Una bomba atomica lanciata dall’alto che distrugge un microcosmo. È l’effetto degli antibiotici sui 7 miliardi di batteri che formano il microbiota intestinale. Una popolazione annientata al 90%, ogni volta che li assumiamo per 6-7 giorni. Gli antibiotici hanno, infatti, un effetto devastante sulla flora batterica dell’intestino, il più grande organo del sistema immunitario che deve mantenersi in equilibrio per svolgere la sua funzione digestiva, neuroendocrina e immunomodulante.
Per capire come combattere le infezioni batteriche salvaguardando il microbiota, abbiamo intervistato il professor Dino Vaira, professore straordinario di medicina interna all’Università di Bologna, Ospedale Sant’Orsola Malpighi. Dall’86 al ’90 ha collaborato, al Middlesex Hospital di Londra, con Barry J. Marshall e Robin Warren, i due premi Nobel per la scoperta dell’Helicobacter pylori.
Quali sono gli antibiotici più a rischio?
Tutta la classe di antibiotici definiti “ad ampio spettro” come i derivati della penicillina. Tra questi, vorrei ricordare l’uso “fuori controllo” dell’amoxicillina, associata o non all’acido clavulanico, che viene spesso utilizzata come la panacea per risolvere tutti i mali, appena il termometro rileva un aumento della temperatura (e magari si tratta di un’infezione virale, verso la quale gli antibiotici non servono a nulla). Non sempre si passa attraverso la prescrizione medica. Molto spesso si utilizzano confezioni di antibiotici “avanzate” nell’armadietto dei medicinali, pensando che un’azione “ad ampio spettro” vada sempre bene. Invece sono proprio questi gli antibiotici da evitare perché distruggono in pochi giorni quasi tutti i microorganismi vitali dell’intestino. E occorre almeno un mese per ripopolare il “pianeta”.
Quindi, gli antibiotici a largo raggio d’azione vanno aboliti?
In linea generale sì. Oggi, in pochissimo tempo, è possibile sapere qual è il germe responsabile di un’infezione e, soprattutto, a quale molecola antibiotica risulta sensibile, in modo da debellarlo nel più breve tempo possibile. Prendiamo, per esempio, la cistite. Al posto di assumere disinfettanti delle vie urinarie da banco, che servono a poco, è bene fare l’esame delle urine completo, cioè l’urinocoltura con antibiogramma, per scoprire qual è il germe responsabile dell’infezione e quali sono gli antibiotici a cui è sensibile, in modo da consentire al medico di scrivere una prescrizione mirata.
Non basta sapere che la cistite è dovuta all’Escherichia Coli. Occorre avere la lista degli antibiotici in grado di eliminarlo. Lista che è diversa da persona a persona perché l’efficacia delle molecole è soggettiva. Molto dipende dall’uso che ne abbiamo fatto in passato. Se nella nostra infanzia siamo stati nutriti a pane e antibiotici, probabilmente avremo sviluppato forme di antibioticoresistenza e la lista delle molecole efficaci, contro lo sgradito ospite, sarà breve.
Bisogna sempre fare l’antibiogramma prima di prendere gli antibiotici?
In linea generale sì. Se diamo un antibiotico “selettivo” su quel batterio, al posto di uno generico, la distruzione dei batteri “buoni” per l’intestino (soprattutto Lattobacilli e Bifidobatteri) sarà inferiore. C’è comunque, ma si tratta di un rischio calcolato, con minor danno sul microbiota.
In caso di faringite e tonsillite, per esempio, bisognerebbe fare il tampone faringeo (sempre corredato da antibiogramma); in caso di bronchite e polmonite l’aspirazione di muco tracheale; in caso di colite l’analisi delle feci, mentre chi soffre di gastrite cronica dovrebbe sottoporsi al breath test (il test del respiro, in cui si soffia in una provetta) per rilevare l’eventuale presenza dell’Helicobacter pylori, un batterio molto diffuso che infetta la mucosa gastrica.
Vi sono però dei casi in cui non è tecnicamente possibile sottoporsi a un antibiogramma, perché manca la “materia prima” da analizzare, cioè il campione di tessuto biologico. Mi riferisco alle infezioni della prima infanzia, in cui è spesso difficile risalire da dove partono, e a quelle dentarie dove non c’è un campioncino da analizzare. Se si fa l’emocoltura non risulta niente perché la carica batterica, fortunatamente, non è così alta da “passare” ed essere letta nel sangue. Allora, ma solo in questi casi limitati, può essere giustificata la prescrizione medica di un antibiotico ad ampio spettro come, appunto, l’amoxicillina e l’ampicillina.
L’uso improprio di antibiotici favorisce una flora nociva?
Sicuramente. Il “bombardamento antibiotico” favorisce la predominanza di generi tendenzialmente nocivi se crescono a dismisura, come i batteri Coliformi, gli Enterococchi fecali, la Klebsiella, il Proteus, gli Stafilococchi (come il pericoloso Stafilococco aureo) e gli Streptococchi. Tra quest’ultimi, lo Streptococco betaemolitco A, il più virulento di tutti, può provocare pericardite, cioè l’infiammazione della membrana che avvolge il cuore, e febbre reumatica acuta. Per questo è importante salvaguardare l’equilibrio del nostro microbiota, per mantenere tutti gli organi in salute.
Che cosa bisogna fare se dobbiamo assumere degli antibiotici?
Innanzitutto darsi il tempo di guarire dall’infezione. I nostri nonni quando prendevano l’antibiotico stavano a casa in malattia. Noi li assumiamo tornando subito al lavoro, quando ancora l’intestino è in subbuglio. Ma stress e benessere intestinale non vanno d’accordo e occorre concedere ai nostri visceri il tempo di ristabilirsi. Un altro aiuto viene dall’attività fisica all’aperto, da una dieta ricca di fibre prebiotiche, come l’inulina, che “nutrono” i batteri buoni e dal ricorso ai probiotici, da assumere per almeno un mese dal termine della terapia.
In arrivo i superprobiotici
È un’importante scoperta, fatta dal team di ricercatori guidati dal professor Dino Vaira, e pubblicata a fine 2020 sulla rivista “Nutrients”. La grande novità? La formulazione di probiotici resistenti agli antibiotici che, proprio grazie al fatto di essere “indistruttibili”, possono essere assunti già durante la terapia, in modo da controbilanciare fin da subito i negativi effetti di questi farmaci sulla composizione del microbiota. «Cinque anni di duro lavoro in cui abbiamo coltivato in laboratorio e letteralmente “ammaestrato” cinque ceppi di lattobacilli e bifidobatteri, in modo da renderli gradualmente resistenti alle molecole antibiotiche», commenta il professor Vaira. «Seguendo la killing curve, la curva di uccisione dei batteri buoni nel momento in cui vengono a contatto con gli antibiotici, abbiamo via via alzato la loro soglia di tolleranza, aumentando la dose a poco a poco». I nuovi probiotici arriveranno in farmacia in autunno.
La dieta che rinforza i batteri buoni.
Alcuni cibi “nutrono” i batteri buoni, mentre altri favoriscono la crescita di quelli “cattivi”. Ecco un piccolo vademecum alimentare per fare la scelta giusta.
I cibi sì
- Cicoria, lattuga, carciofo e tarassaco:tra le verdure, sono quelle più ricche di inulina, la fibra vegetale che funge da prebiotico, cioè da “alimento” per i probiotici.
- Yogurt e kefir: yogurt bianco e kefir sono ricchi di lattobacilli e bifidobatteri, sostanze naturalmente fermentate che mantengono in equilibrio il microbiota intestinale.
- Avena e cereali integrali: apportano fibre vegetali utili per la salute delle mucose e della flora intestinale. L’avena, in particolare, ha un’azione emolliente e blandamente lassativa.
- Mirtilli: i loro tannini, sostanze astringenti, impediscono lo sviluppo di batteri cattivi, combattendo la “diarrea da antibiotici”.
I cibi no
- Yogurt alla frutta: contiene troppi zuccheri (anche 13-14 g per etto), addensanti, aromi ed edulcoranti. Tutti additivi chimici che fermentano, favorendo i gas intestinali.
- Vino bianco: ha il torto di contenere solfiti, additivi usati per evitare la fermentazione batterica. Così inibiscono anche i batteri buoni.
- Cacao e cioccolato: sono responsabili delle alterazioni dell’alvo, nel senso che modificano la peristalsi intestinale. Possono aumentarla o diminuirla favorendo, a seconda dei casi, diarrea o stipsi.
- Peperoncino: se assunta in eccesso, la capsalcina può causare irritazione dell’intestino e delle vie urinarie, e aggravare l’antibioticoresistenza.
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Articolo pubblicato sul numero n° 7 di Starbene in edicola dal 15 giugno 2021