«Il mio ricordo è legato soprattutto alla sensazione di sete. Fu proprio la continua ricerca di qualcosa da bere, a insospettire i miei genitori. All’inizio avevano creduto che fosse una scusa per uscire dalla classe durante le spiegazioni degli insegnanti o per interrompere gli allenamenti in palestra. Invece la mia era un’esigenza fortissima. Perché già soffrivo di diabete e non lo sapevo».
Christine ricorda con un pizzico di commozione il suo passato da bambina malata. E condivide la sua storia in occasione della Giornata mondiale del diabete, il 14 novembre, voluta dall’Oms e dalla Federazione internazionale del diabete per informare e sensibilizzare su questo tema. Perché il diabete è un’emergenza mondiale: entro il 2040 si stima che ci saranno 642 milioni di malati.
E i numeri sono già impressionanti: attualmente ne soffrono (tra tipo 1 e 2) 415 milioni di persone. Molte, come nel caso di Christine, non arrivano subito alla diagnosi.
«Poi, una volta capito quale fosse la mia malattia, per i miei genitori accettarla non fu facile», continua la nostra protagonista. «Io non mi rendevo bene conto di quanto accadesse, però con le prime cure, con l’inizio della terapia dell’insulina e di una dieta attenta, sia negli orari sia nella scelta degli alimenti, i risultati furono immediatamente visibili. Non avevo più quella sete ardente, non dovevo fare continuamente la pipì e poi mi sentivo meno stanca, spossata», racconta.
I miei compagni temevano che li contagiassi
«Dopo le prime settimane di sollievo, perché indubbiamente stavo meglio, iniziai a fare i conti con lo sguardo compassionevole, talvolta addirittura timoroso dei miei amici. C’erano bambini che avevano paura di essere contagiati, altri che semplicemente non mi consideravano più, alcuni che volevano aiutarmi anche nelle operazioni più semplici della giornata perché pensavano non ce la facessi. Odiavo l’insulina, che per me era il simbolo della malattia. Arrivai anche a “dimenticare” l’iniezione. Trasgredivo le indicazioni del diabetologo per dimostrare ai miei amichetti che non ero malata: assaggiavo le loro merendine piene di zuccheri e cioccolato, poi, a casa, stavo malissimo e dovevo sentire i rimproveri di mamma e papà», aggiunge con un velo di tristezza.
Al corso di nuoto non mi sentivo più malata
A 18 anni, finalmente, la svolta. «Grazie a un nuovo diabetologo avevo ripreso a fare sport, ad avere uno sfogo. Non più ginnastica artistica, come da piccola, ma uno sport aerobico. Era gestibile nel tempo e nella fatica, bastava davvero un minimo di organizzazione per non rischiare crisi ipoglicemiche. E mi permetteva di abbassare la dose di insulina. La scelta era tra nuoto e corsa. Scelsi, senza troppo entusiasmo, la piscina, perché correre mi pareva semplicemente impossibile: ero sovrappeso e totalmente fuori forma. Andai alla prima lezione di nuoto con l’entusiasmo di un condannato a morte ma, incredibilmente, mi divertii. L’istruttrice era una motivatrice grandiosa: ci coinvolse con i tuffi, ci fece provare da subito le pinne e addirittura la maschera futuribile degli atleti del nuoto pinnato. Lezione dopo lezione riuscì a rendere il nuoto una vera passione. Non volevo perdermi un allenamento ed ero anche bravina. E poi lì, al corso di nuoto, ero una come tante, non la ragazzina malata. Potevo mostrare a tutti di che pasta ero fatta, ed ero decisa a nuotare sempre di più, sempre più veloce», spiega Christine.
Il nuoto è stata una passione ventennale che, pian piano, è andata scemando, le sedute in piscina sono divenute piatte e, alla fine, un po’ noiose.
Il nuovo amore: la mountain bike
«Per fortuna poi è arrivata la mountain bike, una passione che mi ha trasmesso Paolo, mio marito», aggiunge la nostra protagonista.
«Avevo abbandonato la piscina già da 5 o 6 anni, ero risucchiata dal lavoro e avevo veramente bisogno di una valvola di sfogo per mente e corpo. Ma da diabetica avevo bisogno di fare attività con uno sforzo programmato, in modo da gestire al meglio la mia dose di insulina. Ho risolto con l’aiuto di Paolo e del suo team di amici biker: loro provano i percorsi, con il mio ritmo di pedalata, e poi decidiamo insieme dove andare. Ormai di itinerari testati ne abbiamo a decine, quindi siamo tranquilli. E i benefici per me sono tanti: relax mentale, perché passiamo qualche ora immersi nella natura, divertimento, perché sto con Paolo o con il gruppo degli amici, ed è migliorata di nuovo la sensibilità insulinica, quindi ho bisogno di meno insulina. E poi ho più fiato, sento meno la fatica, e glutei e cosce sono belli tonici».
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Articolo pubblicato sul n. 46 di Starbene in edicola dal 30 ottobre 2019