Con l’emergenza sanitaria da Coronavirus è scattato per tanti l’obbligo di ricorrere allo smart working. Un repentino cambio di abitudini, tra postazioni installate al volo e connessioni Internet non sempre affidabili, che ha trasformato il desiderio di tanti lavoratori in un impegno quotidiano tutto da verificare. Con l’aggravante di una forzata permanenza tra le mura domestiche. «E il primo rischio sta nel non riuscire a separare i tempi professionali da quelli personali, diventando così ancora più vulnerabili nei confronti dello stress», osserva il dottor Gabriele Traverso, psicologo e psicoterapeuta. Con la sua consulenza e con quella del dottor Terenzio Traisci, psicologo del lavoro, vediamo allora come evitare che ciò accada e in che modo affrontare i problemi non solo logistici del telelavoro ai tempi del Coronavirus.
Mantieni la tua routine
«Il cervello umano si adatta molto facilmente alle abitudini e, se queste vengono meno all’improvviso, il disagio può facilmente avere il sopravvento», avverte il dottor Traverso. «Per quanto possibile, bisogna quindi impegnarsi a mantenere le medesime ritualità, lo stesso ordine delle cose». Tradotto nella pratica quotidiana: conservare le “vecchie” sequenze (dalla doccia alla prima colazione, dal farsi la barba per gli uomini al truccarsi per le donne) predispone a una buona giornata lavorativa assai più che passare dal pigiama alla tuta e avviarsi subito ad accendere il computer mentre si sgranocchia una fetta biscottata e si trangugia una tazza di caffelatte.
E si può fare anche meglio: «Stiamo affrontando questa quarantena per la salute collettiva e individuale, no? E allora ribaltiamo la prospettiva e prendiamola anche come una motivazione per rendere più sano il nostro stile di vita», esorta il dottor Traisci. «Per esempio, i sedentari possono iniziare a sfruttare parte del tempo guadagnato sugli spostamenti per riprendere a fare una regolare attività fisica in casa o all’esterno secondo quanto permesso dalle normative. Anche perché lo sport è la migliore arma per abbassare i valori di cortisolo, l’ormone dello stress, che tra l’altro rende più vulnerabile il nostro sistema immunitario».
Programmare per gestire l'ansia
Anche nell’alternanza lavoro/riposo, pur con l’elasticità richiesta da una condizione straordinaria, è necessario istituire una regolarità di massima, con fasce orarie di impegno simili a quelle di sempre. «Nel rispetto dei propri compiti, gestire le energie e dare il giusto spazio al relax è anche funzionale a reggere dal punto di vista psico-fisico una situazione che in questo momento nessuno sa quanto possa durare», sottolinea il dottor Traverso.
«Per aumentare la propria capacità di resistenza è insomma anche utile porre qualche paletto». E programmare la propria agenda proprio come se si fosse in ufficio anziché a casa: «Più azioni sono sotto il nostro controllo, più riusciamo a gestire l’ansia», afferma il dottor Traisci. «Perché ciò avvenga, bisogna però continuare a pensare che esiste anche l’orologio. Per esempio, nel caso di chiamate di lavoro o conference call può servire il dichiarare subito la propria disponibilità di tempo e motivare il perché. Così facendo, colleghi o clienti leggeranno la cosa non come un indice di scarsa disponibilità, ma di organizzazione».
Non rinunciare alla pausa relax
Il caffè della moka è sicuramente meglio di quello della macchinetta, ma berselo rimuginando tra sé e sé non è il massimo. In altre parole, mancano quelle quattro chiacchiere in pausa con i colleghi. «Che possono essere sostituite con una breve telefonata a una persona cara, che magari non si sente da tempo: il cervello ne beneficerà ancora di più», suggerisce il dottor Traverso.
Informarsi sì, ma non di continuo
Anche se è più che comprensibile il bisogno di sapere come stia evolvendo l’emergenza, rimanere con gli aggiornamenti tv in perenne sottofondo o continuare a smanettare con lo smartphone tra siti e social non è una mossa vincente. E non solo perché è un potenziale fattore di distrazione: «Nel nostro cervello si trova l’amigdala, una sorta di radar sempre all’erta per registrare possibili fonti di pericolo», spiega il dottor Traisci. «È allora facilmente intuibile come ascoltare della musica a basso volume mentre si lavora, anziché un notiziario dopo l’altro, sia l’opzione da preferire».
E quando tutto sarà finito?
«Ci sarà chi purtroppo uscirà provato da questa esperienza, ma anche chi ne sarà rafforzato, perché avrà imparato a utilizzare meglio il suo tempo, non solo dal punto di vista lavorativo», risponde il dottor Traverso. «Per esempio, qualcuno saprà finalmente combattere quella noia che lo assaliva nel weekend, impedendogli di ricaricare le pile». E qualcun altro avrà capito se lo smart working fa davvero al caso suo oppure no.
Conference call: le 3 mosse vincenti
1. «Prima di accendere la webcam respira un po’ con il diaframma per favorire un atteggiamento rilassato e propositivo», suggerisce Traisci.
2. «Sorridere funziona sempre, perché grazie al meccanismo inconscio dei “neuroni specchio” genera empatia con gli interlocutori», spiega lo psicologo del lavoro. «Ed è la mossa giusta anche se non ti vedono, perché comunque aiuta il tuo stato d’animo».
3. «Anche la tecnologia più evoluta non può trasmettere tutti i messaggi (mimica, vicinanza fisica, interazioni) della comunicazione dal vivo, con il rischio di malintesi», sottolinea Traverso. «Se si è poco abituati o in situazioni “delicate”, una conference call solo via audio può rivelarsi più efficace».
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Articolo pubbicato nel n. 15 di Starbene, in edicola e nella App dal 24 marzo 2020