Serie tv: perché ci piacciono (e ci fanno bene)

Le serie tv ci tengono incollati allo schermo. Gli esperti spiegano perché sono una vera e propria terapia per la mente



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Da quando ci sono le serie tv, il nostro orizzonte serale (e non solo) è mutato. L’offerta è ampia. Ma perché ci piacciono così tanto? «La prima cosa da sottolineare è la differenza dai telefilm a cui la vecchia tv ci aveva abituato», spiega Massimo Moretti, esperto di comunicazione e docente di scrittura creativa all’Accademia di comunicazione di Milano.

«Mentre quelli erano B movies, con trame banali e poco curati sotto ogni punto di vista, qui si nota subito l’investimento cinematografico: la regia, la fotografia, la qualità delle riprese e la scelta degli attori (sono tutti big dello spettacolo) sono sempre al top. Questo anche perché sono serie progettate sulla base di ricerche di mercato: ci piacciono perché rispondono ai nostri bisogni, seguono il “gusto” del nostro tempo.

Non solo: sono concepite per essere viste con voracità: una tira l’altra. Lo stesso ritmo narrativo, estendendosi su molte puntate (e stagioni) crea una suspence, una continua attesa che le rende più appetibili. Infine, occorre notare la centralità della donna (anche qui, potenza del marketing): mentre il grande schermo è ancora dominato dagli uomini, qui il sesso femminile è il vero protagonista.


Il potere delle storie

«Esattamente come nel romanzo di appendice dell’Ottocento, e poi nelle soap opera degli anni ’80 ma anche davanti allo schermo del cinema, quando iniziamo a guardare una serie tivù ci identifichiamo in una storia», afferma Bruno Intreccialagli, psichiatra a Roma.

«Queste produzioni presentano in genere una caratterizzazione dei personaggi di facile presa: la casalinga frustrata, lo sfigato del gruppo, la donna in carriera sola e depressa e via dicendo. È una tipizzazione narrativa differente da quella a cui siamo stati abituati per esempio nei romanzi di formazione: il buono, l’eroe positivo che sbaraglia i nemici e che vede il protagonista imbattersi nelle più improbabili avventure e trionfare, vendicando le ingiustizie del mondo, è un modello tramontato, così come il concetto di vincente e di supereroe è cambiato nel tempo.

Non si tratta più di questione d’onore o di affermarsi come il più forte, il migliore, il più valoroso. Al contrario: più il protagonista è un perdente e riesce ad affrontare le avversità della vita senza soccombere, più è uno di noi. È, insomma, un eroe del quotidiano, il tuo vicino di casa», continua lo psichiatra, «ed è proprio guardando questi personaggi che si attivano i neuroni specchio. Sollievo, empatia, riscatto, emancipazione, affrancamento dal dolore ed elaborazione della sofferenza: lo spettro di emozioni che viviamo davanti al piccolo schermo è complesso, e spesso consolatorio.

Immedesimarsi nelle storie degli altri e condividere lo stesso destino infatti ci permette di sentirci validati e riconosciuti nonostante, e a volte perfino grazie alle nostre fragilità e debolezze, come se ci vedessimo allo specchio», sottolinea l’esperto. «E questa operazione di rispecchiamento ci consente di accettarci, così come siamo».


Il superuomo comune

«È come se assistessimo a un rovesciamento di ruoli: oggi è il pubblico che scrive la trama, il vero protagonista, e l’autore è quasi accessorio. Descrive solo quello che vede», conclude lo psichiatra. Ed ecco che in queste serie un attore sul viale del tramonto diventa una guida spirituale per affrontare la vecchiaia, una moglie trascurata si trasforma in una manager di successo. Strategie di sopravvivenza di un’esistenza normale.



Le serie tv più viste:

  • Lupin (Netflix, seconda stagione): Perfetta per le famiglie, questa serie deve il suo enorme successo alla rivisitazione di un classico francese in chiave inclusiva. Stavolta il celeberrimo ladro gentiluomo è Omar Sy (l’attore protagonista di Quasi Amici), immigrato di seconda generazione dal cuore tenero e dalla mano lesta. Il Lupin del 2021 porta in scena anche le discriminazioni razziali subite durante l’infanzia e i tormenti di un padre separato. Il trasformismo del protagonista è un invito al cambiamento. Chi è capace di adattarsi agli imprevisti riesce sempre a cavarsela.
  • Solos (Amazon, prima stagione): Qui niente binge watching: invece dell’abbuffata televisiva, questa è una serie antologica. Un filo conduttore lega le puntate ma ogni episodio è come un film a sé. Come in teatro, al centro c’è la recitazione. I protagonisti sono tutti big: Anne Hathaway, Helen Mirren, Morgan Freeman per dire i primi. È un viaggio introspettivo sui grandi temi dell’esistenza (il senso della vita, la solitudine, il dolore, la vecchiaia) proiettato in un futuro hi tech.
  • The flight attendant (Sky, prima stagione): Diventata famosa nel ruolo di Penny in The big bang theory, Kaley Cuoco in questa serie è Cassie Bowden, una hostess spregiudicata che ama la vodka e non disdegna il sesso occasionale, finché un mattino non si sveglia accanto a un cadavere nel letto... Un po’ thriller, un po’ commedia, il tono narrativo di questa serie è nuovo e sorprendente: ci si trova catapultati in una dimensione onirica dove, viaggiando tra Roma, New York e Bangkok, si ride, si sussulta e si riflette.
  • Il metodo Kominsky (Netflix, terza stagione): È una commedia umana piena di sarcasmo e intelligenza, che fa riflettere sul passare del tempo, ma è anche un vero prontuario per affrontare la vecchiaia con ironia e voglia di vivere. In questa nuova e ultima stagione manca Alan Arkin, spalla perfetta di Michael Douglas nelle precedenti edizioni, ma il suo ruolo viene degnamente rimpiazzato da Kathleen Turner, qui nel ruolo della ex moglie dell’istrione Sandy Kominsky. Nuovamente insieme (chi non li ricorda negli anni ’80 nei film La guerra dei Roses, All’inseguimento della pietra verde, Il gioiello del Nilo?), i due big danno origine a duetti divertentissimi prendendosi reciprocamente in giro.
  • Physical (Apple TV+, prima stagione): Sheila (al secolo la bravissima Rosy Byrne), una casalinga-geisha degli anni ’80 afflitta da disturbi alimentari e piena di risentimento, è tormentata dalla sua voce interiore che la vorrebbe più magra, più giovane, più socievole, più buona, più simpatica. E in cuor suo cova invidia e pensieri meschini verso il mondo intero che le sembra più felice di lei. Ma ecco che un incontro le cambia la vita: un’insegnante di aerobica la trasforma in una manager di successo. È una storia di riscatto ben narrata da Craig Gillespie, il regista di Crudelia, in modo feroce e divertente. Consigliata a un pubblico adulto.



La cineterapia in ospedale

Che la visione di un film possa avere effetti benefici su chi è malato è ormai ampiamente accertato. MediCinema Italia (medicinemaitalia.org) è una Onlus impegnata da anni nell’utilizzo della cineterapia e delle arti visive come strumento di medicina complementare.

Tra gli obiettivi dell’associazione c’è quello di migliorare la qualità della vita dei malati ospedalizzati: per questo negli ultimi anni ha creato due sale cinema senza barriere all’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano e alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma.

Attraverso il monitoraggio e l’osservazione delle mutazioni dello stato psicologico dei pazienti, pre e post visione del film (attualmente sono stati osservati 2.300 malati e familiari) si sono potute riscontrare una costante e importante riduzione del livello di ansia, stress e della percezione del dolore, oltre a un miglioramento dello stato psico-fisico generale.


 

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Articolo pubblicato sul numero n° 8 di Starbene in edicola dal 13 luglio 2021


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