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Aspirina contro le metastasi, qual è il legame

Secondo uno studio internazionale, l’acido acetilsalicilico a basse dosi, già utilizzato per prevenire le malattie cardiovascolari, potrebbe ridurre il rischio di metastasi in alcuni tumori

credits: iStock



Quando si parla di metastasi, si fa riferimento al processo attraverso il quale le cellule tumorali si staccano dal tumore primario, entrano nel flusso sanguigno o nel sistema linfatico e si insediano in organi o tessuti distanti, dove possono crescere e formare nuove masse tumorali. La loro presenza indica una malattia in stadio avanzato e contribuisce al 90% dei decessi per cancro a livello globale.

La buona notizia è che le cellule metastatiche presentano inizialmente una certa vulnerabilità: «Non tutte le cellule tumorali che raggiungono il torrente ematico daranno origine a metastasi», spiega il dottor Giorgio Patelli, medico oncologo e ricercatore presso IFOM (l’Istituto di Oncologia Molecolare di Fondazione AIRC) e Ospedale Niguarda di Milano.

«Affinché possa formare metastasi, un tumore dovrà non solo acquisire specifiche caratteristiche intrinseche, ma anche eludere l’attività di sorveglianza del sistema immunitario. Questo processo complesso si traduce nel trovare una “zona” sicura, la cosiddetta nicchia metastatica, dove le cellule tumorali possono stabilirsi e proliferare».

Le basi dello studio

Questa fase micro-metastatica rappresenta un punto critico per il tumore: è qui che le cellule metastatiche sono più vulnerabili, offrendo potenziali opportunità per colpirle e impedirne l’insediamento definitivo.

Ciò significa che esiste una finestra di vulnerabilità in cui le cellule metastatiche sono ancora fragili e, a tal proposito, arriva una novità: secondo un team di ricerca internazionale, guidato dai ricercatori dell’Università di Cambridge, l’acido acetilsalicilico a basse dosi – più noto come “aspirina” e già utilizzato nella prevenzione delle malattie cardiovascolari – potrebbe venire in aiuto anche in oncologia con un particolare meccanismo.

Il “punto debole” delle metastasi

All’inizio le metastasi sono cellule isolate che si separano dal tumore originario e, come semi nel vento, cercano di diffondersi altrove nel corpo. Alcuni “soldati” del sistema immunitario, i linfociti T, sono potenzialmente in grado di fermarle e intervengono prima che il tumore riesca a mettere altre radici.

Secondo il gruppo di Cambridge, uno dei nostri talloni d’Achille si trova nelle piastrine, le piccole cellule del sangue che svolgono un ruolo cruciale nella coagulazione e nella riparazione dei vasi sanguigni: «Queste rilasciano fisiologicamente alcune sostanze, come il trombossano A2, che tra le varie funzioni ha anche quella di modulare l’attività immunitaria e renderla più contenuta», spiega il dottor Patelli. «L'attività delle piastrine è utile nel caso di un trauma, ad esempio, perché nel sito di un’eventuale ferita permette di evitare un’infiammazione eccessiva. Il problema evidenziato dai colleghi è che questo meccanismo sembra ridurre anche l’attività antitumorale dei linfociti T, per cui diventa più probabile che le cellule metastatiche abbiano campo libero».

Come agisce l’acido acetilsalicilico

L’acido acetilsalicilico interrompe questo meccanismo, perché riduce la produzione di trombossano A2 (TXA2). Di conseguenza, i linfociti T riprendono forza e riacquistano la loro naturale capacità di riconoscere e distruggere le cellule tumorali, prima che queste abbiano la possibilità di formare nuove metastasi.

Lo studio internazionale potrebbe suggerire l’utilizzo dell’acido acetilsalicilico dopo la chirurgia: nonostante la rimozione del tumore, infatti, alcune delle sue cellule potrebbero già essere fuoriuscite e aver raggiunto altre parti del corpo, pronte a moltiplicarsi.

Tuttavia gli esperti mettono in guardia dal ricorrere a questo farmaco senza ulteriori ricerche e soprattutto senza la supervisione dei medici curanti. «Le attuali linee guida delle principali organizzazioni sanitarie raccomandano l’acido acetilsalicilico per la prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari nelle popolazioni a rischio», riferisce il dottor Patelli.

«Inoltre, le stesse raccomandazioni statunitensi suggeriscono che gli adulti di età compresa tra 50 e 59 anni con rischio cardiovascolare e un’aspettativa di vita di almeno dieci anni possono considerare l’assunzione di aspirina per la prevenzione del tumore del colon-retto. Per le persone tra 60 e 69 anni, invece, la decisione dovrebbe essere personalizzata, tenendo conto dei rischi e dei benefici individuali, ma sempre subordinata alla prevenzione di un rischio cardiovascolare concomitante, che giustifichi i potenziali rischi derivati dall’assunzione del farmaco».

Serve una valutazione individuale

In base agli studi precedenti, sappiamo che l’assunzione di acido acetilsalicilico a basso dosaggio potrebbe avere un effetto protettivo contro il tumore del colon-retto nella popolazione con un elevato rischio di svilupparlo, come nel caso delle persone portatrici della sindrome di Lynch, una condizione genetica ereditaria che aumenta la probabilità di sviluppare diversi tipi di tumore, in particolare del colon-retto e dell’utero.

«Non a caso, pur non essendoci raccomandazioni univoche in Italia, per questi pazienti può essere considerato l’uso personalizzato dell’aspirina a finalità preventiva», precisa l’esperto. «Un’altra evidenza nota sul tema è che, nelle persone con storia pregressa di tumore del colon-retto, l’utilizzo post-operatorio dell’aspirina potrebbe ridurre il rischio di recidiva e di morte per metastasi, ma solo per alcuni casi, caratterizzati da una particolare mutazione genetica (mutazione del gene PIK3CA). Nella popolazione generale, invece, gli studi clinici hanno mostrato risultati eterogenei, spesso negativi, per cui ad oggi manca un consenso sulla prescrizione di questo farmaco a scopo antitumorale».

Difatti, ci sono anche studi che non hanno mostrato risultati conclusivi oppure hanno indicato che i benefici potrebbero non superare i rischi associati all’uso prolungato di aspirina, come le emorragie gastrointestinali o il danno renale cronico.

Una speranza per il futuro

Tirando le fila del discorso, le evidenze scientifiche sull’uso dell’aspirina per la prevenzione del cancro sono ancora eterogenee e non hanno portato a un consenso definitivo.

«Ad oggi la valutazione del rischio metastatico si basa sull’osservazione delle caratteristiche cliniche e patologiche del tumore primitivo», ricorda il dottor Patelli. «L’oncologo medico stabilisce quando è consigliabile prescrivere un trattamento medico in aggiunta alla resezione chirurgica per ridurre il rischio di metastasi, che potrà essere una chemioterapia oppure un farmaco a bersaglio molecolare, come l’immunoterapia, post o pre-chirurgici a seconda del tipo di patologia».

Oggi disponiamo anche della biopsia liquida, una tecnica diagnostica che consente di analizzare campioni di fluidi biologici, come il sangue, per rilevare la presenza di frammenti di DNA tumorale o altre biomolecole associate al cancro. Questa metodica, che offre un’alternativa meno invasiva rispetto alla biopsia tradizionale, può anche rilevare segni di diffusione del cancro in altre parti del corpo. Anche qui, però, gli studi sono in corso e si dovrà ancora attendere per un utilizzo da pratica clinica.

«Il nuovo studio sull’aspirina aggiunge un ulteriore tassello, soprattutto per alcune popolazioni, ma credo che il futuro dell’oncologia continuerà a risiedere nella personalizzazione dei trattamenti», conclude l’esperto.


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