Mimmo Pesce e l’autismo: «Vi presento mio figlio Tommi, lo “sgusciato”»

Telecronaca giornaliera di un padre (e di una famiglia) che osserva a 360° gradi la vita del suo ragazzo autistico. Per darci uno spaccato esistenziale di una condizione di cui spesso ignoriamo le coordinate. E le chiavi d’accesso



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Un figlio è sempre un compagno di vita, per tutti. A diversi gradi di intreccio, di intensità, di impegno, ma qui siamo nel regno del soggettivo dove ogni incursione è inutile invadenza. Se però hai in famiglia un ragazzo “particolare” e scegli di raccontare la tua esperienza genitoriale a confronto con un problema importante, escono fuori difficoltà (tante), gioie (altrettante), conoscenze (molteplici e pragmatiche) su un tema, l’autismo, dove ancora la realtà è portata fuori pista dalla filmografia – vedi Rain Man – impressa nell’immaginario collettivo. Il conduttore tele-sportivo Mimmo Pesce con il suo libro Mio figlio è uno sgusciato (edizioni De Agostini), ci porta nel mondo dell’autismo. Quello vero, dell’esperienza quotidiana, raccontato da chi ha un figlio, Tommaso, che a tre anni non rispondeva alle parole di mamma e papà. Perché, pur sentendoci, aveva (ha) un disturbo dello spettro autistico.


Mimmo, perché hai deciso di scrivere questo libro?

Su proposta di un agente letterario, che in un’intervista, aveva ascoltato la mia storia personale, mi sono chiesto: “Perché no?”. Tommaso ha 26 anni, ed era arrivato il momento di fare il punto della situazione. Ho messo nero su bianco quello che era successo, dentro e fuori casa, in tutto questo arco di tempo. L’autismo, in fondo, non è una malattia, ma solo una specifica condizione di vita. Conoscerla significa comprenderla meglio e farla accettare dalla gente, soprattutto dai giovani. Ho pensato a quanto questi ragazzi e ragazze autistici sarebbero meno isolati se i loro compagni di scuola sapessero cos’è veramente l’autismo.


Descrivi l’autismo con un tocco leggero e fluido, lo paragoni a una tavolozza di colori diversi…

Sì, perché non c’è un autistico uguale all’altro, questo disturbo in ognuno prende una sfumatura specifica. Alcuni sono ad alto funzionamento (hanno tratti autistici ma una vita pressoché normale), altri a basso funzionamento (non parlano, sono autolesionisti, gridano tutto il giorno). Tommi si colloca nella fascia di mezzo: è verbale nel senso che risponde a monosillabi alle domande (sempre sì, comunque) o fa richieste essenziali, legge ma non sappiamo quanto comprende, scrive sotto dettatura. La comunicazione tra noi e lui è ridotta a questo, gran parte del tempo mio figlio lo passa in silenzio, nel suo piccolo mondo.


La vita di Tommaso è dentro un guscio, simile a una tartaruga come dici?

Gli autistici costruiscono un guscio per sentirsi protetti ed estraniarsi dal mondo. Dentro la loro “campana di vetro” fatta di mutismo, isolamento e gli stessi pochi gesti ripetuti all’infinito, ci stanno benissimo. Il lavoro delle famiglie e degli educatori è, appunto, quello di tirarli fuori da automatismi deleteri, che li estraniano sempre di più da tutti e tutto. Ecco perché abbiamo intitolato l’associazione di cui mia moglie è presidente “Gli sgusciati”: l’obiettivo del centro diurno e attività di sostegno, è di fare integrare questi giovani il più possibile con quello che hanno intorno, per raggiungere un minimo di inclusione. Ci si riesce quando si capisce come funzionano.


I miglioramenti ci sono?

Chi più chi meno, tutti fanno dei passi in avanti. Mio figlio, oggi, è sicuramente diverso rispetto a 10 anni fa. Cambia il ragazzo, che migliora, ma anche il nucleo familiare, che si modifica a contatto con il problema. Alla fine, diventiamo tutte famiglie autistiche, nel senso che adattiamo la nostra vita a quel figlio particolare. È un impegno continuo e totalizzante, per cui non è facile. I ragazzi con problemi autistici, nella maggior parte dei casi, sono soli. L’amicizia, nel senso compiuto della parola, non è contemplabile in questi casi. Gli unici amici di Tommaso sono i suoi compagni “sgusciati”: sa chi è Riccardo, Stefano... ma la cosa finisce lì!


Nel libro, usi sette parole (e mezzo), ognuna per ogni capitolo, per descrivere chi è tuo figlio. Tra queste c’è “superpoteri”, è vero che è una prerogativa degli autistici?

Non hanno menti matematiche supersoniche, non ti fanno vincere milioni di euro al casinò come succede in Rain Man, togliamocelo dalla mente! Ma, sicuramente, il contatto con Tommi è stato ed è “speciale”. Ti arricchisce perché affina la tua sensibilità, la rende capace di ascoltare l’altro. Ti riporta a terra e rimette l’attenzione sull’essenza della vita.


Cosa ti ha insegnato il tuo ragazzo?

Tanto, il focus più importante è che basta poco per essere contenti. Nel momento in cui rientro a casa e Tommaso sta guardando per la milionesima volta il cartoon La carica dei 101, vedo che è in estasi. Non ha bisogno di esperienze super, la macchina figa, il vestito firmato, la vacanza stellata, tutte trappole in cui spesso cadiamo, per stare bene! Oltre ai cartoni animati, la sua felicità è fatta di piccole cose: mangiare determinate cose, andare dagli “sgusciati”, fare merenda in gelateria tutti i pomeriggi, con il sole come sotto zero.


Pensi che, però, il guscio prima o poi si possa aprire?

Con una bella stimolazione, qualche risultato arriva. A oggi, dico questo: il guscio si può incrinare ma, a meno che in futuro non intervenga un farmaco miracoloso, non credo che si possa dischiudere completamente. Gli autistici hanno bisogno dei loro punti di riferimento, una specie di cerchio magico che si ripete tutti i giorni. Se invece vivono una minima variazione della loro rigida routine, non stanno bene. Lo vedo chiaramente quando andiamo in vacanza, massimo due settimane all’anno, in due periodi distinti. Tommi, appena si rende conto di avere cambiato ambiente, e fino all’ultimo giorno, ripete: «Casa». S’adatta, ma non posso dire che al mare o in montagna sia il ritratto della felicità!


Ora, i giovani con questo disturbo hanno un orizzonte di vita più alto?

Quando, ventitré anni fa, ci è stato detto che Tommaso rientrava nello spettro del disturbo autistico, io e mia moglie ci siamo guardati sconcertati. Del problema si sapeva ben poco, non c’era l’attenzione mediatica e scientifica di adesso, dove viene diagnosticato un caso ogni 55 nati contro i 70 di soli tre-quattro anni fa! Se ci impegniamo tutti, comunità scientifica, famiglie e istituzioni, ci sono prospettive di fare diventare gli autistici il più possibile autonomi. Meglio ancora: più inclusi.


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