A ognuno il suo rompicapo. Se fare i genitori è difficile, fare gli adolescenti è difficilissimo. Almeno in una società iperveloce e prestazionale come la nostra, premette Stefano Rossi, psicopedagogista e autore del libro Lezioni d’amore per un figlio (Urra Feltrinelli, 16 €), fresco di stampa.
Tutto parte da un’affermazione, forte: «Il cuore dei nostri ragazzi è pieno di tagli. Oggi più che mai», dichiara Rossi. «Spesso ci si dimentica che l’adolescenza è quel periodo “complicato” in cui un tredicenne, quattordicenne deve “ammazzare” (simbolicamente) il bambino che non può più essere, per fare nascere se stesso. In senso figurato, l’adolescente è paragonabile a un artista chiamato, giorno dopo giorno, a dare forma a se stesso. Però, spesso la forma, soprattutto del corpo, delude le sue aspettative, provocandogli non poca sofferenza. Di questi tempi, poi… I ragazzi postduemila, infatti, nascono in un mondo precario e instabile dove si è imposto un comandamento feroce: vincere, brillare ed eccellere, a qualsiasi costo. E, sotto l’urto di una pressione soffocante, la mente e il cuore dei giovanissimi sono facile terreno di cortocircuiti che “bloccano” o appesantiscono, la crescita».
L’anima dei teenager, insomma, si perde facilmente in labirinti che si chiamano autodenigrazione, perfezionismo, scarso controllo emotivo, solitudine digitale, per citare le prigioni più ricorrenti in cui si rinchiudono, volenti o nolenti. «Da cui tentano di scappare, con diverse modalità di fuga spesso fallimentari», sottolinea lo psicopedagocista. «Questi tentativi di sfuggire a contesti, situazioni, stati d’animo e aspettative irreali o illusorie uniscono un’intera generazione di under 20, da quello griffato a chi sogna di fare l’influencer fino ai casi d’abbandono della scuola o di ritiro sociale».
Gli adulti come possono sostenerli? Conoscendo quali sono i tunnel più insidiosi in cui possono infilarsi i ragazzi e cercando di stimolarli con specifiche “lezioni d’amore” a pensare e sentire il mondo con occhi nuovi.
Stefano Rossi spiega che durante la crescita l'adolescente tocca quattro isole; ciascuna è abitata da grandi paure che, a loro volta, alimentano distinti labirinti. Tra i 16 individuati nel libro Lezioni d’amore per un figlio, Starbene ne ha scelti alcuni.
- L'apatia
Spesso i genitori vanno in tilt quando vedono il figlio (o la figlia) che passa ore sul divano, ed è sordo a qualsiasi stimolo, al grido “non ho voglia”, “non mi interessa”.
«Che l’apatia ciclopica, quel buttare via tempo e occasioni, irriti gli adulti è fuori discussione», continua Rossi. «Però, dobbiamo sempre mettere in conto che l’adolescente tende a essere un po’ remissivo, un po’ passivo perché sta pensando se stesso. Anche se a noi sembra un fannullone, lavora continuamente alle domande: “Chi sono? Chi voglio diventare? Ci sto riuscendo oppure no?”. La loro indolenza, insomma, è il riflesso di un’incessante attività interiore». Va bene che il ragazzo sta facendo l’artista, il filosofo, il poeta, ma fino a che punto possiamo chiudere un occhio senza buttarlo giù dal divano?. «Una certa pazienza dobbiamo averla», consiglia Rossi.
«Senza farsi troppe domande e neanche rompersi la testa nel tentare di capirlo. In fondo, il ragazzino è opaco, ed è giusto che sia così poiché la penombra in cui s’immerge serve per lavorare meglio su se stesso. E, poi, la politica del passo indietro paga, nel lungo termine: un figlio sente che rispettiamo la sua personalità e crediamo in lui, una bella forza per l’autostima in formazione. Nello stesso tempo, però, occorre che il ragazzo sia anche responsabilizzato. Quindi, bisogna insegnargli che nella vita si può essere una pagina bianca (che riempie il caso) o una penna coraggiosa che scrive la propria storia. E che con il valore della passione e dell’impegno può modificare le cose. In modo da fargli canalizzare le energie su ciò che realmente gli interessa».
- Il perfezionismo
Nell’isola del sé, i ragazzi costruiscono la propria autostima. E in questo processo, alimentato dal terrore di non valere abbastanza, ne escono acciaccati anche i migliori. Quelli che rincorrono sempre il 9 a scuola, che eccellono nello sport, che brillano a 360 gradi.
«Anche la spinta continua alla prestazione è un boomerang che prima o poi ti ritorna indietro», spiega l’esperto. «Dietro c’è un pensiero fisso e immutabile: ho valore solo con la medaglia al collo. È come camminare sui carboni ardenti, ci puoi riuscire come no. Rimane il fatto che la tua autostima è sempre traballante e costantemente in pericolo, pronta ad andare in pezzi se non porti a casa il risultato».
Ben diverso dall’imparare a volersi veramente bene, la prima lezione d’amore da condividere con i nostri ragazzi. In quali termini? Spiegando la differenza tra la cultura del risultato (vali solo se vinci) e quella dell’impegno (hai lavorato con grinta, determinazione ed entusiasmo). Non è autoassoluzione, ma la sana capacità di riconoscerti lo sforzo che hai fatto. Di riconoscerti che sei stato efficace, bravo, indipendentemente dai risultati.
- La solitudine
In adolescenza si può sopravvivere alla mancanza di amore ma non d’amicizia perché l’amico/a ha una funzione di supporto emotivo fondamentale per evolvere. «Il labirinto della solitudine è uno dei più dolorosi per i giovanissimi, dal momento che gli occhi del compagno hanno l’obiettivo di illuminare le “carte geografiche”, incomplete, frammentate e piene di buchi, del cammino verso l’età adulta»: parola di psicopedagogo.
«E in quest’ambito, la classica frase: “esci e fatti degli amici” è inutile, se non ancora più spaesante. I ragazzi che fanno fatica a stringere legami d’amicizia hanno un problema di fondo: non vedono l’altro nella sua interezza. Ma l’intelligenza sociale, perché è di questo che stiamo parlando, è una capacità allenabile e, con un po’ di esercizio, anche i genitori possono aiutare un figlio a scoprire la bellezza della connessione vera. Per esempio, invitandolo per una settimana a limitarsi a osservare con gli occhi il mondo circostante per capire cosa provano le persone accanto a lui. Con il radar dell’empatia acceso, è più facile che l’adolescente s’accorga di cosa succede nella vita dei coetanei, che sia spinto ad andare incontro a loro e, perciò, trovi il terreno giusto per iniziare un dialogo».
- Il conformismo
Tutto o niente. Alcuni adolescenti sono soli, altri intruppati al 100 per cento con il gruppo dei pari. Stessi vestiti, stessi gusti, stesso stile di vita
e guai a sgarrare ai diktat del branco. Eppure, nostro figlio ci sembrava diverso, con altre idee e una testa meno omologata. «Ecco un altro labirinto in cui spesso entrano i giovanissimi. Ingabbiano la loro personalità in una maschera che non gli appartiene, in cui non si riconoscono ma che sono costretti a indossare per essere accettati», riprende Stefano Rossi.
La via d’uscita dal labirinto dell’omologazioneprigione ruota attorno a una precisa lezione d’amore: «Non dire un sì a qualcuno che sia un no per te. Dentro questa affermazione, c’è un’indicazione fondamentale per una crescita sana e centrata, lontana dalla paura di ferire l’altro o, peggio, di scatenare la sua ira: fare sentire la propria voce è sempre un atto rivoluzionario (crea una discontinuità fra il “prima” e il “dopo”) e coraggioso (libera dalla trappola dell’uniformità data dal gruppo). Senza contare che coltivare la forza della propria voce pone le basi per proteggersi dalle relazioni tossiche, come cattive amicizie e amori sbagliati: consente di mettere dei confini fra i tuoi bisogni e le richieste del mondo esterno, non permettendo a nessuno di calpestare il tuo benessere. Rassicuriamo poi i nostri ragazzi, che tante volte hanno timore di “dire no” per non ferire o fare arrabbiare l’altro. Il no giusto è forte (nel senso di coraggioso nella sostanza) ma gentile nei modi».
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