Il cervello, questo sconosciuto. Perché a tutt’oggi conosciamo solo il 30 per cento dei meccanismi di funzionamento della corteccia cerebrale. Per far luce sui complessi circuiti neuronali, è nata una nuova branca medica: la optogenetica, protagonista del Forum Internazionale delle Neuroscienze che si è tenuto il 3 dicembre a Roma.
Di che cosa si tratta e a cosa serve? «È una metodica sperimentale inaugurata da Karl Deisseroth, ricercatore della Stanford University (California), e portata avanti dai neuroingegneri del prestigioso Mit di Boston», spiega Fabio Benfenati, docente di neurofisiologia all’università di Genova e direttore del Center of Synaptic Neuroscience dell’Istituto italiano di tecnologia.
I numerosi esperimenti condotti sui ratti hanno permesso di capire i meccanismi che stanno alla base di alcuni “cortocircuiti” cerebrali, all’origine di malattie molto diffuse nella popolazione, a partire dall’epilessia. Si è visto che, se si colpiscono con sorgenti laser o led i neuroni del topo resi sensibili alla luce, è possibile riattivarli o disattivarli, come se fossero “interruttori” cellulari».
Occorre precisare che i neuroni del ratto, così come quelli dell’uomo, non sono naturalmente fotosensibili, ma vengono resi tali attraverso “l’innesto” di opsine, particolari proteine sensibili alla luce estratte dal Dna di organismi semplici, come le alghe oceaniche, i funghi e i batteri (nell’uomo le uniche proteine del genere, le rodopsine, sono presenti nei fotorecettori della retina).
I risvolti terapeutici? «Una volta appurato che alla base dell’epilessia c’è un’iperattivazione di alcuni circuti neuronali, grazie all’optogenetica è stato possibile realizzare una neuromodulazione luminosa degli stessi», prosegue il dottor Benfenati. «Utilizzando opsine inibitorie, si è arrivati a “disattivare” i circuiti di neuroni alterati e a inaugurare, quindi, nuove prospettive nella cura dell’epilessia».
Al momento, però, gli esperimenti sull’uomo non sono ancora iniziati. Anche perché non è chiaro quali conseguenze avrebbe l’introduzione nell’uomo di Dna non umano. Siamo sicuri che i geni codificanti le opsine non “disturberebbero” l’espressione di altri geni presenti nel nostro organismo? Quali interferenze si creerebbero tra materiale genetico di diverse specie? Tutti interrogativi ai quali la scienza sta cercando di dare una risposta.
Utile anche per il Parkinson
Dopo l’epilessia, l’altro grande campo di applicazione dell’optogenetica è il morbo di Parkinson. «Gli studi su modelli animali hanno dato buoni risultati anche in questa malattia neurodegenerativa», spiega Benfenati. «Grazie alle opsine, abbiamo avuto la conferma che nel Parkinson si sono “addormentati” i circuiti neuronali della dopamina, legati al movimento. Con la luce siamo riusciti a riattivarli». Forse, in un futuro non lontano, sarà possibile usare la neuromodulazione luminosa accanto alla stimolazione cerebrale profonda, la nuova terapia per il Parkinson già in uso. Si basa sulla stimolazione elettrica di alcune aree del cervello e dà buoni risultati per dieci anni.
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Articolo pubblicato sul n. 1 di Starbene 2016 in edicola dal 22/12/2015