Anche gli ultraottantenni si prendono le loro rivincite sul mondo. E, nel momento in cui sembra tutto finito, danno lezioni di vita: su cos’è la terza età quando ti ci ritrovi in mezzo e su come vorresti godertela, alla faccia dei preconcetti in libera circolazione. Tra riflessione e gioco, tra amarezza e divertimento, il nuovo romanzo di Laura Manfredi, Cento docce fatte male (Morellini Editore, 15,90 €), ispirato a una storia vera di anziani “ribelli”, è l’occasione per parlare con l’autrice di vecchiaia. Gli anni del tramonto, come li etichetta la società. Gli anni di una diversa giovinezza, nei sogni dei protagonisti.
Da dove è nata l’idea del suo romanzo?
Un paio di anni fa, ho letto una notizia: due quasi novantenni, ospiti di una casa di riposo del nord Italia, erano fuggiti, per poi essere ritrovati dalla polizia nel bel mezzo del raduno heavy metal più grande al mondo, che si tiene ogni anno a Wacken, in Germania. Un episodio che mi ha permesso di andare oltre un certo pregiudizio, che anch’io avevo: una persona anziana non è una persona finita. Tutt’altro, e l’evidenza era nei fatti. Vorrei che riscoprissimo tutti il piacere di vedere l’uomo/o la donna che si cela dietro all’età anagrafica, per farci sorprendere ancora, come accade con gli arzilli vecchietti protagonisti del mio racconto.
Che cosa l’ha colpita in particolare?
La grande voglia di fare di questi novantenni, a dispetto dell’età. I due dichiararono alla polizia di essere molto soddisfatti del loro gesto: erano riusciti ad assistere al concerto di ben tre gruppi metal, tra i loro preferiti. No, non avevano fatto un colpo di testa. La loro era una fuga pianificata nei minimi dettagli, segno di una passione. Quella forza, l’unica, che ti permette di sorreggere le fatiche di un corpo che col tempo inizia a vacillare.
Perciò, la passione è un motore da non spegnere mai…
Sì, qualsiasi cosa va bene, basta non cadere nell’oblio della mente e del cuore. Se non coltivano lo spirito, gli anziani si spengono: perché non viene curata, accarezzata una parte fondamentale della vita che è la progettualità, la visione di un futuro, fosse anche di due sole settimane.
Come viene vista oggi la terza età?
La nostra società mette in ombra chi non è essenziale per i processi produttivi, per il frenetico consumismo, e gli over70 ci cascano in pieno. Non mi piace questa sorta di confinamento in un angolo, questa logica che tritura intere esistenze se non sono più utili alla costruzione della crescita economica. Chiediamo ai nonni di correre dietro ai nostri figli finché ce n’è bisogno. E dopo? Dopo arriviamo all’amnesia, prima nostra che loro, però. Mi spiego meglio: fino a qualche decennio fa, gli anziani avevano un posto speciale nella società. Erano quelli che raccontavano le storie del passato, una sorta di memoria della famiglia e di tutta la comunità, che costituiva il “cemento” tra generazioni. Oggi non c’è più traccia di tutto ciò, viviamo in un mondo dove non ci sono storie. Ma senza, quali strumenti per imparare il mestiere di vivere ci resteranno?
Facciamo fatica ad accettare chi non tiene il passo.
Questa è una delle distorsioni assurde del mondo odierno che vuole mettere in mostra solo il successo, l’efficienza, la forma fisica, la velocità. Il lato brillante della luna, insomma. Perdiamo la pazienza con chi rallenta, come i vecchi. Eppure, la lentezza è un monito per tutti noi: dovremmo imparare a trovare un passo più calmo, ad aspettare, ad ascoltare. Ad accettare la malattia, l’invecchiamento, la morte. La sensazione è che, adesso, combattiamo affannosamente contro Madre Natura. Un po’ grottesco, ecco.
La terza età può essere una stagione di rinnovamento. Vero?
Certo, capita di incontrare 80enni finalmente liberi di poter dire “non ho nulla da perdere!” e di godersi appieno ogni desiderio e progetto. Essere anziani significa anche prendersi una rivincita sui condizionamenti del mondo. Dovrebbe essere il premio più ambito, dopo una vita spesa a considerare quello che gli altri si aspettano da noi, un tarlo che ci paralizza. Mi auguro di arrivare a una certa età abbastanza in salute da poter fare qualche “meravigliosa sciocchezza”!
Anche proteggere troppo i nostri anziani è uno sbaglio?
Ho iniziato a scrivere questo libro proprio pensando a come noi in fondo trattiamo i nostri vecchi. Penso ai figli che vietano ai genitori di fare questo o quello e lo trovo sbagliato. Sono dell’idea che gli anziani preferiscano essere lasciati liberi fino all’ultimo respiro. Quasi tutte le persone agée che ho incontrato mi hanno confessato il terrore di finire accuditi come bambini, di perdere la loro dignità. Per un anziano chiedere ed accettare aiuto è essenziale. Ma da qui a essere trattato come un neonato ne passa: troppo svilente, quali che siano le condizioni di salute.
La soddisfazione s’identifica, perciò, con libertà?
La libertà e l’indipendenza sono fattori imprescindibili per la piena realizzazione di ogni individuo. A maggior ragione quando diventa una conquista faticosa, come nella terza età. Finché si può, va coltivata l’autonomia con ogni lampo di energia.
E la complicità con i coetanei, che effetto fa?
È uno stimolo a non lasciarsi andare. A a trovare interessi e progetti comuni, dove l’uno tira l’altro. Senza paura del giudizio. Per quel che posso vedere, poi, i nostri nonni, i nostri genitori sono bravi a coltivare e a mantenere relazioni affettive. Sono cresciuti in epoche meno frenetiche, forse. Probabilmente, lontani dai social e dalle loro contraddizioni, hanno una migliore capacità di stare in mezzo agli altri.
L’elisir di lunga vita per gli anziani qual è, allora?
Il rispetto. Dobbiamo accogliere questa fase della vita con i suoi limiti. Dobbiamo imparare a capire che il corpo sta decadendo ma ciò non va visto come un orrore, ma un passaggio da ascoltare, accogliere e valorizzare. Fate fare agli anziani ciò che vogliono e amateli per quello che sono. Senza dimenticare che capiterà a tutti!
E ora in tempi di Covid?
Il Coronavirus ha messo ancora di più sotto una campana iperprotettiva i vecchietti, le vittime della pandemia. Dall’altra parte, però, forse ha fatto l’effetto di sensibilizzare l’opinione pubblica verso una categoria di persone a lungo dimenticata. Che non si meritano di essere “sacrificabili”.
CHI È LAURA MANFREDI
Dinamica per carattere, materna per vocazione, scrittrice per passione. Laura Manfredi, 45 anni, milanese, è madre di tre ragazzi, di cui due autistici. È impegnata in progetti nella città in cui vive (Arese, vicino a Milano) per l’integrazione dei ragazzi con l’autismo. Lettrice compulsiva, ha riscoperto la voglia di scrivere con la pubblicazione di tre romanzi, tra cui uno autobiografico Cherchez la beauté! (Bookabook, 2017) e racconti come Il silenzio degli eucalipti senza corteccia in Mosche contro vetro. Racconti sull’autismo (Morellini Ed., 2019).
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Articolo pubblicato sul n. 20 di Starbene, in edicola e nella app dal 14 luglio 2020