Basta con quei seni rigidi a pallone che sembrano non rispondere a nessuna regola fisica e rimangono immutabili anche quando si sta supine: le protesi al seno di ultima generazione cambiano forma a seconda di movimenti e posizioni, com’è naturale che sia, conservando l’impatto estetico di una nuova giovinezza. Non solo: impossibile accorgersene anche per il partner (tatto compreso).
È soltanto l’ultimo dei progressi della chirurgia della bellezza che, negli anni più recenti, ha subito un’evoluzione tecnologica importante per l’estetica e la sicurezza delle pazienti. Un processo dovuto anche a una maggiore consapevolezza sull’argomento: «Sono lontani i tempi delle fake news, come quelle che le protesi potessero letteralmente esplodere in aereo», spiega Paolo Santanchè, chirurgo plastico a Milano (santanche.com). «Oggi le donne fanno domande tecniche, si informano in anticipo su giornali e web e sono, in generale, più preparate. Ma tutti i dubbi si sciolgono definitivamente soltanto alla prima visita».
Cosa le chiedono principalmente le donne che vogliono rifarsi il seno?
Chi ha deciso per l’intervento di mastoplastica additiva chiede cose come “che tipo di protesi mi mette, dove le posiziona”, ma c’è ancora confusione, inevitabile per i non addetti ai lavori anche perché sul web si trova di tutto, compresi i “miracoli” dell’estetica. Non esistono miracoli, esistono bravi chirurghi. Tanti desideri e aspettative risultano attuabili, se non sono irragionevoli come le taglie di seno esagerate: oggi la maggior parte delle pazienti, per fortuna, punta su una terza, massimo una quarta misura.
Fake news a parte, le protesi oggi sono sicure?
Si tratta di tecnologie ormai collaudate da sessant’anni, che hanno subito continui miglioramenti fino a oggi. Però il medico deve dire sempre quali sono limiti e possibili problemi: per esempio, che la protesi non è eterna, è soggetta a usura e va sostituita nel tempo. Ma quando si rompe, alla paziente non succede niente, non fuoriesce materiale che poi “naviga” nell’organismo come poteva capitare con le vecchie protesi riempite di sostanze varie: non c’è più il silicone liquido degli anni Ottanta, oggi si usa il gel di silicone, che può anche fuoriuscire in caso di rottura però, essendo una gelatina, rimane in loco e dentro la capsula fibrosa che contiene la protesi. Dunque, se quest’ultima si rompe o usura non si va al Pronto Soccorso, ma occorre prenotare una visita dal chirurgo.
Si è parlato di protesi all’olio di soia…
Una moda che per fortuna è passata e non ha avuto grossa diffusione, in quanto nel giro di qualche anno andavano tolte perché l’olio diventava rancido; altro che “soluzione naturale” e a prova di guai! Alla fine il gel di silicone risulta la sostanza più stabile, sicura e con il miglior effetto estetico.
Nuove protesi superperformanti: di che cosa si tratta?
L’involucro rimane quello classico ad alta biocompatibilità e sicurezza (lisce o nanotesturizzate), è il gel interno che cambia. Si tratta del cosiddetto “dinamico”, che è molto più plastico del gel classico, perciò quando la persona è in piedi il liquido tende a scendere verso la parte inferiore del seno, dandogli una bella forma a goccia estremamente naturale. Questa tecnologia conserva l’aspetto di una mammella normale in qualsiasi posizione. Al tocco non si percepisce nulla, neanche una differenza di temperatura. È la mia proposta nella maggior parte dei casi.
Qual è il rischio maggiore in questo tipo di intervento?
Parlando di riuscita dell’operazione, anche se è eseguita a regola d’arte l’organismo può reagire all’inserimento della protesi con una retrazione capsulare, detta anche incapsulamento. Per capire cosa succede descriviamo il clou dell’intervento, che consiste nel creare chirurgicamente una tasca nel seno per inserire il dispositivo artificiale. Attorno a esso si forma una sottile membrana fibrosa che lo separa dal resto dei tessuti: può succedere che questa capsula contenitiva diventi più spessa e tenda a ritirarsi, comprimendo la protesi che così si indurisce e perde la forma naturale. Si tratta di un evento statisticamente limitato (3-6% dei casi) ed è risolvibile con la cosiddetta revisione della tasca: il chirurgo riapre il seno, toglie la protesi, incide la capsula anomala, ripara e riadatta la zona riportandola alle condizioni ideali. Un ulteriore incapsulamento è più raro.
Ci sono rischi per la salute, nonostante la sicurezza dei nuovi materiali?
Sì e sono legati a dove e come viene effettuata l’operazione. L’ambulatorio chirurgico, per esempio, non è un ambiente adeguato per fare questo intervento; se proposto, la paziente dovrebbe rifiutare e cambiare chirurgo. L’ambulatorio non dispone, per esempio, dell’aria filtrata e sostituita completamente cinque volte all’ora della vera sala operatoria a norma, quindi il rischio di infezione diventa significativamente più alto. E infezione vuol dire, nel migliore dei casi, togliere tutto e aspettare sei mesi per rifare il seno.
L’anestesia?
L’intervento dura circa un’ora ma l’anestesia deve essere generale, richiede la presenza di un anestesista prima, durante e dopo l’operazione (sembra una cosa scontata ma, purtroppo, non sempre lo è) e una degenza di una notte in clinica, cioè in un ambiente sanitario protetto. Gli eventuali effetti collaterali come gli ematomi si verificano, infatti, nella maggior parte dei casi entro le prime ore dall’intervento e vanno eliminati subito: se ti sei operata in un ambulatorio e ti mandano a casa appena sveglia può diventare tutto molto complicato. I luoghi in cui non si può fare l’anestesia generale (ma solo quella locale o la sedazione) sono sicuramente posti non idonei per una mastoplastica. Quindi, le prime due domande cruciali che deve fare la paziente sono: dove mi opererà e che anestesia utilizzerà.
Il post-intervento è doloroso?
Lo era una volta, o nei casi in cui si deve mettere la protesi ancora sotto il muscolo. Con le nuove tecnologie che ho illustrato no, al massimo si prova un indolenzimento gestibile con i normali antidolorifici. Merito del fatto che queste protesi al gel dinamico sono morbidissime e impalpabili, quindi si possono mettere semplicemente dietro la ghiandola mammaria, evitando di toccare muscoli e altre parti delicate: l’impianto sottomuscolare è molto più doloroso.
E la convalescenza com’è?
Dopo una settimana si fa una vita normale, tempo 20 giorni e si va in palestra. All’inizio occorre indossare un corsetto al posto del reggiseno (per due settimane), niente vecchie fasciature scomode. Dopo un mese al massimo si può riprendere anche l’attività fisica completa e, in genere, tutti gli sport, anche quelli più dinamici come padel e tennis.
L’incisione dove viene fatta?
I tagli classici sono tre: solco sottomammario, sul margine dell’areola o sotto l’ascella. La via sottomammaria è la più facile. Quella periareolare è la più invasiva perché porta al taglio e attraversamento della ghiandola. La via ascellare non crea traumi, la cicatrice è nascosta nelle rughe dell’ascella e c’è meno rischio di infezioni. Però bisogna saper usare l’endoscopia. Questa è la mia via preferita, che pratico ormai da trentacinque anni.
Dopo 15 anni va sostituita
Quanto dura una protesi? E quando va sostituita? Secondo le statistiche del Ministero della Salute la vita media è di 11 anni. «Ma può durare anche 15-20 anni, dipende dai casi», sottolinea Paolo Santanchè. E quando si usura o rompe cosa accade? «Niente. Nessuno è in grado di accorgersi (neanche il chirurgo alla visita) che è successo. Si vede qualche segno di deterioramento solo in occasione dell’ecografia e della mammografia, e allora il medico che referta richiede una risonanza magnetica, l’unico esame che legge correttamente la capsula e l’involucro della protesi e ne decreta la sua integrità o meno», chiarisce l’esperto.
Esiste poi il caso che sia la paziente a voler cambiare. «Se, per esempio, dopo tanti anni vuole un seno più grande perché è dimagrita o, invecchiando, la ghiandola si è un po’ atrofizzata e quindi bisogna riadattare la tasca. Ma in molti casi è tutto ok, va solo sostituita la protesi vecchia, si fa un tagliettino, si sostituisce il dispositivo medico e il gioco è fatto. Dal giorno dopo la vita è assolutamente normale», conclude Santanchè.
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