Più della metà degli italiani è convinta che il dolore ai piedi sia una delle piccole torture della vita (fonte: Astra ricerche). E secondo l’Associazione italiana podologi siamo i cittadini europei con il più alto numero di problemi di salute alle estremità. La soluzione? Imparare a prevenire i disturbi più comuni e, se si manifestano, correre ai ripari nel modo più efficace. Proprio come ti spiegano i nostri esperti.
Alluce valgo, cosa fare
L'alluce valgo, la tipica “cipolla” che si forma su un lato del piede, colpisce soprattutto le donne: «In Italia circa il 40%, in misura di 10 a 1 rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia tra i 40 e i 60 anni», spiega il dottor Massimiliano Nocente, specialista in ortopedia ed esperto in chirurgia del piede presso la Casa di cura San Feliciano di Roma.
«Il problema si presenta quando l’alluce devia lateralmente verso le altre dita e, al tempo stesso, si torce all’interno anche il primo metatarso, provocando un rigonfiamento laterale».
Le cause? «Prima di tutto una predisposizione familiare, ma anche portare spesso tacchi superiori agli 8-10 cm o scarpe con una punta accentuata».
L’alluce valgo tende ad aumentare con l’età e può anche causare disturbi posturali sempre più gravi, perché modifica il modo di distribuire il peso sulla parte anteriore dell’estremità, con ripercussioni su schiena e ginocchia. Meglio, quindi, farsi vedere subito dallo specialista: «All’inizio la terapia è quasi sempre conservativa, basata su farmaci antinfiammatori. Inoltre, si valuta l’eventuale uso di particolari tutori che mantengono il dito disteso e in posizione corretta. In abbinamento, si ricorre a esercizi specifici del piede come lo stretching delle dita».
Se il problema non si risolve o è già in fase avanzata, al punto da aver provocato anche una deformazione delle altre dita del piede, diventa necessario l’intervento: «Poco invasivo, si esegue in day surgery, in anestesia loco-regionale e dura circa 30-40 minuti. Il paziente può riprendere a camminare il giorno stesso, ma con molta cautela. Per 35-40 giorni dovrà indossare una calzatura ortopedica, poi solo scarpe comode per un altro mese e mezzo», specifica l’ortopedico.
Fascite plantare, i consigli del medico
Il sintomo classico della fascite plantare è una fitta che si avverte quando ci si alza al mattino o dopo essere stati seduti a lungo, che si attenua quando si comincia a camminare, per poi ripresentarsi nel corso della giornata e scomparire la notte.
«La fascite plantare è un’infiammazione della fascia fibrosa che parte dal calcagno e corre sotto la pianta del piede», sottolinea Massimiliano Nocente. Le cause sono diverse, per esempio allenamenti di running troppo intensi o l’aver indossato a lungo calzature molto basse. Se dopo 2-3 giorni il dolore persiste, vai dal medico: «Non servono particolari esami, spesso basta toccare il tallone perché il paziente “salti” dal dolore. In più, chi soffre di fascite talvolta può appoggiare male il piede e riesce con difficoltà a fletterlo “a martello”».
Che fare? «Anzitutto serve riposo. Nella fase acuta si prende un antinfiammatorio in compresse (una al dì per 5 giorni) e si applica del ghiaccio per circa 15 minuti, 2 volte al giorno per almeno una settimana».
Passati 10 giorni bisogna seguire una terapia a base di onde d’urto: «Dopo 4-6 applicazioni settimanali (un po’ fastidiose, ma durano pochi minuti) si torna a posto», tranquillizza il chirurgo.
Dolore all'avampiede: come contrastarlo
Quando si avverte il dolore all'avampiede si cammina come se si avesse un sassolino sotto la parte anteriore del piede e il fastidio aumenta dopo essere rimasti a lungo in piedi o aver fatto uno sport che prevede corsa e salti. Sono i tipici segnali della metatarsalgia: «Il dolore dipende dal fatto che il peso del corpo non è distribuito in modo uniforme su tutte le ossa al centro del piede, ma solo sui 3 metatarsi centrali. È molto più frequente nelle donne che portano tacchi alti e in chi presenta deformità congenite come alluce valgo o piede cavo», puntualizza Massimiliano Nocente.
Quando il problema è preso per tempo basta una terapia conservativa: «Riposo, ghiaccio, antidolorifici al bisogno e, in alcuni casi, un plantare. Chi è sovrappeso dovrebbe dimagrire e bisogna evitare i tacchi alti», sottolinea l’esperto. Se dopo 3 mesi non ci sono risultati, se la situazione peggiora o il problema è stato trascurato a lungo, potrebbe servire un intervento: «Mini invasivo, dura circa 20-30 minuti per ogni dito. Dopo 30-40 giorni si torna a camminare bene, ma per lo sport bisogna attendere 3 mesi», conclude l'ortopedico.
Piede piatto, le soluzioni
Quando l’arco plantare “cade”, cioè diminuisce gradualmente fino a scomparire, si soffre di piede piatto: «In genere accade se il peso del corpo preme sull’interno dell’estremità, fino a cambiare la conformazione della caviglia. In pratica, il tallone si sposta verso l’esterno e la pianta tocca completamente terra», puntualizza Massimiliano Nocente.
Le ragioni del piede piatto possono essere molte: «Da una debolezza congenita di legamenti e capsule articolari a traumi o lacerazioni del tendine tibiale posteriore, fino all’obesità o al forte sovrappeso», continua l’esperto. Se però quando ci si mette sulle punte dei piedi il problema scompare o si attenua molto, quasi sempre basta un trattamento conservativo: «Antinfiammatori per 5-7 giorni associati a 10 sedute di Tecar o laserterapia (a giorni alterni), e a un plantare su misura da indossare per 30-40 giorni, risolvono o attenuano molto il problema», continua il medico.
Quando il piede piatto è molto marcato, invece, è necessaria l’operazione: «Eseguita in day hospital, dura circa 20 minuti e si effettua in anestesia loco regionale. Tramite un’incisione di 1,5 cm, all’altezza del malleolo esterno, il chirurgo introduce una vite nello spazio tra il calcagno e un osso chiamato astragalo, per impedire che il piede si deformi sotto il peso del corpo e ripristinare così l’arco plantare» spiega l'ortopedico.
La ferita si chiude con un solo punto di sutura e, subito dopo l’operazione, il piede viene fasciato con un bendaggio morbido e compressivo che lascia le dita libere, da togliere dopo 3-4 giorni. Nelle 3 settimane successive all'intervento si cammina con le stampelle, mentre per riprendere a fare sport occorre aspettare un mese e mezzo.
Verruche e funghi: cosa fare
Forma tondeggiante, colore marroncino con dei puntini neri all'interno, fastidiosa ma raramente dolorosa. È la verruca: «Il suo responsabile è uno dei tanti sottotipi del Papillomavirus umano, che prolifera soprattutto negli ambienti caldo umidi come docce e piscine», spiega il dottor Luca Mancini, dermatologo dell'ospedale Humanitas di Rozzano (Milano).
«La verruca cresce sulle pieghe naturali della pelle, soprattutto nella parte centrale della pianta», precisa il dermatologo. Il modo migliore per eliminarla è una soluzione a base di acido salicilico, dall'effetto esfoliante: «Si applica quotidianamente una goccia, prima di andare a dormire, al centro della verruca. In qualche minuto si crea una crosticina bianca, segno che il farmaco sta agendo. Il giorno dopo, per la seconda applicazione, bisognerà limare via la crosticina (con una specie di piccolo cucchiaio) e rifare la stessa operazione. Se non è troppo grande, in un mese circa dovrebbe guarire».
Occhio però anche ai funghi: «I responsabili delle micosi sono i dermatofiti, i cui enzimi sono in grado di rompere la cheratina della pelle per farsi spazio», precisa il dermatologo. Per rischiare il contagio basta venire a contatto con una superficie su cui sono presenti questi funghi, ma riconoscerli è semplice: «Sono chiazze multiple che tendono ad allargarsi, causando arrossamento e desquamazione della pelle, prurito e bruciore».
Come affrontarli? «Occorre prima avvolgere la parte con una garza, per impedire che le squame si diffondano. Quindi serve un antimicrobico e antimicotico, come una crema a base di zolfo e acido salicilico, da applicare sulla parte con una garza o un guanto, 2 volte al giorno, per un paio di settimane», conclude l'esperto. Si può comunque prendere il sole e fare il bagno, basta asciugarsi con cura.
Camminare scalzi, sì o no?
Ma camminare scalzi fa bene o no? Dipende dalla superficie sulla quale ti muovi: «Se troppo liscia, come un pavimento in parquet o mattonelle, il piede non riceve sufficienti stimoli da inviare al cervello per favorire la propriocettività, cioè la capacità di percepire e riconoscere la posizione del corpo nello spazio», mette in guardia il dottor Sergio Lupo, specialista in medicina dello sport a Roma.
«Molto meglio, invece, camminare a piedi nudi su superfici irregolari. Questo può provocare una sensazione di leggero fastidio al piede, come quando ci si muove su ghiaia, sabbia o un prato ma la propriocettività viene stimolata intensamente».
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