Una collega che ti mette in cattiva luce, un’amica che ti fa sentire insicura, una madre incontentabile. Da donna a donna, sono tante le piccole, grandi ferite che ci infliggiamo. Sono ferite emotive, con meccanismi interiori ben diversi da quelli che spingono un uomo a essere violento. Sono poco più che atteggiamenti, meno evidenti di un abuso fisico, meno misurabili dalle statistiche, ma dolorosissimi perché provenienti della persone da cui ti aspetteresti solidarietà, amicizia, condivisione.
«Siamo passati da un sistema in cui le donne facevano squadra, combattevano per gli stessi ideali, a una situazione di accesa competizione, in cui l’altra è proprio la principale rivale», spiega la psicoterapeuta Umberta Telfener. Non a caso, nel saggio del 2014 Donne alfa di Alison Wolf (Garzanti, 23 €) si teorizza la fine della sorellanza e della solidarietà al femminile, dal lavoro alla famiglia fino ai gruppi Whatsapp.
Un’ulteriore conferma arriva da un bestseller di qualche anno fa, Twisted Sisterhood, in cui l’autrice Kelly Valen scrive: “Gli uomini hanno il potere di ferire il mio corpo, ma le donne hanno il potere di distruggere la mia anima”. L’affermazione scaturisce da uno studio effettuato insieme a psicologi, sociologi e neuroscienziati: il 90% delle 3mila intervistate da Valen ha dichiarato di “sentire la negatività emanata da altre donne”.
A osservare la situazione con la lente d’ingrandimento, nella violenza intragenere c’è di più che una semplice competizione. «Se un tempo era la conquista di un partner a mettere Eva contro Eva, oggi le donne sono chiamate a misurarsi in molti altri terreni», sottolinea Elisabetta Leon, counselor a orientamento gestaltico.
«E, a differenza degli uomini, non si confrontano sul piano del potere o della forza, bensì su quello dell’identità e della realizzazione. Infatti, se una donna aggredisce un’altra è spesso per pura insoddisfazione. Scontenta e frustrata, vede nell’altra ciò che non è o che non si è data la possibilità di essere. Penso, infatti, che ogni forma di violenza perpetrata ai danni di una pari ha origine in una violenza fatta in primo luogo a se stesse per non aver visto o accettato i propri bisogni e desideri».
5 mosse per difendersi dagli attacchi
Siamo abituate ad alzare la guardia nei confronti degli uomini. «Più difficile è capire quando l’attacco ci viene sferrato da una donna», spiega la dottoressa Telfner. «Le sue strategie, infatti, sono ben diverse. Se un uomo predilige lo scontro diretto, fisico, la donna è più sottile, cerebrale, sceglie attacchi laterali, più subdoli, ma non meno efficaci, per isolare, colpire, depotenziare».
Ti senti vittima di una violenza da parte di un’amica, un familiare o una conoscente? Ecco come ti puoi difendere.
- 1. Instaura un dialogo sincero
La prima forma di violenza intragenere è il pettegolezzo. «È la modalità più evidente, quella meno raffinata», prosegue la dottoressa Telfener. «Viene messa in atto con la finalità di screditare, isolare la vittima». La ferita provocata da una maldicenza potrebbe scatenare una vera battaglia a chi la dice più grossa.
«La strategia giusta, invece, è quella di ripristinare un dialogo con toni diversi», consiglia la psicoterapeuta. «Si può proprio iniziare dicendo che quell’atteggiamento scorretto ci ha fatto rimanere male, e che la prossima volta preferiremmo che le critiche ci venissero rivolte direttamente e non riportate da altri».
- 2. Tieni alta l'autostima
Una donna sa quali corde emotive andare a toccare. Basta un’osservazione che colpisce il tuo lato debole, oppure un atteggiamento indifferente per farti sentire non solo sbagliata, ma anche invisibile.
«Ci sono forme di violenza subdola che fanno leva direttamente sull’equilibrio interiore della vittima», conferma la psicoterapeuta. «Pensiamo alla mancanza di generosità, alla disattenzione, al fatto di non dire mai “grazie” oppure “brava” perché non si vuole riconoscere all’altra un merito o un ruolo», aggiunge la psicoterapeuta.
Con una persona che ti tratta così hai un solo strumento a disposizione: la tua autostima. «Più sarai centrata e in contatto con le tue risorse e i tuoi punti deboli, più sarai in grado di non dipendere dal giudizio altrui. Se ti accetti per come sei, nessuno potrà permettersi di svalutare te stessa e quello che fai», consiglia Telfener.
- 3. Delimita bene i confini
Molte donne cercano il riscatto da una vita che non è quella che avrebbero voluto attraverso le figlie, attivando un comportamento fortemente aggressivo: si rivolgono a loro con durezza, pretendono impegno, forza e risultati.
E naturalmente sono ipercritiche. «Una mamma che pensa sempre di sapere che cosa è meglio per la figlia in realtà sta proiettando su di lei i sogni che non ha saputo realizzare e sfoga così rabbia e frustrazione», spiega Elisabetta Leon.
«E questa è una forma di violenza perché fa passare messaggi di squalifica e inadeguatezza». Per difendersi da una madre ipercritica occorre saper creare dei confini tra te e lei. Tra il ribellarsi e il tollerare c’è una via di mezzo, suggerisce l’esperta, che è quella di «coltivare la propria identità personale, cercando conferme in altri contesti».
- 4. Rispondi all'aggressività con l'assertività
Una critica sottotraccia, un commento acido, una pretesa eccessiva. Possono arrivare anche da chi meno te lo aspetteresti. Per esempio, dalla mamma di un compagno di scuola di tuo figlio. O da una persona con cui condividi un hobby, uno sport.
«Nei gruppi, soprattutto quelli virtuali tipo Whatsapp, è più facile trovarsi una donna contro. Ecco allora che le critiche non sono mai costruttive, ma diventano personali e sottendono l’insoddisfazione per il ruolo che ci siamo ritagliate: me la prendo con chi ha fatto una scelta di vita diversa dalla mia.
Tipico esempio, le mamme casalinghe contro le mamme che lavorano. Oppure, cerco di depotenziare chi ha delle caratteristiche che mi piacerebbe tanto avere ma che non sono mai riuscita a coltivare». All’aggressività, in questi casi, è bene rispondere con l’assertività. «Semplici frasi, concetti chiari per ribadire chi siamo e le idee in cui crediamo», suggerisce l’esperta. «Così facendo sgombreremo il campo dalle critiche volte solo a ferire».
- 5. Rispetta la tua natura
«È giusto voler emergere e competere», spiega la psicoterapeuta. «Ma credo che i mezzi utilizzati da noi donne vadano rivisti. Oggi andare l’una contro l’altra sta diventando una prassi. Con la conseguenza che tutte noi sentiamo una pressione fortissima». Se anche tu pensi di essere travolta da questo clima competitivo e alla violenza rispondi con altra violenza, allora forse, sarebbe bene che ti fermassi a riflettere sul fatto che la solidarietà è un punto di arrivo importante nelle relazioni tra donne. E se la vuoi conquistare devi ripartire da te stessa. «Per capire che le altre sono una risorsa e non un pericolo, facciamo un passo indietro e troviamo il tempo per una riflessione profonda su di noi e sulle nostre scelte, consiglia la counselor. «Esploriamo le nostre paure, ascoltiamo la nostra stanchezza e riflettiamo sui limiti che ci imponiamo e su ciò che non ci permettiamo di realizzare».
Una buona relazione con le altre inizia sempre da noi stesse e da come ci sentiamo. «Permettiamoci di fare errori, di dire dei “no” e di esprimere rabbia. Se rispettiamo la nostra natura, impareremo a rispettare anche quella di amiche, colleghe, conoscenti. Perché le donne, quando si aiutano, sono una vera potenza», conclude l’esperta.
Il mobbing è femmina
È tra le pareti di uffici e studi che si consuma la maggior parte dei casi di mobbing da donna a donna. «Occorre fare una distinzione», precisa Claudia Manzi, professore associato di psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano.
«C’è il conflitto che si crea tra colleghe, cioè tra lavoratrici allo stesso livello, e che è frutto del gender gap: poiché sanno che saranno gli uomini ad avere maggiori possibilità di andare avanti, alcune cercano almeno di prevalere sulle concorrenti femminili.
E c’è, poi, la “sindrome dell’ape regina”: colpisce quelle donne che, arrivate ai vertici, non si propongono nel ruolo di mentor nei confronti di altre donne, ma cercano al contrario di ostacolarle». Uno studio americano, condotto in collaborazione con l’Università di Pisa, l’ha confermato rivelando come un gruppo di donne in commissione d’esame per le cattedre universitarie abbiano valutato le candidate con un punteggio minore rispetto agli uomini, a parità di preparazione. «Le api regine hanno dovuto sacrificare la propria femminilità per la carriera», spiega Manzi. «Perciò sono in conflitto con il femminile, sul piano personale e relazionale. Anche perché le donne, a differenza degli uomini, hanno meno capacità di non lasciarsi coinvolgere. Di conseguenza, la situazione conflittuale rimane sempre attiva».
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