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Sindrome di Calimero: come smettere di sentirsi sfortunati

È quella tendenza a lamentarsi perché ci si sente sfortunati. Ecco le soluzioni per uscirne e per arginare chi ne soffre

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Non fai in tempo a dirle buongiorno, che comincia a lamentarsi: malanni, discussioni coi figli, mugugni contro qualche collega... Capitano tutte a lei! Chi non conosce qualcuno che somiglia – nel male – a Calimero, il pulcino nero della réclame che si sentiva perseguitato solo perché “piccolo e nero” e concludeva “è un’ingiustizia, però”? Nessuno mi ama, nessuno mi rispetta, sono sfortunato, è tutta colpa mia... E via compiangendosi.

«Il lamento di per sé non è negativo», commenta Daniela Zizzi, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Aspic counseling e cultura di Taranto. «Ha un’antica funzione rituale: esprimere il dolore alla comunità. Ed è anche il modo con cui i neonati e i bambini chiedono aiuto. Per gli adulti, è il segnale che c’è qualcosa che non va e, di conseguenza, un modo per canalizzare le energie verso nuove soluzioni e scelte. Il problema nasce quando la tendenza a fare la vittima si trasforma in vittimismo, quando il lamento diventa automatico, reiterato e plateale».

Ci sono persone che si lamentano di continuo, per tutti i motivi e senza accorgersene, per una sorta di predisposizione.

«Quando la sensazione di essere costantemente “prede” di soprusi e la sfiducia negli altri diventa uno stile di vita, possiamo parlare di sindrome di Calimero», aggiunge la dottoressa Zizzi.


Nasce dalla scarsa autostima

«Bisogna, quindi, distinguere le lamentele attribuibili a difficoltà reali da quelle distruttive di chi vive i normali problemi quotidiani, come un’ingiustizia nei suoi confronti», sottolinea Saverio Tomasella, psicoanalista a Nizza e autore del nuovissimo La sindrome di Calimero (Sperling & Kupfer editore). «Il mondo ci porta spesso a confrontarci con molte iniquità reali, grandi o piccole. Solo che il vittimismo non tiene in considerazione quest’eventualità perché è un modo di considerarsi che porta a personalizzare tutto (“mi succedono cose negative perché sono piccolo e nero”, e non perché la vita è ingiusta, a volte, e lo è con tutti)».

Ecco, alla base della sindrome di Calimero c’è un’autosvalutazione. Spiega la dottoressa Zizzi: «Chi ne soffre ha una visione negativa di sé, è una persona passiva, non è capace di dire “no”, non accetta le critiche e allo stesso tempo non si adatta facilmente alle nuove situazioni». Ed è una persona infelice.

«Quando qualcuno si lamenta senza ragioni apparenti, è perché soffre di un lavoro che non corrisponde al suo desiderio, un matrimonio forzato, genitori troppo pesanti, una malattia affaticante», avverte il dottor Tomasella.


È un segnale di immaturità

Questa tendenza comportamentale, comunque, non è così disinteressata.

«Al vittimista, infatti, non preme tanto risolvere l’ingiustizia sbandierata, quanto usarla nelle relazioni per ottenere ascolto, protezione e indulgenza», riprende la psicoterapeuta. «Si tratta di un modo immaturo, per lo più inconscio, di affrontare la realtà».

Se tutti se la prendono con me perché “sono piccolo” (e non c’è modo di cambiare la mia realtà “diventando grande”), in fondo posso anche adagiarmi nella situazione. «È la radice del problema», conferma il dottor Tomasella. «Continuerò a lamentarmi tutto il tempo, a rischio di essere infelice, annoiare i miei cari e scoraggiare gli amici più disponibili. Quando invece sarebbe necessario cambiare la visione di noi stessi e della vita, realizzare i nostri sogni o, almeno, praticare attività che ci motivano».


Fa fuggire gli amici

Tra l’altro, i gemiti sono pesanti per chi li ascolta: mettono a dura prova il buonumore dell’altro, la sua buona volontà e sembrano reclamare, esigere o addirittura imporre la compassione di tutti.

In altre parole, il pulcino nero finisce per somigliare a un vampiro che succhia l’energia del mondo, alla lunga provocando reazioni ostili nelle persone che ascoltano. E anche per lui le conseguenze sono tutt’altro che positive. Per la mente e per il corpo.


Ha effetti negativi sulla psiche

«Alcuni studi, realizzati con tecniche di neuroimaging, confermano che lamentarsi attiva gli stessi circuiti cerebrali che vengono utilizzati per trovare soluzioni ai problemi», spiega la dottoressa Zizzi. «In pratica, nel momento in cui la loro attività è impegnata a oltranza nella lagnanza, la qualità di elaborazione del problema si abbassa. Il lamento, proponendo sempre gli stessi temi e non cercando soluzioni, riduce la nostra abilità creativa nel trovare nuovi rimedi».


Mette a rischio la salute

«Oltre a minare le relazioni sul lavoro, in famiglia, con gli amici e a impedirci di trovare le soluzioni, le ricerche mostrano conseguenze negative della sindrome di Calimero anche sulla salute», sottolinea Daniela Zizzi.

«Poiché alla base del lamento spesso c’è rabbia trattenuta e repressa, dovuta a un’incapacità della persona a esprimere le proprie idee. Sopporta, si blocca e la sua rabbia inespressa può diventare l’anticamera della depressione o di malattie psicosomatiche, dal momento che le energie interiori bloccate indeboliscono il sistema immunitario».


Se ne può guarire

La sindrome si mette all’angolo affrontando l’insicurezza e la disistima di sé. Se non riusciamo a distogliere l’attenzione dal ruolo di passività e dall’insoddisfazione, un percorso con uno psicoterapeuta può essere utile.

Importante è anche l’atteggiamento di chi sta dall’altra parte: deve interrompere la catena delle lamentele della presunta vittima. Non rilanciare con esperienze analoghe, non allearsi e rispondere in modo distaccato, guadagnando distanza verbale: ad esempio lasciando cadere l’argomento, iniziandone uno diverso, rimanendo in silenzio.

E se la distanza verbale non ha effetto, non rimane che prendere il largo nel senso vero del termine, senza sensi di colpa: non avremo cambiato il vittimista, ma gli avremo tolto “il pubblico” e quindi il terreno adatto per riversare su di noi la sua negatività. «Così aiutiamo la vittima a non rinforzare un comportamento disfunzionale prima di tutto per lei», aggiunge la dottoressa Zizzi.


E se è solo passeggera?

Se è vero che i brontoloni e gli scorbutici sono tanti, è altrettanto vero che capita a tutti di fare il lamentoso della situazione. Infatti, ognuno di noi ha i suoi “momenti Calimero”.

«Perché il bambino che c’è in noi non è ancora stato consolato del tutto dalle proprie delusioni passate, e molte ingiustizie vissute sono ancora presenti nei nostri ricordi», spiega lo psicoanalista. «Poi perché abbiamo mantenuto quell’abitudine infantile ad attirare l’attenzione. Infine, perché il nostro bisogno di riconoscimento potrebbe anche essere insaziabile». L’importante è non cadere nella trappola del lamento continuo.





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Articolo pubblicato sul n. 11 di Starbene in edicola dal 27/02/2018

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