La guerriglia familiare contro la rabbia dei figli attraversa una buona fetta della vita di un genitore. Rassegnarsi a questi sfoghi? Mai, il menefreghismo rafforza l’ira ed è poco affettivo. Lottare? Nemmeno, lo scontro porta alla distruzione del rapporto.
Su questa tema, ha qualcosa da raccontarci (e soprattutto suggerirci) la psicologa e psicoterapeuta Francesca Broccoli nel suo libro Lascia che si arrabbi. Capire e affrontare la rabbia di tuo figlio dai 2 ai 13 anni (Sperling &Kupfer, 17 euro), appena uscito nelle librerie. «Non ha senso reprimere d’autorità la rabbia di tuo figlio, così ti perdi la possibilità di conoscerlo», esordisce l’esperta.
«La sua collera, che si esprime in modi diversi a seconda dell’età, è un segnale importante: parla di un bambino, di un ragazzino e racconta di qualcosa che lo sta invadendo a livello emotivo – tensione familiare, stress scolastico, disagio con gli amici, bisogno di essere riconosciuto ecc -, che non rispetta i suoi confini e il suo modo d’essere e da cui si vuole difendere. Gli adulti non possono impedire di fare uscire questi bisogni, altrimenti il malessere rimane imprigionato e si riprodurrà in mille altre situazioni. Anzi, bisogna aiutare un figlio a esprimere la sua “protesta”».
Aiutarlo, appunto, a comunicare ciò che prova, il che è molto diverso da soccombere alle sue ire funeste. «Assecondare la rabbia non equivale a sopportare tutto. Il compito degli adulti è mettere un confine ai loro ragazzi ed essere chiari», riprende Broccoli. «Chiari con le parole e il comportamento. Il messaggio che deve passare, soprattutto nell’adolescenza, è questo: “ok sei arrabbiato, io ne tengo conto, cerco di capire il perché e sono disposto a trovare una soluzione con te. Ma tu, ragazzo, devi rispettare i patti». Come dire: s’ottiene di più con il dialogo che con il pugno di ferro.
18 febbraio 2016
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