccare le cellule tumorali: «Se sono colpite da danni lievi, le riparano, riportandole allo stadio normale e invertendo l’evoluzione della malattia», spiega il dottor Biava. «Se sono irrimediabilmente danneggiate, attivano i meccanismi di apoptosi, mandando le cellule malate in morte programmata. Una ricerca pubblicata nel 2005 su Oncology Research, effettuata in collaborazione con l’Università la Sapienza di Roma, ha dimostrato che, somministrati a 179 malati di tumore al fegato in fase avanzata, i fattori di differenziazione hanno fatto regredire la malattia nel 20% dei casi, ne hanno bloccato la progressione nel 16% e hanno garantito una miglior qualità di vita all’82% dei pazienti. Un recente studio, con la stessa università, ha evidenziato che potenziano l’azione degli anticorpi monoclonali, impiegati per il tumore del colon: il mix ha determinato un aumento della sopravvivenza dei pazienti».
Le formulazioni in vendita
I fattori di differenziazione delle cellule staminali sono disponibili sotto forma di nutraceutici in tutte le farmacie. Come individuarli? Questi integratori alimentari sono riconoscibili perché riportano in etichetta, nell’elenco degli ingredienti, la “polvere di caviale”: è questa la dizione richiesta dal Ministero della Salute per i preparati che contengono proteine di origine ittica.
Esistono 3 formulazioni dell’integratore: con azione antiaging; per salvaguardare le funzioni cerebrali; per riprogrammare le cellule tumorali. Per garantirsi l’effetto antinvecchiamento sono consigliati cicli di 3 mesi, intervallati da pause, mentre per l’azione antineurodegenerativa si raccomanda un’assunzione ininterrotta.bIn entrambi i casi è bene chiedere un parere preventivo al proprio medico. Assunzione continuativa in caso di tumori, da effettuare sotto il controllo dell’oncologo.
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Articolo pubblicato sul n.6 di Starbene in edicola dal 22 gennaio 2019