Si parla sempre più spesso dell’importanza di ridurre il carico glicemico dei pasti per perdere (o non prendere) peso, ma anche per prevenire numerose malattie metaboliche, a partire dal diabete. «Il cosiddetto indice glicemico esprime la capacità dei carboidrati contenuti in un certo alimento di innalzare la glicemia nel sangue», spiega il dottor Alberto Calabrese, biologo nutrizionista a Villa Lucia Hospital di Conversano, Bari. «Per calcolarlo, i vari alimenti vengono confrontati con il glucosio, la più importante fonte di energia per l’uomo, il cui indice glicemico viene considerato pari a 100. Ciò significa, per esempio, che se un cibo ha un indice glicemico di 50 innalzerà la glicemia della metà rispetto a quanto farebbe il glucosio».
Come funzionano i cibi a basso indice glicemico
L’indice glicemico di un alimento è determinato da una serie di fattori, come la natura chimica dei carboidrati che vi sono contenuti e dalla contemporanea presenza di altri nutrienti. «Pensiamo al latte: quello scremato ha un indice glicemico pari a 32, mentre quello intero si ferma a 27. Potrebbe sembrare un paradosso, visto che il secondo è più ricco di proteine, grassi e fibre: invece, sono proprio queste macromolecole a rallentare l’assorbimento degli zuccheri presenti nella bevanda, grazie a un particolare meccanismo biochimico che si attiva a livello intestinale».
Una curiosità: a parità di alimento, l’indice glicemico può variare da persona a persona: «In effetti, quello che troviamo indicato nelle tabelle nutrizionali è un valore medio stabilito dalla comunità scientifica internazionale, ma i meccanismi fisiologici e biochimici sono soggettivi per via di una risposta individuale al glucosio più o meno sensibile. Detto ciò, la variazione può essere di pochi punti, mai così significativa».
Vengono considerati a basso indice glicemico alimenti come yogurt, legumi (soprattutto piselli e fagioli), mele, noci e latte. Dall’esatto opposto della staccionata, invece, ci sono i cibi ad alto indice glicemico (come pane bianco, sciroppo di glucosio, miele, patate, quasi tutti i cereali raffinati, uva, banane e riso bianco), mentre quelli con un valore medio, intorno a 40-60, sono principalmente pane integrale, pasta integrale al dente (in particolare gli spaghetti), arance e cereali integrali. «Lo stesso integrale, poi, può variare di parecchi punti, spaziando da 45 a 55, a seconda delle fibre contenute nella farina d’origine. Non a caso, il consiglio è quello di privilegiare un grano diverso rispetto a quello tradizionale, come quello saraceno oppure la quinoa, entrambi molto ricchi di fibre», spiega l’esperto.
Come regolarsi nella dieta
Ovviamente, sarebbe impossibile alimentarsi solo con alimenti a basso indice glicemico. Ecco perché le nuove tendenze sembrano non tenere più conto di questo parametro, facendo piuttosto riferimento all’indice insulinico, ovvero a quanto aumenta la produzione di insulina dopo aver mangiato. «Per farlo, quindi, non si prende in considerazione il singolo alimento, ma il pasto nel complesso. Ad esempio, per abbassare l’indice insulinico, è bene abbandonare lo schema della dieta dissociata, che prevede il consumo di proteine in un pasto, per esempio a cena, e dei carboidrati nell’altro pasto, cioè a pranzo», suggerisce Calabrese.
«Insieme a pane e pasta, infatti, è sempre consigliabile abbinare una fonte proteica. Per esempio, la pasta con il tonno ha un indice glicemico più basso rispetto alla pasta con i pomodorini, perché le proteine del tonno modificano i parametri di assorbimento intestinale del piatto. In alternativa, alla pasta possiamo abbinare un’insalata verde, perché le fibre agiscono allo stesso modo».
Oppure, ancora, possiamo dimezzare la normale quantità di carboidrati (40-50 grammi), abbinare una fettina di carne (70 grammi) e aggiungere un contorno di verdure (200 grammi): «In questo modo, non solo abbassiamo l’indice glicemico dei carboidrati, ma introduciamo nello stesso pasto più categorie di macronutrienti, creando una sorta di elasticità metabolica, perché l’organismo deve attivare diversi meccanismi biochimici per digerire carboidrati, proteine e fibre. In altre parole, il metabolismo lavora di più». Un’eccezione: abbinare pasta e legumi non è una valida alternativa. «I secondi, infatti, contengono carboidrati per il 50%, quindi non rappresentano un’effettiva fonte di proteine come spesso si dice. Ciò significa che un piatto di pasta e fagioli aumenta l’indice insulinico, non lo abbassa».
Bere acqua sì, ma non abbassa l'indice insulinico
Spesso, sul web, capita di leggere che idratarsi abbondantemente durante i pasti ne abbassa l’indice insulinico. «Si tratta di una fake news, perché il nostro sangue ha un pH estremamente controllato, per cui non riusciamo a diluirlo, se non con appositi farmaci», conclude Calabrese.
Forse, questa associazione si ispira ai diabetici, che bevono spesso perché non riescono a eliminare correttamente il glucosio, per cui il corpo mette in atto dei meccanismi – come l’aumento della sete – per diluirlo in qualche modo. «Lo stesso accade quando abbiamo voglia di bere dopo aver mangiato un gelato o qualcosa di dolce: il corpo corre ai ripari per evitare un pericoloso accumulo di zucchero, che predispone ad aterosclerosi e rischi trombotici. Ma questo non c’entra con l’indice glicemico né con quello insulinico. Bere resta una buona abitudine quotidiana, ma non ci aiuta in tal senso».
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