Andrea Pinna è diventato popolare sui social grazie alle sue frasi irriverenti, le sue “perle”, con cui fotografa, ironizzandoli, paradossi e manie del vivere quotidiano e non solo. Attraverso il suo account @leperledipinna condivide pensieri ironici e
commenta l’attualità connil suo ormai noto sarcasmo. Ad oggi sfiora i 500mila follower su Instagram. Con la vittoria a Pechino Express, nel 2015, ha poi conquistato anche il pubblico televisivo.
Ed è proprio in quel momento, all'apice del successo, che qualcosa fa click e la sua vita, sempre in accelerazione, deraglia. La malattia, da latente, comincia a manifestarsi: un disturbo che incide pesantemente su pensieri e comportamenti e che, in un alternarsi di fasi di profonda depressione e momenti di estrema euforia, lo porterà a compromettere lavoro e relazioni, quasi rubandogli l’identità. Fino alla presa di coscienza del bisogno di aiuto e di cure. Di tutto questo e molto di più, parla Andrea Pinna nel suo libro Il mio lato B (polare). Storia di una malattia (HarperCollins, 17 €), dove, con sincerità e grande coraggio, condivide la sua esperienza e le difficoltà nell’accettare una diagnosi pesante, quella di disturbo bipolare. Senza perdere la sua capacità di ironizzare. Una scelta, quella di raccontare, per sensibilizzare contro i pregiudizi che ancora accompagnano le patologie psichiatriche. Come ci tiene a sottolineare in questa intervista.
Il titolo del suo libro unisce sincerità e ironia.
Al primo impatto, certo, vuole giocare con il lato ironico, ma si fa anche portavoce di un messaggio più grande da trasmettere. Vuole evidenziare che una persona non è la sua malattia, non va identificata con quello. Il mio bipolarismo è solo una parte di me. Quando si ha un tumore si dice appunto “ho un tumore”, non “sono un tumore”, uguale deve essere con le malattie psichiatriche, su cui c’è ancora un grandissimo pregiudizio. Io ho il bipolarismo, non sono bipolare.
Quando ha cominciato ad accorgersi che qualcosa non andava?
Nel 2016, in un periodo in cui stavo lavorando molto, dormivo poco, ero sotto stress. Tutto è iniziato con crisi d'ansia, seguite da quelle di panico, sensazioni per me scioccanti: mi sembrava di morire, in preda a un attacco di cuore. Progressivamente sono iniziate le paranoie, accompagnate da episodi allucinatori. Quando ero in quello stato, vivevo il mio stesso sogno, mi comportavo come se stesse accadendo realmente. Il 98% degli episodi maniacali è orribile.
La maggior parte delle volte ti ritrovi a nasconderti o a fuggire da minacce di varia natura in uno stato di delirio. Oppure aggredisci le persone care, accusandole di cattiverie nei tuoi confronti sulla base di cose che hai visto e sentito, in realtà solo nella tua testa. Ma, nel mio libro, racconto di un’esperienza che ricordo anche con una certa emozione: quella volta che a casa mia si è svolto l'after party per la notte degli Oscar.
Si sono presentati divi di Hollywood come Cate Blanchett, Tom Cruise, Brad Pitt, Gwyneth Paltrow, Glenn Close e, per ultima, Gina Lollobrigida. Passata per un caffè. Il mattino dopo, quando mi sono alzato dal letto, finalmente fresco e riposato dopo diverse notti insonni, c'erano bicchieri di vino sparsi per il soggiorno, insieme a piccoli stuzzichini sui piatti da portata. E la tazzina con il caffè che la Lollobrigida poi non aveva bevuto.
E come ha reagito al malessere che via via aumentava?
Ho impiegato diverso tempo per capire di essere malato, nascondevo la verità anche a me stesso, rifugiandomi nell’alcol e nonostante la vicinanza e i tentativi di aiuto di amici e parenti; erano preoccupati per me al punto da avere una chat, siglata “S.O.S.”, dedicata al mio soccorso. La malattia ha avuto un’escalation, con l’alternarsi di fasi di “up and down”, che è proprio il termine medico con cui si definiscono. Passavo periodi di profonda depressione, in cui dormivo anche per 18 ore al giorno, alzandomi solo per i bisogni primari. Mi rifiutavo persino di fare la doccia, perché questo significava dover iniziare la giornata. Al contrario, durante la fase “up”, ero preda della frenesia e di un’euforia estrema e immotivata. Uno stato d’animo non aderente alla realtà che porta a prendere decisioni azzardate, di cui poi non avevo ricordo.
Cosa l’ha spinta a cercare aiuto?
Quella che stavo vivendo non era vita. L'intensità della malattia era talmente forte, che se non avessi chiesto aiuto forse non sarei qua. Ho pensato diverse volte al suicidio. Quando ero depresso e in down, la morte mi sembrava l’unica liberazione possibile. Non è stato facile nemmeno arrivare a una diagnosi. La diagnosi di bipolarismo non è un qualcosa che si possa evincere facilmente. È un percorso che si deve compiere con lo specialista ed è fondamentale trovare quello giusto.
E ora come sta affrontando la malattia?
Se prima ero fortemente malato il 100% dell'anno, ora riscontro una fragilità per il 10-15%. Assolutamente tollerabile, ma comunque presente. Senza le cure le malattie come la mia ti rovinano la vita, ma certo iniziare un percorso di cura psichiatrica non è come prendere un antidolorifico. Quindi, ci vuole impegno ma soprattutto costanza e pazienza. Ci tengo poi a sottolineare che dal bipolarismo non si guarisce, si impara a conviverci e a moderarlo con i farmaci.
Che co'è il bipolarismo
«È un disturbo dell'umore che presenta un’alternanza di fasi depressive e di eccitamento maniacale o ipomaniacale (cioè meno grave)», spiega il dottor Federico Baranzini, psichiatra a Milano. «Nelle fasi maniacali la persona, spinta dall'eccitazione, può arrivare a perdere il controllo delle proprie azioni, con comportamenti che possono poi sconfinare in reazioni aggressive. La malattia ha il suo esordio nella tarda adolescenza, dai 17 fino ai 25 anni, senza differenza di genere e può avere origine ereditaria. Per arrivare alla diagnosi occorre raccogliere informazioni sul paziente nell’arco di un certo periodo di tempo. Alcuni aspetti clinici, infatti, si sovrappongono ad altre condizioni, per esempio i disturbi della personalità che vengono diagnosticati nella stessa fascia d'età», continua lo psichiatra.
Lo specialista che cura il disturbo bipolare è lo psichiatra, a cui i pazienti arrivano spesso indirizzati da uno psicologo. «Si cura con farmaci per stabilizzare l'umore, il più conosciuto è il litio, ma di grande importanza è anche la psicoeducazione, cioè rendere la persona consapevole, collaborante con le cure e capace di dare l'allarme affinché si intervenga per tempo», conclude il dottor Baranzini.
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