di Gianluca Liva, dell’associazione Factcheckers
Era da un po’ di tempo che non se ne sentiva più parlare ma alcuni recenti articoli online
hanno rilanciato uno dei metodi curativi “di nicchia” più rischiosi degli ultimi anni: quello basato sull’uso di ipoclorito di sodio, sostanza che, in varie diluizioni, è alla base della ben più nota candeggina.
L’utilizzo di candeggina a fini terapeutici è stato proposto da Gilberto Ruffini, ematologo che affermava come la sostanza potesse portare benefici immediati per un consistente numero di malattie della pelle. I derivati del cloro possono essere usati come disinfettanti (pensiamo all’acqua delle piscine) ma l’ipoclorito di sodio è una sostanza che può provocare ustioni e irritazioni anche gravi sulla zona della pelle in cui viene applicata. La candeggina, secondo Ruffini, può essere di grande aiuto anche contro le carie dentali. Mettere anche una modesta dose di candeggina in bocca (per poi, magari, deglutirla) rasenta la follia.
Ancor più sconsiderato è il fatto che l’uso di candeggina viene consigliato in maniera così
generica da poter coprire patologie, persone e casi totalmente diversi tra loro, senza
adottare alcun criterio. Il metodo basato sull’ipoclorito di sodio è stato smentito da tempo. Nonostante ciò, non mancano i siti e i post che continuano a diffonderlo, incuranti di esporre chi ne fa uso a un grave rischio per la salute.
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Articolo pubblicato sul n. 44 di Starbene in edicola dal 15 ottobre 2019