Il 60% dei vedovi viene visitato dal partner morto, in qualche modo, e di solito ne riceve conforto. Succede anche a chi perde parenti o amici, succede a tutte le età, a uomini e donne. Si chiamano esperienze allucinatorie post lutto e sono state studiate recentemente da un team di ricercatori del Dipartimento di scienze della salute dell’Università degli studi di Milano.
Si tratta di fenomeni poco indagati e spesso anche tenuti segreti da chi li sperimenta, per vergogna o per timore di essere o essere giudicati malati: ma secondo il team italiano, sono normali e diffusi. Lo studio dimostra che si presentano anche in soggetti che non hanno alcun tipo di disordine mentale.
Le manifestazioni sono molto varie, dalla “percezione” di una presenza all’echeggiare di una risata; la reazione non è mai di paura: di solito l’allucinazione è consolatoria, qualche volta invece rende più acuto il senso di perdita. Ma sempre conferma la persistenza di un legame che è stato importante.
Monica Morganti, psicologa e scrittrice, commenta così: «Le chiamiamo allucinazioni, ma di fatto sono vissuti emotivi accompagnati da sensazioni percettive. Ci sembra di percepire la presenza una persona che siamo abituati ad avere vicino: succede anche, per esempio, quando un figlio si sposa e va via di casa. Se la mamma ha la sensazione che lui si trovi nella stanza accanto – poi si riscuote, si dà della sciocca - a nessuno viene in mente che sia un fatto patologico. È come ricordare delle sensazioni che sono rimaste nel corpo e nella mente».
«La stessa cosa avviene quando si subisce lutto, un’occasione nella quale questi episodi possono presentarsi frequentemente e con intensità maggiore. Se avviene con persone anziane, il dubbio che siano allucinazioni ovviamente si pone e può allarmare i familiari, il medico e la persona anziana stessa. E in effetti, per escludere patologie, è una cosa di buon senso parlarne con il medico. Ma il fatto in sé è naturale».
«A un mio paziente di 34 anni è morta improvvisamente la madre per un ictus: i primi tempi, quando stava nella casa dove viveva solo con lei, gli pareva di sentirla in cucina. Fa parte dell’elaborazione del lutto, sono sensazioni consolatorie. Un’altra mia paziente, una pediatra ospedaliera, ha perso il marito e continuava a sentirne la presenza. Nello stesso anno le era morto anche il padre, era stata soggetta a forti stress e sentiva il bisogno di un attaccamento. In alcuni casi è più faticoso elaborare il lutto, e allora scatta un meccanismo immaginativo inconscio. Ma in questo non c’è nulla di patologico».
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