Potrebbe essere l’epitelio intestinale, cioè lo strato più interno dell’intestino, uno dei futuri bersagli delle terapie contro la celiachia. L’ipotesi nasce da un team di ricercatori, medici e ingegneri della McMaster University di Hamilton, in Ontario (Canada), che ha condotto un importante studio sul tema sfruttando degli organoidi, ovvero una versione semplificata e miniaturizzata di organi riprodotti in tre dimensioni.
«In questo caso, l’organo preso in esame dagli studiosi era formato da cellule dell’intestino tenue di soggetti celiaci non trattati, che sono state incubate in vitro con glutine e batteri gram-negativi», descrive Umberto Volta, professore di Allergologia e Immunologia Clinica all’Università degli Studi di Bologna e membro del Board Scientifico dell’Associazione Italiana Celiachia.
Organoidi sotto osservazione
La responsabile della ricerca canadese, la dottoressa Elena F. Verdu, aveva già condotto altri studi scientifici dove aveva rilevato che i batteri gram-negativi sono in grado di attivare i peptidi del glutine (cioè lo rendono più “disponibile” per il sistema immunitario) nei soggetti con celiachia.
«Su queste basi, quindi, gli studiosi hanno potenziato l’azione del glutine con la presenza di batteri gram-negativi, osservandone gli effetti sia sugli organoidi formati dalle cellule intestinali dei soggetti celiaci sia su un analogo modello cellulare di intestino di topi transgenici con predisposizione genetica alla celiachia», spiega il professor Volta.
Cosa dice lo studio
In entrambi i modelli sperimentali, si è osservato che le cellule epiteliali dell’intestino tenue (sia dei celiaci, sia dei topi transgenici) producevano dei “messaggi” diretti ai linfociti CD4+, particolari globuli bianchi che nei soggetti con celiachia generano diverse citochine come l’interferone gamma, l’interleuchina 15 e il TNF alfa, che determinano uno stato infiammatorio a livello intestinale.
«Lo studio della McMaster University di Hamilton è importante, perché rivede le teorie sui meccanismi patogenetici della celiachia», evidenzia l’esperto. «Infatti, se fino a oggi l’epitelio intestinale era stato considerato solo il bersaglio passivo della malattia, adesso si scopre che partecipa attivamente alle reazioni immunologiche che portano al danno intestinale».
Servono ulteriori conferme
Ora, però, serve prudenza: «Le ipotesi dello studio necessitano di conferma attraverso ulteriori dimostrazioni», commenta il professor Volta.
Qualora poi venissero davvero confermate, si potrebbe aprire la strada a nuove terapie che agiscono direttamente sulle cellule dell’epitelio. «Al momento non esiste un trattamento per la celiachia, se non una strettissima e permanente dieta priva di glutine, ma la ricerca scientifica è in fermento per trovare nuove soluzioni».
Celiachia, quali sono i nuovi scenari
In corso ci sono tre studi importanti con relative sperimentazioni cliniche. Il primo è dedicato a un enzima che è in grado di degradare nello stomaco il glutine, “rompendolo” e impedendo la formazione di quei frammenti che, una volta giunti nell’intestino, innescano la reazione infiammatoria. «Per ora è stato testato efficacemente su quantitativi molto bassi di glutine, 2-3 grammi, per cui potrebbe difendere i pazienti con celiachia solo dalle contaminazioni», spiega il professor Volta.
Il secondo filone di ricerca riguarda un inibitore selettivo della transglutaminasi tissutale, la molecola ZED1227, sviluppata da Detlef Schuppan, direttore dell’Istituto di Immunologia Traslazionale dell’Università di Mainz, in Germania: questo farmaco sembra in grado di bloccare il meccanismo immunologico che, nei soggetti celiaci, innesca la risposta infiammatoria responsabile dell’atrofia dei villi intestinali.
«L’ultimo studio è dedicato ai vaccini terapeutici o immunoterapici, che dovrebbero permettere di sviluppare tolleranza al glutine. In questo caso, però, l’obiettivo non è semplice da raggiungere e tanto meno da verificare nei risultati, se non con frequenti e quindi improponibili biopsie intestinali ai pazienti».
Cosa cambia
La celiachia è oggetto di grande fermento scientifico per lo sviluppo di terapie alternative e lo studio canadese ne è un esempio.
«Se quest’ultimo non risponde ai quesiti ancora aperti sulla celiachia e, soprattutto, ancora non rivela come mai solo il 2-3% delle persone con genetica positiva (DQ2/DQ8) sviluppi nel corso della vita la celiachia, tuttavia aggiunge un ulteriore tassello alla conoscenza di una patologia sistemica complessa come questa», conclude l’esperto.
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