L’infarto miocardico rappresenta il danno più grave che il tessuto cardiaco possa subire e avviene quando una o più arterie coronarie (quelle che trasportano il sangue ossigenato al cuore) si chiudono.
Per fortuna, la medicina ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni: se quarant’anni fa la mortalità per infarto si aggirava intorno al 20-25%, oggi i numeri sono scesi al 3-4% grazie alle maggiori conoscenze e soprattutto alle moderne terapie interventistiche.
Cosa accade al cuore infartuato
«Il principale rischio dell’infarto è che possa “morire” una porzione più o meno estesa del cuore, a causa della cosiddetta necrosi miocardica, dovuta alla mancanza prolungata di un adeguato apporto di sangue e di ossigeno dalla circolazione arteriosa», spiega il dottor Andrea Passantino, direttore del dipartimento di Cardio-angiologia riabilitativa presso l’IRCCS Maugeri di Bari.
«La porzione cardiaca che muore viene sostituita da un tessuto rigido, fibroso, simile a una cicatrice, che altera struttura e funzioni di questo muscolo così importante».
Quanto più “cuore” perdiamo, tanto più c’è il rischio di sviluppare problematiche importanti anche a distanza di mesi o anni dall’infarto, come lo scompenso cardiaco, dove il cuore non è più capace di distribuire il sangue in misura adeguata alle richieste metaboliche dei tessuti.
Come evitare la necrosi miocardica
Oggigiorno, per evitare la necrosi miocardica, si utilizza l’angioplastica coronarica con impianto di stent: si tratta di una procedura interventistica che consente di riaprire la coronaria occlusa e, se eseguita entro i primi novanta minuti dall’inizio dei sintomi, di ridurre significativamente il danno del muscolo cardiaco.
Purtroppo, molti pazienti arrivano tardi al pronto soccorso, quando la necrosi miocardica è ormai irreversibile: «La grande speranza sta nella medicina rigenerativa, un approccio innovativo che punta a rigenerare il muscolo cardiaco utilizzando le capacità innate del corpo umano di riparare, ricostruire e rigenerare i tessuti danneggiati o malati», riferisce l’esperto.
La medicina rigenerativa
A tal proposito, nel corso degli anni, i ricercatori hanno tentato diversi approcci, come la terapia con le cellule staminali, che vengono indotte a differenziarsi in cardiomiociti per sostituire il tessuto danneggiato.
«Purtroppo, nonostante le grandi speranze, queste ricerche non si sono mai tradotte in una pratica clinica e la maggior parte delle sperimentazioni condotte sull’uomo non ha dato i risultati sperati», ammette Passantino. «Il risultato è che ad oggi non è ancora possibile riparare il tessuto miocardico con le cellule staminali. Ecco perché è importante continuare a studiare i meccanismi naturali con cui il tessuto miocardico si rimaneggia dopo un infarto».
Il miocardio, infatti, riesce ad auto-ripararsi sviluppando un nuovo letto vascolare, cioè nuovi vasi sanguigni attorno alla zona danneggiata, ma spesso questi non sono sufficienti.
Scoperta una cellula ingegnere
Stimolare la formazione di arterie più grandi e potenti per garantire un nutrimento adeguato al cuore è il sogno di molti ricercatori, tra cui Elena Cano del Max Delbrück Center di Berlino. Il suo nuovo studio, apparso su Circulation Research, ha aggiunto un tassello: «Abbiamo sempre pensato che, nella formazione del nuovo letto vascolare, il principale input arrivasse dal passaggio del sangue, capace di stimolare alcune cellule primordiali a trasformarsi in cellule vascolari», ricostruisce l’esperto.
«Lo studio di Elena Cano, invece, ha individuato una cellula primordiale che contiene naturalmente, nel suo codice genetico, tutte le informazioni necessarie per diventare una cellula vascolare. In altre parole, per questa cellula ingegnere non è necessario un input esterno, come quello del sangue, per dare il via alla formazione di arterie in grado di nutrire il cuore sofferente».
Nuove speranze per il futuro
Adesso l’intento è quello di approfondire la conoscenza di queste cellule e capire come attivarne la memoria innata, aprendo nuove possibilità di medicina rigenerativa per limitare i danni al miocardio dopo un infarto e migliorare la circolazione sanguigna nell’area colpita da ischemia.
«In attesa di nuovi progressivi scientifici, è importante ricordare che la strategia migliore è prevenire l’infarto con un corretto stile di vita», tiene a sottolineare il dottor Passantino. Questo significa seguire una dieta varia ed equilibrata, svolgere una regolare attività fisica, abolire il fumo di sigaretta, riposare a sufficienza (almeno 7-8 ore per notte), mantenere il peso corporeo ideale, evitare l’eccesso di grassi nel sangue, monitorare i livelli di glicemia e mantenere la pressione arteriosa a valori ottimali.
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