È dappertutto. La plastica, l’invenzione geniale che a fine Ottocento ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, sta rischiando di trasformarsi nel nostro peggior incubo. Eh sì, perché non è biodegradabile: rimane per centinaia d’anni nel terreno o, ancor peggio, finisce in mare. «Questo materiale modifica la chimica degli oceani e distrugge l’ecosistema», avverte Francesca Santoro, membro della Commissione oceanografica intergovernamentale dell’Unesco e presidente del Comitato scientifico di One Ocean Forum, l’evento dedicato alla salvaguardia degli ambienti marini che si è appena concluso a Milano. «Il problema non è solo ambientale: riguarda anche la nostra salute. Gli oceani ricoprono il 70% della superficie terrestre e, insieme alle foreste, sono il nostro secondo polmone perché producono il 50% dell’ossigeno che respiriamo. Per questo vanno rispettati e salvaguardati».
L’invasione delle microplastiche
Oltre ai grandi detriti che galleggiano negli oceani, oggi la minaccia più grande (e invisibile) è rappresentata dalle microplastiche. «Si tratta di frammenti inferiori a 5 millimetri che finiscono nei fiumi e poi in mare e vengono ingeriti dai pesci o filtrati da cozze, vongole e altri molluschi che li assorbono e poi finiscono sulle nostre tavole», avverte Francesca Santoro.
Le microplastiche vengono prodotte dalla scomposizione di grandi pezzi, dalle bottiglie, dai flaconi, dalle reti lasciate in mare, e anche da cosmetici che contengono microgranuli come detergenti, dentifrici, creme solari e scrub», continua l’oceanografa. Quando utilizzi questi prodotti, le “micropalline” cadono nel lavandino e da lì ai corsi d’acqua il passaggio è breve.
«In Italia abbiamo ben 1.200 fiumi che diventano nastri trasportatori di microplastica in mare», afferma Raffaella Giugni, consigliere di MareVivo, un’associazione ambientalista che da 30 anni si occupa di tutelare l’ecosistema marino. «Proprio per contenere i danni, abbiamo presentato una proposta di legge, già passata alla Camera, che specifichi con un bollino l’assenza di questi inquinanti.
Nel frattempo però consigliamo ai consumatori di evitare cosmetici che contengono le “microsfere” tossiche. Sulle etichette vengono indicate come PE Polyethylene, PP Polypropylene, PET Polythylene Terephthalate, PMMA Polymethyl methacrylate e Nylon. In mare, queste sostanze vengono velocemente ricoperte da alghe e batteri e sono facilmente scambiate per cibo dai pesci», avverte l’ambientalista.
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I rischi per la salute
Secondo una ricerca dell’Università di Ghent, in Belgio, chi consuma abitualmente pesce ingerisce circa 11.000 frammenti di plastica ogni anno. Quale può essere l’effetto di queste sostanze sulla salute umana? «Attualmente non conosciamo ancora gli effetti collaterali prodotti dall’ingestione di microplastiche nell’uomo», precisa Francesca Santoro.
«Sappiamo però che una parte della fauna marina viene intossicata da queste sostanze e che il loro ciclo vitale risulta alterato. Alcuni studi sostengono che questi inquinanti riuscirebbero anche a interferire con il nostro sistema ormonale, ma ad oggi non abbiamo dati certi in proposito», conclude l’esperta.
Il riciclo è fondamentale
Uno dei modi più efficaci per diminuire l’inquinamento determinato dalla plastica è riciclarla. «Una bottiglia può tornare a essere materia prima, creando lavoro, nuove professionalità e nuove imprese», afferma Antonello Ciotti, presidente Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica.
Un esempio? Dalle scaglie di pet si ricavano magliette, piumini e cruscotti per la macchina», precisa l’esperto. In Italia, nel 2016, Corepla ha raccolto 960.000 tonnellate di plastica, mentre 340.000 tonnellate di imballaggi hanno già prodotto energia pulita, sostituendo combustibili fossili.
La bioplastica, biodegradabile al 100%
L’ultima novità arriva dalla ricerca: Bio-On, azienda impegnata nello sviluppo della chimica sostenibile, ha brevettato un poliestere naturale che ha le stesse caratteristiche fisiche e meccaniche della plastica ottenuta dal petrolio. «Questo materiale, chiamato PHA, è naturale e biodegradabile al 100% (ha ottenuto la certificazione del Dipartimento dell’agricoltura americano USDA) perché è generato da batteri presenti sulla terra da migliaia di anni», afferma Marco Astorri, Ceo di Bio-on. «Si utilizza per produrre bottiglie, flaconi, microsfere per cosmetici e perfino paraurti delle macchine e componenti degli aerei».
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Articolo pubblicato sul n. 43 di Starbene, in edicola dal 10/10/2017