Il caregiver è donna. Ma il primo passo è proteggere se stesse

Solo chi si prende cura di sé può dedicare agli altri le stesse attenzioni con efficacia ed equilibrio. Parola di esperta



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Organizzatrice dei controlli e caregiver, madre e dispensatrice di buoni consigli: oggi la donna rimane il protettore della famiglia, soprattutto della sua sicurezza globale, un ruolo che si è consolidato dopo la pandemia e dalle tante facce, forse troppe. Citiamone alcune: ricordare, soprattutto ai maschi di casa (e convincere figli, partner...) di andare alle visite programmate (fissate da lei), di prendere con regolarità e precisione (senza “dimenticarseli” quando passano i sintomi) i farmaci necessari per superare le varie malattie di stagione e non (è sempre lei che ha il collegamento con Paziente consapevole, il network del SSN che dispensa ricette ed esami), di occuparsi delle trasformazioni ormonali (fisiche e psicologiche) delle figlie, di gestire chiunque in casa abbia febbre e dolori, senza parlare del genitore over 70. Troppo.

E se la mamma si ammala? Qui le teorie sono due: “non può ammalarsi” oppure “si blocca tutto”. È tempo di cambiare. A partire dalla protagonista. Che deve capire oggi, soprattutto dopo la lezione impartita dal Covid, che non è invincibile, che non può pensare sempre e solo lei e a tutto lei, e che la prima a doversi proteggere è proprio la Caregiver per antonomasia (il 71% dei caregiver è di sesso femminile). Perché se proteggi te stessa proteggi anche gli altri. Un cambio radicale di mentalità quello che necessita la vera protezione di tutti. Come ci spiega Maria Giovanna Luini, medico oncologo e autrice di Parla come ami, Mondadori.


Voi donne siete le vere Wonder Women della protezione familiare: ma il sistema regge?

Le donne hanno molto ben chiaro, quasi in modo ossessivo, il prendersi cura degli altri. Ma non hanno la stessa attenzione verso di sé e, facendo così, depotenziano anche la cura che prestano per gli altri. Se io aiuto ma non ho dentro di me quella consapevolezza del volersi bene e del curarsi in prima persona (prevenire, darsi attenzione) io non sono abbastanza efficace neanche quando mi curo degli altri, sto solo esercitando quella tendenza femminile a prestare aiuto, senza l’efficacia che dovrebbe avere. Come se fosse un dovere, un esercizio ripetitivo non pensato, solo eseguito.

Che cosa si sbaglia?

Manca la base concettuale. Se io mi prendo cura di me so cosa vuol dire tutelarmi, volermi bene, riverso sugli altri la medesima attenzione, e quindi quella cura non sarà mai eccessiva, fuori centro, pressante, opprimente, ma sarà addirittura un esempio da copiare, diffondere. Sarà una protezione carica di una genui- na conoscenza di cosa significa veramente occuparsi degli altri. Paradossalmente, si arriva a casi in cui chi ti vuole proteggere sempre e a tutti i costi si sentirà dire “guarda che questo non è quello di cui ho bisogno”, o rimarrà inascoltato. Ufficialmente queste persone si occupano di te, dimenticandosi di se stesse.


Come ripartire?

Dalle piccole cose di tutti i giorni. Come senologa non posso non raccomandare i controlli e la prevenzione che sono fondamentali, ma anche indossare sempre il caschetto in bici, non attraversare la strada parlando o guardando il cellulare (men che meno guidando), mettere la cintura di sicurezza anche se si deve spostare la macchina solo di poche centinaia di metri, comprare scarpe belle, che gratifichino ma anche comode e adatte a ogni uso e che non espongano a storte o cadute (quanti i traumi per calzature inadatte!). Sembrano banalità, ma sono piccole attenzioni di tutti i giorni, e così ti rendi conto che queste sono donne che mettono il cuore nelle cose che fanno innanzitutto per se stesse, stimolando lo spirito di emulazione. Dicono tutti che siamo multitasking ed è vero, ma troppo spesso anche dominate dalla fretta: rallentiamo, fermiamoci e guardiamo a noi. Da qui inizia la prevenzione-protezione personale.


Quindi chi non ha cura di sé non lo farà bene per gli altri?

Come minimo sarà poco convincente: mi prendo cura di me e quindi mi prendo cura di te, come faccio con me faccio con te, e questo semplice approccio trasmette fiducia. Quando una paziente mi dice che ha paura di fare la mammografia io da seno- loga rispondo: ho paura anch’io, ma poi l’ho fatta il mese scorso e mi creda, dopo ero contenta. Se io ho davanti una persona che devo convincere a prendersi cura di se stessa e questa percepisce che io quella cosa che raccomando non la faccio, o ne faccio una diversa, sarà meno convinta.


Chi protegge deve diventare una specie di mentore?

Proteggi davvero se credi nella protezione che dai. Nei Fiori di Bach, rimedi naturali usati in certi tipi di psicoterapia e nella medicina olistica, ce n’è uno che serve a “placare” le persone che a tutti costi vogliono aiutare gli altri dicendogli che cosa è meglio, e “decidono loro” di sapere come ci si debba proteggere o comportarsi per stare bene. Questo è un disturbo della personalità, che non è utile neanche agli altri: sono i fanatici dell’aiuto, approccio che non ha la base del vero aiutare, che è l’amore altruista ma anche personale.


Amore nel prendersi cura...

L’amore nell’aiutare e nell’aiutarsi rende più consapevoli e certi compiti meno faticosi. La rinuncia a un vizio che però ci dà sollievo e piacere (come il fumo) si fa se c’è amore per se stessi o per gli altri. Anche perché proteggere senza avere il propellente della conoscenza (e una solida base in noi di autocura) brucia le riserve, e allora corriamo il rischio di prenderci carico di una persona fragile e di mollarla per esaurimento benzina a metà strada, magari in un momento cruciale del percorso. Penso a chi per esempio deve seguire un malato di depressione o di una patologia cronica, un’opera che richiede, anche e soprattutto nei familiari, solidità personale, amore e infinita comprensione.


Come evitare errori?

Bernie Siegel, chirurgo e autore di Amore, medicina e miracoli dice che prima di fare qualcosa che ci fa bene dobbiamo provare a disegnarlo. Se il disegno è cupo, vuol dire che dentro di noi quel prendersi cura ha qualcosa che non va. Proviamo allora ad ascoltarci, e cerchiamo di rendere il disegno più chiaro, armonico.


E a proteggersi come si ricomincia?

Quando incontro una paziente che a furia di pensare agli altri non pensa più a se stessa parto da una domanda: le chiedo a qua-le immagine e simbolo di donna si sente in quel momento. Di solito queste persone si vedono accudenti, gentili, tolleranti, quasi mai sensuali. La persona interrogata si rende conto che tutto il suo dare spesso le ha fatto perdere parte della sua femminilità. Dobbiamo ripartire da lì, riconquistare la parte sensuale. Vedo che funziona soprattutto nei gruppi di terapia: mettere a confronto persone con esperienze di caregiving che “hanno dato” fino all'esaurimento personale con altre che, pur avendo aiutato molto, non hanno perso il femminile che le contraddistingue, che non sono cioè diventate solo crocerossine, ha un’efficacia incredibile. E che si trasmette nel gruppo.


Ci sono esercizi che possono aiutare a ripartire da sé?

Tantissimi, e funzionano bene. Prendersi un’ora tutta per noi, lasciando perdere tutto. Guardarsi allo specchio e parlarsi, dicendo a se stesse cose tipo “io sono bella” e sorridere: all’inizio ci si potrà sentire imbarazzate, ma se si continua funzionerà. Parlando con l’immagine allo specchio e guardandosi negli occhi si percepirà, in breve tempo, che a livello del cuore e dello stomaco ci si rilassa, ci si distende. E mai dire qualcosa di negativo, o colpevolizzarsi per non fare abbastanza o essersi dimenticate di noi.


Cosa ci ha insegnato il Covid in termini di protezione?

Che per proteggersi e proteggere occorre unità e un senso di comunità emotiva profonda. Occorre che chi propone gli strumenti di prevenzione abbia una comunicazione univoca, dia sicurezza attraverso la chiarezza e la solidità di chi parla. Gli altri siamo noi. Prendiamo il bere alla guida. Le giovani generazioni ci stanno insegnando che se si beve a una festa, chi guiderà si astiene dall’assumere alcol, e i ragazzi lo fanno davvero. Ciò è fondamentale, perché sono loro i caregiver di domani, i destinatari delle azioni di protezione di tutta la collettività. Magari saranno meno attenti a certi aspetti della salute (la famosa invincibilità dei ventenni), ma sono sensibilissimi a tematiche che riguardano la prevenzione e la tutela: guarda per loro quanto pesa il tema ambientale e quanto, per molto tempo, ha pesato poco per noi.

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