di Laura Della Pasqua
1. Il tampone si potrà fare grazie all'intelligenza artificiale?
2. C’è una relazione tra Covid e Alzheimer?
3. Quanto dura l’incubazione delle varianti?
1. Il tampone si potrà fare grazie all'intelligenza artificiale?
Addio tamponi molecolari e antigenici. Ora il test della positività si fa tramite smartphone, con un’app che analizza la voce e rivela la presenza dell’infezione. Questo nuovo metodo, presentato al Congresso Internazionale della European Respiratory Society che si è tenuto a Barcellona, sfrutta l’intelligenza artificiale e ha il vantaggio di essere economico e facile. Rappresenta quindi un’alternativa alle rilevazioni finora usate soprattutto in quei Paesi dove i test arrivano con difficoltà.
Inoltre, stando alla sperimentazione, il nuovo metodo di rilevazione risulterebbe più affidabile dei tamponi rapidi. I ricercatori sono partiti dai dati raccolti dalla app Covid-19 Sounds dell'Università di Cambridge, che conteneva 893 campioni audio registrati da 4352 partecipanti, 308 dei quali positivi alla covid. I volontari che avevano installato l’applicazione, dopo aver fornito alcune informazioni come l'età, il sesso, se fossero fumatori o meno e se avessero malattie, dovevano effettuare alcune registrazioni: tossire tre volte, respirare profondamente con la bocca da tre a cinque volte, e leggere una breve frase tre volte. I positivi sono emersi nell'89% dei casi e i negativi nell'83% dei casi.
Gli autori della ricerca hanno spiegato che “i tamponi rapidi hanno una sensibilità di appena il 56% (contro l'89% dell'app), ma una specificità del 99,5% (contro l'83% dell’app)”. Questo significa che gli errori sono più frequenti nei test rapidi che si lasciano sfuggire un positivo in 44 casi su 100 (identificandolo come negativo) contro le 11 volte su 100 del nuovo metodo. I ricercatori hanno poi sottolineato che i test possono essere forniti gratuitamente e siccome i risultati sono di facile interpretazione e per il risultato occorre meno di un minuto, potrebbero essere utilizzati per controllare le persone che assistono a eventi di grandi dimensioni, come concerti o eventi sportivi.
2. C’è una relazione tra Covid e Alzheimer?
Uno studio del Case Western Reserve University School of Medicine di Cleveland (Usa), pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease, sostiene che gli anziani contagiati dal Covid, sono più esposti al rischio di ammalarsi di Alzheimer.
Il pool di ricercatori ha esaminato 6,2 milioni di cartelle cliniche di americani di età pari, o superiore, a 65 anni senza Alzheimer che tra febbraio 2020 e maggio 2021 avevano ricevuto cure mediche, di cui 410.748 anche per Covid. È emerso che coloro che si erano infettati presentavano un rischio di quasi il 70% in più di ricevere una diagnosi di Alzheimer entro un anno dal contagio. Un aumento maggiore riscontrato negli over 85 (+89%), e nelle donne (+82%).
Gli studiosi però hanno sottolineato che i dati non sono ancora sufficienti per affermare che il Covid rappresenti, effettivamente, un nuovo fattore di rischio, o che possa accelerare lo sviluppo della malattia latente. Questo fenomeno degenerativo colpisce, solo in Italia, 600mila persone. A livello globale si parla di 47 milioni e si stima che entro il 2050 i casi triplicheranno.
3. Quanto dura l’incubazione delle varianti?
Per sopravvivere il Covid, oltre ad aver sviluppato numerose varianti, ha anche mutato i tempi di manifestazione. Uno studio pubblicato sul Journal of American Medical Association Network Open dimostra che il periodo di incubazione si è notevolmente accorciato.
Un team guidato da scienziati della Peking University e della Tsinghua University, di Pechino che ha eseguito la revisione di ben 142 studi per un totale di oltre 8mila pazienti (8.112), ha visto che si è passati da cinque giorni di Alfa ai 4,5 giorni di Beta a 4,4 di Delta fino a meno di tre giorni e mezzo per la variante Omicron. I sintomi si sviluppano prima perché il virus è più contagioso che in passato al punto che ci si può reifettare due, tre volte anche se le manifestazioni aggressive sono minoritarie.
Diventa fondamentale sapere quanto tempo impiega un virus a replicarsi perché consente di capirne l'evoluzione e mettere in atto le contromisure per evitare i cluster di contagio. Ora l’attenzione è concentrata sulla nuova variante Centaurus e gli studiosi si interrogano se prenderà il posto di Omicron, favorita dalla stagione invernale. In provetta ha dimostrato una capacità superiore di infettare, ma va visto sul campo.