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Fibre solubili e insolubili: differenze, benefici, dove trovarle

Famose per l’importante ruolo nel nostro benessere intestinale, le fibre non sono tutte uguali ma si differenziano in due principali categorie

Foto: Getty Images



Ormai è noto a tutti che le fibre sono amiche della salute. Velocizzano il transito intestinale, promuovono il senso di sazietà, riducono l’assorbimento del colesterolo e aumentano l’efficienza del sistema immunitario. «Dal punto di vista chimico, le fibre alimentari sono carboidrati: alla pari degli amidi, infatti, sono formate da catene più o meno lunghe di zuccheri collegati tra loro», spiega la dottoressa Silvia Ambrogio, biologa nutrizionista.

«Ma si tratta di carboidrati “atipici”, perché le fibre non apportano le stesse calorie di pane e pasta in quanto non sono assimilate nello stesso modo dall’organismo».

La maggior parte di queste molecole si trova negli alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, legumi, cereali integrali), anche se particolari fibre sono contenute in alcune fonti animali (come la chitina che forma l’esoscheletro dei crostacei) e altre hanno un’origine artificiale (come i polioli usati nell’industria alimentare).

 

La funzione delle fibre solubili

A seconda della loro struttura e funzione, le fibre possono essere classificate in solubili o insolubili. «Le fibre solubili sono rappresentate da betaglucani, mucillagini, gomme e pectine, la cui caratteristica è quella di assorbire acqua. Dunque, nell’intestino si gonfiano e formano una sorta di gel vischioso che intrappola le sostanze tossiche come i metalli pesanti o i prodotti del metabolismo dei batteri patogeni, riduce l’assorbimento di zuccheri e grassi, provoca maggior senso di sazietà rallentando lo svuotamento gastrico, contribuisce a controllare i livelli di colesterolo nel sangue e a rallentare il picco della glicemia a vantaggio dell’energia», racconta la dottoressa Ambrogio.

Questa tipologia di fibra è particolarmente indicata per chi presenta disturbi metabolici, come ipercolesterolemia o diabete, ma anche come complemento alle diete dimagranti per la sua influenza sul senso di sazietà. Inoltre, le fibre solubili modulano il pH intestinale e questo inibisce la crescita e l’attività di quella flora batterica intestinale “cattiva” che può essere associata all’insorgenza del tumore al colon-retto.

 

Fibre solubili, serve acqua

Per svolgere al meglio le loro funzioni, le fibre solubili vanno sempre accompagnate da un adeguato consumo di acqua, pari almeno a 1,5 o 2 litri al giorno. In caso contrario, rischiamo di indurre uno stato di stipsi ostinata e la formazione di fecalomi, ovvero masse dure di feci che si creano negli ultimi tratti dell’intestino e possono provocarne l’ostruzione.

Ma quando bisogna bere? Dipende dall’obiettivo che abbiamo. «Se dalle fibre solubili desideriamo ottenere un effetto saziante, perché magari siamo a dieta, l’acqua va assunta abbondantemente durante i pasti per aiutare le fibre a “gonfiarsi”. All’opposto, se soffriamo di cattiva digestione e avvertiamo un fastidioso gonfiore addominale subito dopo i pasti, meglio non esagerare con l’acqua mentre si assumono fibre. Se invece vogliamo assicurarci un corretto transito intestinale, è sufficiente bere durante l’intero arco della giornata, in maniera costante e diluita nel tempo», suggerisce l’esperta.

 

Alcune fibre solubili sono prebiotiche

Tra le fibre solubili ce ne sono alcune che svolgono una funzione prebiotica: in pratica, superano indenni i processi digestivi e, una volta arrivate nell’intestino, vengono fermentate e danno origine ad acidi grassi a catena corta che nutrono sia il microbiota sia gli enterociti, cioè le cellule più diffuse nell’intestino. Un esempio è l’inulina, il nutrimento preferito di alcuni batteri intestinali, in particolare dei bifidobatteri, che si ricava principalmente dalla radice della cicoria, ma anche da tarassaco, carciofo, avena, orzo, grano, soia, aglio, cipolla e altri vegetali.

Un’importante azione prebiotica viene svolta anche dai betaglucani (presenti in alimenti come crusca, avena, lieviti, funghi, alghe) e dai frutto-oligosaccaridi (cipolla, asparagi, porro, legumi, aglio, pomodoro, carciofo, banana), che aumentano il numero di bifidobatteri e lattobacilli a scapito della flora batterica cattiva.

 

La funzione delle fibre insolubili

Non si sciolgono in acqua, invece, le fibre insolubili (cellulosa, emicellulosa, lignina), che agiscono come “spazzine” e ripuliscono le anse intestinali da scarti e tossine, comprese quelle potenzialmente cancerogene che si accumulano nel tempo.

«Il loro compito principale è quello di aumentare la velocità di transito del cibo dallo stomaco al duodeno. Questo riduce il tempo di permanenza delle sostanze nocive presenti nelle masse fecali, spesso causa di infiammazione e proliferazione di batteri patogeni, che aumentano il rischio di sviluppare malattie degenerative o tumorali».

 

In quali cibi troviamo le fibre

In ogni cibo sono presenti entrambe le tipologie di fibra, ma in proporzioni differenti: a grandi linee, i cereali integrali contengono maggiori quantità di insolubili, mentre troviamo più fibre solubili nella frutta. Ma le bucce di quest’ultima (così come quelle dei legumi) sono composte da fibre insolubili, a differenza della polpa.

«Insomma, è impossibile distinguere in maniera netta. Per questo, le linee guida internazionali indicano un consumo complessivo di fibra, senza fare distinzioni: 30 grammi al giorno, che possiamo raggiungere facilmente con due porzioni di verdura, sia cotta che cruda, e una o due di frutta, tenendo conto che per porzione intendiamo 200 grammi di verdura e 150 grammi di frutta. In più, almeno la metà dei carboidrati derivati da pane, pasta o riso dovrebbe provenire da fonti integrali», suggerisce la dottoressa Ambrogio.

«In questo modo evitiamo di concentrare le fibre alimentari in un unico pasto, distribuendole nell’arco della giornata, e ci assicuriamo anche il giusto introito ma senza incorrere in un eccesso».

 

Assunzione di fibre: il troppo stroppia

Prestiamo attenzione a non consumare troppo pane e altri prodotti “falsi integrali”, realizzati con farine raffinate a vengono aggiunti crusca o scarti di lavorazione dei cereali. «Questo ci porterebbe ad assumere quantità eccessive di fibre insolubili, peggiorandone gli effetti indesiderati, come l’irritabilità del colon o il malassorbimento di diversi nutrienti, tra cui vitamine e sali minerali».

Lo stesso vale per le fibre assunte sotto forma di integratori, solitamente in polvere o in capsule. «La fonte migliore è un’alimentazione varia ed equilibrata, perché frutta e verdura sono uno scrigno prezioso di tanti altri micronutrienti, come vitamine, minerali e antiossidanti, a meno che il medico non ritenga necessaria una supplementazione per motivi organici, che vanno individuati di volta in volta».

 

Chiediamo al medico

Quando abbiamo dei dubbi, chiediamo consiglio al medico di base oppure a uno specialista in nutrizione, che sapranno indicarci le fonti di fibra e le quantità migliori a seconda delle singole esigenze. Per esempio, se avvertiamo disturbi a carico dell’apparato gastrointestinale (come gonfiore e tensione addominale, crampi, meteorismo o diarrea), non significa che dobbiamo bandire del tutto i vegetali dalla nostra dieta: al contrario, si tratta di selezionare le specie più adatte (come biete, zucchine, carote e banane) e lavorare sulle loro quantità.

Oppure possiamo renderli meno “problematici” con dei trucchetti: frullare oppure schiacciare con la forchetta una verdura ben cotta permette di rendere più delicate le fibre insolubili, di cui rompiamo in parte la struttura. «In definitiva, nessuno deve rinunciare alle fibre, perché il giusto apporto ci assicura un benessere gastroenterico che non si limita a un beneficio locale, ma si allarga anche a distretti molto lontani», conclude l’esperta.

«Per esempio, quando non abbiamo un intestino in ordine e ben “pulito” possiamo essere più suscettibili alle infezioni oppure manifestare stanchezza persistente, capelli con forfora o tendenti alla caduta, rash cutanei, insonnia e tante altre sintomatologie secondarie».


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