Psicoterapia del fare: esercizi fisici per superare ansia e ossessioni

Non solo parole dette e ascoltate. Anche il corpo deve entrare in gioco nel percorso di cura. C’è chi combatte le nevrosi lavorando a maglia o modellando la creta, chi i blocchi psicologici facendo Pilates, chi mette ko l’ansia scrivendo, giocando con le carte o… provando una macchina antigravità. L’importante è agire



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Quando pensiamo alla psicoterapia, in genere immaginiamo un lungo colloquio con il terapeuta, fatto di scambi di emozioni in cerca di risposte che ci riportano alle sceneggiature di Woody Allen (uno dei registi-attori che più ha parlato, in chiave ironica, dell’analisi) o a confessioni fatte distesi su un lettino come quello di Freud (c’è chi dice che fosse un semplice divano coperto di tessuti, chi una chaise longue come quelle dei film).

Dopo la pandemia poi, lo studio dello specialista si è trasferito persino a casa nostra, con le sedute online. Fra l’antico e il moderno, fra il “vecchio psicologo” che si sedeva dietro al paziente per non influenzare con la sua presenza l’accesso all’inconscio, a quello di oggi che ti “analizza” in videochiamata, di sicuro la parola è ancora la protagonista in questo campo. Ma è meno “sola”, unica.

«Sempre più spesso si affianca infatti alla “psicoterapia del fare”, cioè a esercizi fisici che vengono eseguiti in presenza del terapeuta ma anche a casa, per superare i momenti di ansia, liberarsi dalle ossessioni, combattere le nevrosi», spiega la dottoressa Maria Giovanna Gatti, medico psicosomatista e psicoterapeuta formatasi all’Istituto Riza di Milano.

«Perché l’efficacia della psicoterapia non sta solo nelle parole dette e ascoltate, che rimangono la forma di cura e di trasmissione energetica più alta, ma anche in certi atti: noi siamo mente e corpo integrati. Molti tipi di terapia, soprattutto quella bioenergetica, dicono che la mente è il corpo e viceversa. Il pensiero non ha dunque sede e nascita solo nella scatola cranica, ma è dappertutto nell’organismo, perché il nostro sistema nervoso è ovunque. E questo lo dice la scienza, non solo la psicologia».


Il magazzino dei traumi

Dalla metà del ’900 hanno iniziato a diffondersi le prime teorie secondo le quali il nostro corpo è in grado di ricordare e immagazzinare i traumi e le esperienze negative. Per lo statunitense Alexander Lowen, fondatore dell’analisi bioenergetica, le emozioni possono essere trattenute nell’organismo sotto forma di tensioni muscolari.

«Sono i cosiddetti blocchi energetici, che vengono nascosti dalla mente in qualche angolo segreto del nostro essere fisico e vanno sciolti un po’ con la parola, un po’ con il movimento», precisa la dottoressa Gatti. «Per esempio, c’è l’approccio psicoterapeutico che si avvale della danza come accessorio fisico o del Pilates, che si è dimostrato molto efficace in numerosi casi. Osservando il corpo dei pazienti (come si siedono, come si muovono, dove mettono le mani mentre parlano, quale inclinazione prendono se ti guardano di fronte o si girano) il terapeuta capisce che “tutto” il suo essere sta partecipando attivamente all’emotività e allo stato psichico del momento».

Quando le energie del corpo sono bloccate, diversi tipi di movimento, anche quello indotto (come un massaggio) e passivo le libera.


  • 1. Il lavoro delle mani


Che sia sabbia o creta, lavorare queste materie con le mani ha benefici effetti sull’umore.vMa qualsiasi oggetto o materiale può diventare un aiuto. Lo sapevano bene le nostre nonne e mamme che si dilettavano a fare la maglia o l’uncinetto, la pratica fisica (e utile) antesignana di queste terapie.

«Far sì che il corpo partecipi alla cura: questo è lo scopo dell’uso delle mani», sottolinea la dottoressa Gatti. «È una delle esperienze fisiche che, unite alla psicoterapia, ha più efficacia sulle nevrosi, un disturbo molto diffuso che consiste principalmente nel percepire un senso diffuso di inadeguatezza, che si esprime con ansia e preoccupazioni spesso infondate o eccessive, con sintomi come tremori o sudorazione. Se io uso le mani, impedisco al mio cervello di entrare in un cortocircuito ossessivo. Le terapie più avanzate usano queste tecniche (che si possono fare a casa) anche per l’ansia acuta e la depressione iniziale. Sviluppare quindi una passione per un hobby manuale è fondamentale, perché agisce fisiologicamente fino a interrompere il circuito mentale dell’ossessività di un certo pensiero. Lo sanno da sempre gli orientali che si sono inventati le palline da schiacciare antistress per i manager troppo tesi».

Il materiale usato non è decisivo. «Ho una paziente che smonta e rimonta i motori delle vecchie auto con grande sollievo per le sue ansie, ma c’è chi ottiene lo stesso risultato restaurando mobili, dipingendo, scrivendo: l’elemento che non deve mancare mai è l’uso delle mani», sottolinea Gatti. «Sono pratiche che poi possono dare piacere: alle persone metodiche basta agire con le mani per ottenere un risultato, semplicemente rimettendo a posto casa, per fare un esempio».

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  • 2. Giocare con le carte

Una forma di psicoterapia manuale sta nel giocare con le carte. «Ormai per gli psicoterapeuti ci sono corsi ECM, cioè che danno crediti formativi, con i tarocchi», racconta la dottoressa Gatti.

«I tarocchi sono sostanzialmente immagini e tutto ciò che è immagine va direttamente all’inconscio, secondo la psicoterapia. E poi i tarocchi sono “facili”, perché al di là del credere o meno alla previsione del futuro, ognuno di noi, anche quando li vede la prima volta, tende a dargli un significato spontaneo, che è prezioso come informazione per il terapeuta. Esistono per esempio le carte Dixit, molto usate grazie alle loro immagini evocative che, da gioco per bambini, sono diventate strumento degli psicoterapeuti.

Io stessa ho fatto realizzare dei tarocchi speciali, i Tarocchi Genziana, proprio per aprire degli spazi psichici nei pazienti durante le sedute. Noi abbiamo reazioni alle immagini che sono molto più potenti rispetto a quelle verbali, basta dare in mano il mazzo di carte al paziente per constatarlo. Ed è sempre psiche e manualità che collaborano e convergono».


  • 3. Tagliare i capelli

Si è tagliata i capelli, ha cambiato pettinatura: da sempre ci sarà qualcuno che mormorerà “amore, rivoluzione in corso”. «Per la donna in effetti ha molto a che fare con l’identità sentimentale», commenta l’esperta.

«In psicoterapia è considerato il segnale più significativo della volontà di cambiamento. Spesso avviene molto prima che la persona si accorga che vuole cambiare qualcosa nella sua vita, è un segnale precoce, non sempre quindi è conseguenza di qualcosa. Negli uomini la chioma ha un significato di potere personale: chi la perde può avere un trauma (lo provano i mille tentativi di riavere i capelli perduti) che va trattato in psicoterapia».

Prendersi di nuovo cura di sé: in ogni caso questa è la chiave del superamento del trauma. Succede anche in oncologia (la dottoressa Gatti è anche senologa), dove le scuole di trucco, come quelle organizzate da La forza e il sorriso Onlus, fanno la diferenza nella riabilitazione anche psichica delle pazienti. «Recuperare una relazione positiva con il proprio corpo “offeso” da un tumore dona piacere ed è anche una terapia», conclude Maria Giovanna Gatti.


  • 4. Pene d’amore? Scrivi


Lo scrivere a mano è uno dei veicoli più potenti di unione fra cervello e corpo, soprattutto se si tratta d’amore.

«Nel bene e nel male, sia per dichiarare i sentimenti che per congedare una persona», spiega Gatti, che tiene dei seminari specifici sulla scrittura su Anima Tv. «La scrittura tira fuori il nostro demone interiore, la nostra ossessione, e io insegno a trasformare una scrittura “di pancia” in quello che è il sogno di tanti, scrivere un vero libro. Lo scopo di questa pratica è anche trasfigurare, cioè cambiare e trasformare il nostro problema in un’espressione scritta di sé, come nel diario. Se però non ci limitiamo al diario, che è di solito la prima forma di scrittura emotiva, e realizziamo un libro o un racconto vero e proprio, stiamo uscendo dal nostro problema psichico».

Un discorso a parte lo ha la lettera di chiusura di una storia d’amore, un mezzo “nuovo” rispetto ai congedi social di oggi con i messaggini o la chat, ma che ha una valenza catartica, di purificazione e superamento della pena d’amore. Lasciare chi ci ha deluso scrivendogli una lettera permette di mettere nero su bianco tutto quello che si ha da dire senza l’interferenza della presenza del destinatario, che potrà rispondere alla lettera oppure no.

Ma intanto, chi scrive, avrà liberato tutto ciò che è il presente e passato della storia da dentro di sé, senza il dubbio di non aver detto questo o quello per l'emozione di rivederlo. E poi una lettera si può scrivere “a rate” in qualsiasi momento: aggiungendo, rileggendo, togliendo.


La macchina che libera le emozioni

Pensate alla chaise longue-lettino dove si abbandonavano e confessavano i pazienti di Freud e portatela ai giorni nostri, tramutandola in una macchina ergonomica, Keope, che permette di sedervisi abbandonandosi totalmente, ma che trasmette vibrazioni al vostro corpo proprio durante la terapia. L’ha inventata Amedeo Maffei, psicologo, e viene usata dalla dottoressa Gatti come elemento integrante della parte fisica e bioenergetica della psicoterapia. «Keope dà delle vibrazioni ritmiche e mirate in varie parti del corpo, in base al settore corporeo scelto dal terapeuta e alla situazione psicologica da trattare», spiega l’esperta.

«Tenuto conto del risultato che si vuole ottenere, dell’età e delle condizioni fisiche e psichiche del paziente, il terapeuta imposta un programma che stimola dei punti precisi con le vibrazioni, che in genere durano 10 minuti e sono più o meno intense. Le persone “vibrano”, ma la sensazione più intensa che dà la macchina è la percezione di uno stato di fluttuazione, come se la gravità sparisse nel momento in cui cessano gli impulsi. Ottima per le nevrosi, Keope stimola il corpo in modo da velocizzare la liberazione di quelle energie bloccate delle quali parlavo in tema di traumi ed è particolarmente adatta in chi ha problemi motori, che migliorano. Da Keope si esce rilassati e con un senso di benessere».


È nato prima l'intestino del cervello

Uno degli organi più coinvolti nel rapporto mente e corpo è l’intestino. «Ma lo è fisicamente, perché il legame fra il cervello e il nostro apparato digerente è il più forte dal punto di vista delle connessioni che caratterizzano il sistema nervoso autonomo, e quindi dal punto di vista psicosomatico», commenta la dottoressa Gatti.

«Non a caso per l’intestino si è parlato di secondo cervello, ma oggi lo si considera il “primo”. Quest’organo sembra spesso pensare e agire prima che parta un impulso dalla nostra neurocentrale, anzi, è uno degli organi così coinvolti dal sistema nervoso autonomo (ne è circondato completamente) che a volte è lui a dare il primo input, il primo riflesso di ciò che poi diventa un pensiero ansioso che è diretta conseguenza, in questi casi, di come sta l’intestino».

Ecco perché i medici psicosomatici si preoccupano di curare anche gli organi, oltre che la mente.


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