Fa davvero paura il dolore che non conosciamo. Il resto lo chiamiamo fastidio (se siamo donne), spesso sottovalutandolo e rimandando a più tardi il ricorso ai farmaci, oppure è tutto un “male”, caratteristica reazione attribuita agli uomini che viene confermata anche dagli addetti ai lavori.
«Innanzitutto bisogna intendersi proprio sulla sua definizione, perché in effetti ha un po’ un’accezione personale, persino di genere», commenta Giorgio Serino, specialista in medicina interna e immunologia clinica, del Pronto Soccorso del Policlinico San Donato.
«Come dolore toracico, fra i più diffusi e temuti, si intende una percezione, più o meno sgradevole che persiste nel tempo e che si localizza sul petto e non solo. Ma è proprio il tempo di durata del male che è fondamentale e fa la differenza, oltre alle altre sue caratteristiche. Quello che ci fa paura è il dolore che ha delle modalità diverse da quelle che normalmente siamo abituati a sentire in vari momenti della giornata: già questo è un campanello d'allarme. Ci rendiamo conto che quel dolore è nuovo, è un'altra cosa». E ci spaventiamo, a torto o a ragione lo vedremo in questa intervista.
Perché il fattore tempo è così decisivo nel dolore cardiaco?
Perché è la prima grande discriminante che ci può far capire se si tratta di infarto o di qualcos’altro, sempre da approfondire, ma non così grave. Pensate che il cuore sotto attacco può collassare in poche decine di minuti ma, anche quando “resiste” a lungo (ci sono persone che si recano al PS con un infarto a distanza di ore dall’inizio del problema), la “spaccatura” che si forma nel muscolo, a mano a mano che si aspetta, da piccola fenditura si allargherà lasciando una sempre più profonda cicatrice, con danni più importanti anche nel caso si superi l’emergenza. Allora, chi ha tempo non perda tempo.
Entro quanto dobbiamo reagire?
Un dolore importante, pericoloso, deve superare i 5 minuti, mentre tutto ciò che finisce spontaneamente sotto i 3-5 è di tipo fugace. Questo ci può rasserenare ma per evitare di perdere tempo prezioso meglio chiamare il 118 appena compare.
E i soccorsi quando riescono a metterci in condizioni di sicurezza?
Secondo le linee guida della American Heart Association (AHA) il trattamento medico dovrebbe iniziare entro 90 minuti dall'inizio dei sintomi, idealmente meno. I primi 60 minuti sono spesso definiti come Golden Hour: intervenire in questo lasso di tempo può ridurre significativamente i danni al cuore e aumentare le possibilità di sopravvivenza. Si calcola che ogni 30 minuti di ritardo aumenta la mortalità del 7,5%.
Il fattore tempo è l’unico elemento che ci deve preoccupare?
No. Un dolore che non ci lascia, ma soprattutto aumenta di intensità e si associa ad altri sintomi ha i crismi dell’urgenza. È un male che non si risolve ma aumenta, e si colloca principalmente al centro del torace, non migliora qualsiasi cosa facciamo, non importa se ci fermiamo, ci sdraiamo, ci sediamo. Non c’è mai febbre però.
Altri campanelli d’allarme per il cuore?
Una sudorazione importante, che noi definiamo algida, cioè quel sudore freddo che corrisponde di solito a un abbassamento della pressione, intensa, accompagnata da un senso di stanchezza, quasi di svenimento. Queste sono caratteristiche che devono allarmarci, qualunque ne sia l'origine, dalla cardiopatia ischemica, cioè l’infarto, ad altre situazioni gravi come il dolore polmonare legato a un’embolia.
I sintomi dell’infarto sono diversi fra maschi e femmine?
Nella donna il dolore toracico non è sempre presente e può avere una sintomatologia molto più lieve, anche modesta. Spesso c’è un senso di costrizione alla gola, un dolore alla mandibola. In questi casi è importante vedere se c’è sudorazione profusa, una sensazione di essere prossime allo svenimento. Gli ultimi studi di medicina di genere stanno differenziando molto i sintomi dell’infarto.
Cosa c’entra il mal di denti con il cuore?
Infarto e denti possono essere correlati perché ci sono dei nervi che da alcune zone dell’aorta corrono verso l’alto, verso la gola e la bocca appunto. Succede soprattutto a chi ha già avuto problemi di cuore, o ha l'angina (il disagio al petto che si verifica quando il muscolo cardiaco non riceve abbastanza sangue ricco di ossigeno) quando fa uno sforzo, si spaventa, corre. Sono pazienti che ti riferiscono di sentire male alla mandibola, non al centro del petto. È un sintomo per niente raro. Però si associa sempre a quel senso di grande malessere che ci dice che sta succedendo qualcosa.
E il famoso braccio sinistro dolente, fino a oggi considerato uno dei segni inequivocabili?
C’è, però nella donna non è così frequente, e anche nel maschio può esserci un dolore che non si irradia agli arti. Dunque, non è più un elemento così caratteristico; può esserci, ma non così spesso.
Pensiamo sempre al cuore in caso di fitte al petto, ma quali sono gli “altri dolori” confondibili?
In ordine di diffusione nella popolazione sono quelli del reflusso gastrico, di un problema polmonare, articolari e, infine, da stress.
Che problemi dà il reflusso?
Dà un dolore che brucia il petto, a volte anche verso la pancia e poi dietro la schiena. Può essere acuto o più sordo, dipende dall’acidità prodotta, dal nostro stato fisico (siamo in sovrappeso?), dalla postura. Non si suda, non si ha febbre. Molto spesso questo tipo di disagio quando mangiamo o beviamo sembra migliorare un po', ma dopo torna.
E quei dolori lancinanti intercostali che a volte ci bloccano?
Sono problemi muscolari o legati alle coste che si presentano soprattutto con i cambiamenti del meteo, quasi fossero dei barometri incorporati. Se non sono occasionali, nelle donne è bene fare una verifica per accertare che non vi sia osteoporosi.
Passiamo ai polmoni.
Abbiamo due situazioni: la prima, abbastanza frequente e tutto sommato non allarmante è un dolore pleurico, cioè fa male il torace perché è interessata la pleura, la membrana che avvolge i polmoni. Allora, se c'è un'infezione che arriva a interessare anche questa parte, si infiamma la pleura e dà un dolore completamente diverso da quelli che abbiamo descritto: molto acuto, quasi una stilettata, che aumenta quando respiriamo, tossiamo e starnutiamo, cosa che non esiste assolutamente nel dolore cardiaco. Se ci rannicchiamo, stiamo fermi, il dolore quasi sparisce: con un colpo di tosse o un respiro profondo torna in modo importante. E poi spesso compare la febbre, anche non troppo elevata.
E quello da stress?
È un dolore misto, e la componente stomaco ed esofago è quasi sempre presente. È come uno spasmo interno, una fitta che spesso si associa al classico bruciore di stomaco. E poi è legato alla contrazione muscolare, perché chi è stressato tende a irrigidire soprattutto collo e torace. Paura e ansia, poi, aumentano la sintomatologia.
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