Come combattere l’ansia con la distensione immaginativa

La distensione immaginativa è un’efficace tecnica di rilassamento che ci libera dalle tensioni fisiche e psicologiche. Ce la insegna una grande esperta



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Alla fine degli anni ’70 il professor Piero Parietti, psichiatra psicanalista esperto in ipnosi, metteva a punto una nuova tecnica che avrebbe avuto grande influenza e sviluppi nella medicina psicosomatica e in psicoterapia, la Distensione Immaginativa (DI). «Già allora si era visto che, per le persone che avevano disturbi legati alla sfera sia fisica che psichica, non erano sufficienti né l’intervento medico (farmaco) né quello psicologico-psicanalitico (parola)», racconta Maria Ceriani, medico psicosomatista, psicoterapeuta e sessuologa, già allieva del professor Parietti ed esperta di DI. «La malattia è un’espressione tanto del corpo quanto della mente, e va vista in modo unitario. Proprio la necessità di superare la divisione corpo-mente ha fatto nascere la medicina psicosomatica e tecniche come la DI».


Dottoressa, cosa c’entra l’immaginazione con l’ansia?

Le persone che si ammalano a causa dell’ansia sono in genere calate troppo nel mondo del razionale. Sono metodiche e legate alla logica, non si trovano a loro agio nel campo della fantasia, dell’immaginazione. Sono pazienti che hanno fatto prevalere forzatamente e nel tempo la parte razionale del locarattere. Perdere la capacità immaginativa, però, porta ad ammalarsi. Immaginare non è solo visualizzare, è anche creare, disegnare, contemplare, è tutta la nostra parte creativa. La vita è fatta di opposti e ci vogliono tutti e due: posso essere molto pragmatica, ma devo avere anche il mio lato “libero”. Così come non posso vivere solo di fantasie. L’ipertrofia di una parte o dell’altra porta al disagio, prima o poi.


Le tecniche anti-ansia sono tante, ma vanno bene tutte?

Ci sono tantissime tecniche valide che vengono utilizzate in medicina psicosomatica e psicoterapia, ma vanno applicate al momento giusto e in relazione alla problematica presentata dalla persona. Per esempio, se ho a che fare con una donna che soffre di cefalea per una sua tendenza a controllare tutto quello che fa eccessivamente, proporle come prima tecnica, per esempio, la visualizzazione (l’esperto le chiede di visualizzare nella sua mente, per esempio, un luogo) rischia di produrre un disagio, perché c’è una abitudine a resistere all’inusuale, e non funzionerebbe. Così come una tecnica di rilassamento per un insonne prima di dormire non sortirebbe effetto: se la sua difficoltà è proprio quella di addormentarsi e lasciarsi andare, nel momento in cui ti accorgi che ti stai abbandonando grazie a un esercizio ti viene spontaneo reagire, annullando l’effetto voluto.

Infine, se ho una persona che somatizza l’ansia a livello respiratorio o ha degli attacchi di panico, non vado a stimolare quella parte respiratoria. La Distensione Immaginativa invece, per come è strutturata, risulta efficace proprio in questi campi. Esistono dunque vere e proprie tipologie di pazienti, con le loro espressioni psicosomatiche, che sono adatte a certe tecniche e ad altre no, perlomeno all’inizio della terapia. Ansia, disagio, inquietudine si manifestano in diversi modi: per esempio non si dorme bene la notte (l’insonnia è una delle prime manifestazioni dell’ansia), si hanno disturbi gastrointestinali (gastriti, coliti, reflusso), dolori e blocchi muscolari, tachicardie, fiato corto, fino ad arrivare agli attacchi di panico. Ogni ansioso ha un organo bersaglio dove scarica le sue tensioni.


In cosa consiste la Distensione Immaginativa?

Poggia su due fondamenti: il rilassamento muscolare e l’attività immaginativa spontanea o evocata del paziente. La prima fase si chiama di Contrazione e Distensione Agita, perché agiamo contrazioni e rilasciamenti muscolari. L’esercizio costante di questa fase apre alla fase immaginativa, che è cruciale per la terapia.


Come ci si rilassa all'inizio?

Il rilassamento muscolare serve ad allentare fisicamente tutti i sistemi di allerta che abbiamo, creando una piccola oasi di benessere quotidiano. Per ottenere questo si chiede alla persona di fare con il corpo delle cose semplici e immediate: sono contrazioni e distensioni nelle varie zone muscolari. Si chiede anche di respirare lentamente fino a riempire bene d’aria i polmoni, per poi lasciare andare il respiro liberamente. È un valore aggiunto proprio della DI: hai di fronte una persona che ha delle resistenze (anche se viene da te per stare meglio) e tu gli chiedi non cose strane o difficili, ma semplici e che il suo corpo sa già fare. Tutti sappiamo contrarre e rilasciare, o respirare: inizialmente la DI è solo questo.


Ma in pratica cosa si fa?

Seduto su una poltrona o disteso (come preferisce), il paziente contrae un muscolo specifico molto lentamente, fino a farlo arrivare alla massima tensione per poi rilasciarlo, in modo da far cessare istantaneamente la tensione muscolare. Tutti noi ci accorgiamo di avere delle contratture che non sono finalizzate a nulla e sono legate a una postura sbagliata, all’uso prolungato del computer, alle gambe o ai piedi che si muovono nervosamente in certe situazioni, al serrare i denti nei momenti di tensione. Tutte situazioni fisiche che andrebbero allentate, “lasciate andare”. Chi vive l’ansia, crea delle contratture muscolari delle quali non si accorge, ma che producono tensione fisica inutile o dannosa.

La prima fase della DI lavora su questo, facendoci anche diventare consapevoli di tutti i muscoli del nostro corpo, che andremo a contrarre e rilasciare completamente dalla testa ai piedi. La chiave è contrarre e poi lasciar andare la contrazione effettuata. Un esempio: se ti chiedo di chiudere il pugno e poi di lasciare andare la contrazione, la maggior parte delle persone apre la mano. In questo caso, ci saranno due contrazioni: una dei muscoli flessori della mano (chiudo) e una di quelli estensori (apro la mano, la estendo): la persona però così è sempre in uno stato di contrazione. Nella DI è importante togliere la stessa contrazione che abbiamo messo in campo. Quando invito alla contrazione uso la parola “contrai”, per rilasciare uso l’espressione “lascia andare”, non “decontrai”. La chiave di tutto è proprio il “lasciar andare”, consegna anche psicologicamente evocativa.


Ci sono comandi verbali?

Questa fase di contrazione e decontrazione viene condotta in modo evocativo: l’esperto usa delle parole chiave (poche e semplici) che servono da una parte a decontrarre, ma portano anche il paziente a immaginare qualcosa evocano qualcosa. Quando pronuncio “lascia andare”, mentre fa l’esercizio la persona spesso arriva a chiedersi: “ma che cosa, oltre al muscolo? Che cos’è che non lascio andare ancora?” Con la DI, ed è solo questione di tempo, le persone arrivano a evocare atti di consapevolezza.

C’è chi racconta “dottoressa, lei mi ha detto di non fare nulla e a me è venuto in mente che io non mi permetto mai, da lungo tempo di non fare nulla”; e ancora: “mi sono commossa durante l’esercizio, perché penso solo agli altri, e questo è il primo momento per me”. E ancora: “Quando lei mi ha detto di portare indietro le spalle ho sentito come se…”; il come se è importante perché introduce una metafora preziosa per il terapeuta; “...Come se fossi trascinato da pesi, che poi diventano delle ali”. Poi ci sono quelli che si godono il rilassamento e all’inizio non immaginano nulla, fanno il pieno di energia. Perché le tecniche di rilassamento sono anche tecniche energetiche, che liberano cioè l’energia bloccata nelle tensioni muscolari.


La respirazione è particolare?

Non deve essere focalizzata sulla pancia o altro. L’aria va fatta entrare inspirando lentamente, fino a raggiungere un massimo e poi va rilasciata liberamente. “Porta dentro l’aria e lascia andare": l’espirazione è passiva, non butto fuori come in un esercizio da palestra; immagino di avere un tappo sulla bocca, lo rimuovo e lascio uscire liberamente l’aria, senza accompagnarla.


Che effetto si ottiene subito?

Partendo dalla decontrazione fisica si arriva a momenti di consapevolezza e il tutto funziona come un generale rilassamento, un lasciarsi andare totale. Questa tecnica, fatta col terapeuta e poi ripetuta a casa, col tempo porta a ritrovare la capacità immaginativa.


Che cosa si “vede”?

Inizialmente, quello che immagina il paziente non sono immagini lunghe tipo sogni, storie o “film”. Le impressioni molto articolate, frequentemente, sono figlie del pensiero, non dell’immaginazione. Si tratta di flash: ricordi, la visione di luoghi naturali (conosciuti o sconosciuti), sagome colorate, ma anche profumi e suoni… Si immagina con tutti i sensi. Questo per l’esperto significa che la persona sta iniziando a ricontattare la sua capacità immaginativa. Ci sono pazienti che a ogni zona del corpo evocata visualizzano delle immagini o viceversa, correlano una visione a una parte organica. Esiste un corpo dentro e uno fuori che iniziano a comunicare.

Le parti nominate (e vengono nominate tutte, dai piedi alle labbra) a un certo punto della terapia evocano delle immagini che saranno poi lo strumento del terapeuta per proseguire, secondo le sue competenze, la cura individuale con percorsi psicoterapeutici. Per esempio, non riuscire a fare l’esercizio con le estremità ha un significato psicologico. Con le mani si respinge, si accoglie, si abbraccia. Se io non riesco a piegare bene le mani all’indietro sui polsi potrei avere per esempio difficoltà ad arrendermi. È il linguaggio segreto del corpo. La DI ci dà l’occasione di manifestare dei significati nascosti. Ogni distretto corporeo ci comunica informazioni diverse.


Che differenza c’è rispetto alle visualizzazioni?

Nella tecnica di visualizzazione il terapeuta chiede al paziente di immaginarsi in luoghi anche fantastici. La DI invece non ti chiede, nella seconda fase dell’esercizio, di immaginarti sulla Luna o un’isola in mezzo la mare, ma cose molto concrete, come quella di alzare una gamba senza farlo, e questa semplicità aiuta soprattutto le persone che da tempo hanno perso la loro capacità immaginativa. Possono allora accadere piccoli “miracoli” con il paziente che di colpo dice: “quando lei mi ha detto di alzare la gamba l’ho vista toccare il soffitto”. Vuol dire che i suoi neuroni si sono attivati per ricominciare a immaginare.


Chi sono i candidati ideali per la Distensione Immaginativa?

Tutte le persone che hanno perso la confidenza con le immagini e ne soffrono già. A volte sono così imbottigliate in loro stesse che se gli chiedi “cosa ti piacerebbe fare in questo momento” non te lo sanno dire, ci devono pensare, e questo è drammatico. Il bambino, che ha un’immaginazione libera da interferenze, fa una lista immediata di piaceri che vorrebbe, l’ansioso è al contrario concentrato sulla razionalità, ed è spesso un iperattivo mentale che razionalizza tutto, smettendo di immaginare. Cerca di risolvere tutto quello che gli capita con la ragione: va bene, la realtà ci impone delle scelte “pensate”, ma se tutta questa razionalità arriva a impedire all’immaginazione di esistere, diventa un problema psicologico e poi psicosomatico.


In quanto tempo si hanno i primi benefici?

Si possono fare anche degli esercizi a casa? La risposta è individuale e dipende da come viene accolta e sviluppata. In tre o quattro sedute abbiamo già dei miglioramenti. Durante la fase di rilassamento il terapeuta capisce quanto tempo ci vorrà per ottenere risultati significativi, anche fisici, in una persona. Sono tutti esercizi che può semplicemente gestire il paziente anche a casa, che danno però sensazioni di benessere e di relax immediate. Come chi soffre di ulcera e sta male sul lavoro quando vede arrivare il suo capo (inizia con l’irrigidirsi perché lo teme): appena ne percepisce la presenza fa l’esercizio di DI (ovviamente senza chiudere gli occhi) e, se ha eseguito un periodo di training con la tecnica, ne trae subito beneficio.



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