di Laura Della Pasqua
1. Chi è guarito può fare subito sport?
2. Come va preso il nuovo antivirale Paxlovid?
3. Il virus ha aumentato il numero dei diabetici?
1. Chi è guarito può fare subito sport?
«Soprattutto nell’ultimo anno ci siamo resi conto, dalla rivalutazione di molte esperienze e dati scientifici, che i pazienti guariti dal Covid, soprattutto se sintomatici, sono a maggior rischio di eventi cardiovascolari». Parte da questa riflessione Alberto Cremonesi, responsabile del dipartimento cardiovascolare di Humanitas Gavazzeni per affrontare le problematiche che riguardano chi ha superato l’infezione.
«È stato ampiamente documentato che il Covid può creare rischi cardiovascolari. Dobbiamo però ricordarci che li può creare soprattutto nei pazienti con un’alta comorbilità o già portatori di malattie cardiache o vascolari». Cremonesi sottolinea che «se l’attività fisica può essere un elemento di riabilitazione fondamentale per la ripresa del buono stato di salute, dovrebbe essere intrapresa solo dopo una valutazione cardiologica che non comprende solo la visita e l’elettrocardiogramma, ma anche un ecocardiogramma e una prova da sforzo. Quindi insistiamo su un piccolo accertamento in più per chi ha avuto il Covid: una maggiore attenzione nella valutazione funzionale se queste persone hanno intenzione di rimettere nella propria vita un po’ di attività fisica ad alto impegno cardio-respiratorio».
2. Come va preso il nuovo antivirale Paxlovid?
Può essere prescritto dai medici di base e acquistato in farmacia. La lotta al Covid si arricchisce di un’arma di più facile somministrazione. Si tratta del Paxlovid, prodotto da Pfizer. È un antivirale che ora può essere prescritto dai medici di famiglia nei casi che non hanno bisogno di ossigenoterapia supplementare e che presentano un elevato rischio di sviluppare una forma severa di Covid.
Le pillole sono gratuite per tutti i pazienti che ne avranno bisogno in urgenza. È un passo in avanti nelle terapie contro il Covid in quanto prima il medicinale poteva essere venduto al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri individuati dalle Regioni.
Il Paxlovid contiene due principi attivi: il Nirmatrelvir e il Ritonavir. Il primo agisce per ridurre la capacità del virus di replicarsi nell’organismo. Mentre il secondo non ha attività antivirale ma funziona da booster farmacologico prolungando l’azione di Nirmatrelvir. Vanno prese tre compresse, 2 volte al giorno, ogni dodici ore, per 5 giorni.
Il livello di efficacia è molto alto: riduce dell’89% i ricoveri e i decessi. È fondamentale la tempestività. La somministrazione va effettuata entro 5 giorni dall’inizio dei sintomi, non dall’esito del tampone. I medici devono prescriverlo solo a seguito di un tampone effettuato in farmacia e non quello a casa. Spesso i pazienti tendono a sottovalutare i sintomi scambiandoli per un raffreddore o l'inizio di un'influenza e tardano a farei test. Sul sito della Regione Lazio, tra i primi ad adottarlo, si legge che «nonostante le reazioni avverse, gli studi hanno dimostrato che la pillola contro il Covid non reca problemi acuti. Fino ad oggi gli unici effetti collaterali riscontrati sono cefalea (come nell’1,4% dei casi) o vomito (1,1%)».
Per il trattamento contro il virus ci sono altri due antivirali. Il Lagevrio (Molnupiravir), è come il Paxlovid, per via orale. Non ha ancora ricevuto l’approvazione della Commissione europea, ma in Italia ne è stata temporaneamente autorizzata la distribuzione (dalla fine del 2021) e il suo utilizzo, ma solo in ospedale. Ad uso endovenoso è il Veklury (Remdesivir) dell’azienda Gilead Sciences.
3. Il virus ha aumentato il numero dei diabetici?
Secondo gli ultimi dati 2020 della Società italiana di diabetologia e del Consorzio Interuniversitario Nazionale, il 6,2% della popolazione italiana soffre di diabete. Significa che ci sono 4milioni di persone che hanno questa patologia, di cui 3milioni e mezzo, cioè la maggior parte, ha il tipo 2 (detto anche diabete dell’adulto) e 200mila il tipo 1 ( quello che si manifesta in età pediatrica e non è legato all’alimentazione). Poi ci sono altri casi di diabete specialistico. Ogni anno sono registrati 380 mila nuovi malati.
Cosa accade se sono contagiati dal virus? «Le persone con diabete sono a rischio di forme gravi di Covid, più di chi non ha questa patologia e sono maggiormente esposte agli effetti del cosiddetto Long Covid. Durante la pandemia abbiamo registrato un aumento dei casi» spiega Antonio Carlo Bossi, responsabile di Diabetologia di Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
Che legame c’è tra il Covid e l’incremento dei diabetici?
Ha influito il cambio delle abitudini causato dalla pandemia: vale a dire la minore possibilità di fare attività fisica dovuta ai vari lockdown, l’iperalimentazione e lo stress psicofisico. Sono tutte condizioni che hanno avuto attività su quella forma di intolleranza agli zuccheri chiamata “pre diabete” e possono aver generato un aumento dei casi, spesso diagnosticati tardivamente a causa dell’affollamento degli ambulatori medici alle prese con il Covid.
Quindi può aver influito anche lo stress da virus?
Sì, perché esiste un’iperglicemia da stress. Tutte le malattie, compreso il Covid, causano un aumento della glicemia. Questa condizione è legata a una resistenza dell’insulina a livello periferico: vale a dire che l’insulina non riesce a svolgere le sue funzioni periferiche e vengono liberate grandi quantità di acidi grassi che peggiorano l’azione stessa dell’insulina. Inoltre lo stress libera le citochine che sono fattori di infiammazioni. Tanto è vero che una delle situazioni più temibili da Covid è la cosiddetta “tempesta citochinica”.
Ci sono studi sul legame tra Covid e diabete?
È stata studiata l’alterazione della funzione betacellullare causata dal virus. Questo penetra nelle cellule del pancreas che producono insulina (cellule beta), provocandone la riduzione, e aumentando la produzione di ormoni che contrastano l’insulina, come il glucagone. Così aumenta il rischio di contrarre questa patologia. Hanno influito anche le terapie.
In che modo?
I pazienti con forme gravi di Covid sono stati trattati sia a domicilio sia in ospedale, con dosi di cortisone molto elevato che aumenta la possibilità di formazione di diabete secondario. Inoltre è ancora in fase di studio l’alterazione che il Covid può determinare a livello delle beta cellule e dal punto di vista immunitario. Il virus avrebbe un impatto sui linfociti T, alterando la risposta immunitaria e favorendo la persistenza dell’azione del Covid nel tempo. Su questo poi probabilmente si innescano delle alterazioni del nostro sistema nervoso autonomo che non riesce bene a contrastare tali situazioni: si parla di iper attività del sistema nervoso autonomo.