Se l'affetto fosse denaro, i conti correnti di alcune persone registrerebbero ben pochi movimenti. Un sorriso, un complimento, una confidenza: operazioni troppo dispendiose, più rischiose di una giocata in Borsa. Meglio chiudere i caveau e tenere tutto al sicuro.
Il grande Molière ci ha lasciato il ritratto perfetto dell’Avaro, geloso del proprio denaro e umanamente arido. In tempi più recenti la psicoterapeuta Umberta Telfener è riuscita a riassumere in due parole la scarsezza di calore e di condivisione che contraddistingue le relazioni contemporanee parlando di "amori briciola". Mentre il filosofo Umberto Galimberti tempo fa lanciò un allarme significativo: la nostra società sarà sempre più composta di analfabeti emotivi, perché siamo incapaci di accudire emotivamente gli altri.
Che poi è quello che racconta l'attore e sceneggiatore Marco Bonini nel suo libro Se ami qualcuno dillo (Longanesi): l'imprinting di un padre che non sapeva fare una carezza ai figli e dire ti amo alla moglie, che infatti l'ha lasciato. «C'è un filo conduttore che va dalle nostre esperienze infantili a quelle relazionali della nostra vita di adulti. Se non abbiamo appreso da piccoli la capacità di esprimerci e darci agli altri, ci ritroveremo con i sentimenti bloccati in un circolo chiuso di lamentele ed egoismi», ammette Giulio Cesare Giacobbe, psicoterapeuta e scrittore. «È un atteggiamento talmente tanto diffuso oggi da essere una patologia collettiva, che purtroppo scambiamo per normalità, ma che rende fallimentare la società».
Manca l'esperienza positiva
Una questione di immaturità, dunque, più che di egoismo vero e proprio. Non diamo agli altri perché non abbiamo imparato a farlo. «Concederci, accogliere, entrare veramente in relazione ci appaiono come gesti che mettono a repentaglio la nostra integrità. Se offriamo qualcosa, perdiamo una parte di noi. Se manteniamo le distanze, nessuno potrà ferirci», spiega Marzia Cikada, psicoterapeuta sistemico-relazionale. «Accade perché non abbiamo mai sperimentato quanto essere sentimentalmente altruisti sia positivo».
Numerose ricerche hanno ormai confermato che chi è più generoso è anche più felice. L’atto di donare attiva i circuiti cerebrali della ricompensa, cioè quelli che ci danno una sensazione di piacere e di soddisfazione. È l'"altruismo efficace". «Chi è più empatico, chi prova un reale desiderio nello stare con gli altri è più ricco», chiarisce Cikada. «Peccato che ci venga facile fare il contrario». In psicologia, si parla di alessitimia, per indicare una scarsa consapevolezza emotiva e l'incapacità di distinguere e identificare gli stati d'animo. È l'analfabetismo di cui parla Galimberti che si esprime sia con la difficoltà a riconoscere i bisogni dell'altro, sia con l'incapacità di dare una risposta a questi bisogni.
Ci perdiamo in dettagli inutili
Nelle relazioni, chi sfodera il contagocce cerca di condividere il meno possibile. «La ragione è che queste persone hanno paura di perdere il controllo delle proprie vite e, in ultima analisi, il potere», spiega Telfner. Sono quei partner che hanno puntato tutto sulla carriera, o quei genitori che, se devono passare due ore con i figli, non sanno che fare e dire. «E poi le nuove tecnologie ci spingono a concentrarci sugli aspetti marginali dell'esistenza: così ci curiamo più del numero dei nostri follower che dell'espressione che ha sul viso il nostro partner», aggiunge Cikada.
E allora, ha ragione Galimberti, ci vorrebbe una nuova educazione perché «il sentimento non è una dote naturale, ma si acquisisce culturalmente». Ognuno di noi può fare un passo in questa direzione. «Chiedendoci quanto sappiamo comprendere le persone che abbiamo accanto e quanto facciamo realmente per approfondire il legame con loro», conclude la psicoterapeuta. Perché se impariamo ad accogliere la dimensione emotiva, la vita acquisterà un sapore più intenso.
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