1. LA FELICITÀ È CONTAGIOSA
Secondo i ricercatori dell’Università del Wisconsin di Madison (negli Stati Uniti), riproduciamo istintivamente le emozioni dipinte sul viso degli altri per sperimentare le loro stesse sensazioni. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Trends in Cognitive Science. Se vediamo qualcuno sorridere, per esempio, tendiamo a rispondergli nello stesso modo. Purtroppo “l’imitazione” scatta anche per gli stati d’animo negativi. Se incontriamo una persona triste assumiamo inconsapevolmente un’espressione addolorata. Quindi: «Se vuoi essere felice, non lasciarti prendere dall'ansia di fare la crocerossina. Stai alla larga dai tipi belli e tormentati. Frequenta invece persone allegre e solari. E, in ufficio, stai vicino a colleghi ottimisti», consiglia la psicologa e psicoterapeuta Daniela Bavestrello. «In ogni caso non rinunciare al tuo buonumore. I neuroni specchio, responsabili della nostra capacità di entrare nelle emozioni dell'altro, funzionano in entrambe le direzioni. E quindi, se vuoi essere ambasciatore della felicità, ricordati di sorridere. Sempre. Prima o poi, qualcuno ti risponderà nello stesso modo. E il circolo virtuoso dell’imitiazione potrà perpetuarsi».
2. LA FELICITÀ “PUZZA”
Quando siamo felici il nostro sudore ha un odore particolare. Non solo: è anche un potente strumento di comunicazione per chi ci sta vicino (e ci annusa, sente, respira). È proprio così: viene contagiato dal nostro “umore” positivo. Lo ha dimostrato Gün Semin, psicologo dell’Università di Utrecht, analizzando vari campioni di secrezioni ascellari. La ricerca, uscita sulla rivista Psychological Science, ribadisce che il sudore è un potente strumento di comunicazione non solo di paura o stress (come già appurato da studi precedenti) ma anche di felicità. Chi inspira effluvi gioiosi attiva i muscoli che gli fanno assumere un’espressione allegra. «E, allora, niente copri odore troppo intensi. Non dobbiamo avere paura di lasciar trasparire il nostro aroma», suggerisce la nostra esperta. «Fatta salva l'ovvia igiene, e un pizzico della nostra essenza preferita, impariamo a valorizzare, e condividere, anche il nostro "profumo" della felicità».
3. LA FELICITÀ È CONDIZIONATA DALL'ETÀ
Le esperienze positive o negative che viviamo nella nostra vita non condizionano più di tanto il nostro stato d'animo. Conta molto di più l'età. È la conclusione alla quale sono giunti i ricercatori dell'Università di Melbourne e di Coventry che hanno monitorato, per anni, 50 mila persone residenti in Australia, Gran Bretagna e Germania. Nel loro studio, comparso sulla rivista The Economist Journal, scrivono che la felicità sperimentata da bambini tende a diminuire progressivamente, fino a raggiungere il "minimo storico” intorno ai 40 anni, per poi ritornare a salire. La gioia di vivere, dunque, è un fenomeno universale, slegato dalle vicissitudini di ciascuno, che segue un classico andamento a “U”: scende e poi risale. «In altri termini, potremmo dire che la felicità sembra essere inversamente proporzionale all'impegno di crescere e affermarsi. Come se, durante l'infanzia e dopo che le carte della propria affermazione lavorativa e sociale sono state giocate, potesse riemergere la felicità. Un sentimento che, molto spesso, è legato al puro piacere», commenta la dottoressa Bavestrello. «E quindi ricordiamoci, anche se siamo nell'età "no", di disdire ogni tanto gli impegni e lasciarci andare… al tempo della gioia senza pensieri!».
4. LA FELICITÀ PUÒ DARE DIPENDENZA
«Se pensiamo di dover continuamente sperimentare quell'esatta sensazione di gioia che abbiamo vissuto in passato (anziché imparare a nutrirci del suo ricordo) siamo sulla buona strada per diventare patologicamente dipendenti da un sentimento che, purtroppo, non può appagare a lungo», afferma la psicologa. «Tutta la nostra vita sarà condizionata dalla ricerca della felicità, una sorta di new addiction (come quella da gioco d'azzardo, internet, shopping) in cui la ripetizione del gesto colma il vuoto lasciato dall'attimo ormai passato. E che noi non sappiamo riempire da sole. Pensare che la gioia sia un dovere, una condizione permanente, o addirittura essenziale, è fuorviante. È l'evento inatteso di un momento qualsiasi. Averla come obiettivo a se stante, al contrario, è pericoloso. Inseguire la felicità dettata dal lavoro giusto, dall'amore definitivo o dalla vincita miliardaria, può trasformarsi presto in una trappola da cui è difficile uscire».
5. DI TROPPA FELICITÀ SI PUÒ MORIRE
Non è solo un dolore improvviso (per la morte di una persona amata o la scoperta di una malattia) a causare il crepacuore. La “cardiomiopatia da stress”, come la definiscono i medici, può essere scatenata (nel 4% dei casi) anche dalla felicità: per la vincita della lotteria, la nascita di un nipote, il matrimonio di un figlio, la vittoria della propria squadra. La “scoperta” è stata fatta dai medici dell'ospedale universitario di Zurigo, i cardiologi Christian Templin e Jelena Ghadri, i quali nel 2011 hanno istituito il primo Registro internazionale di questa patologia, che provoca dolore al petto, affanno improvviso e fa gonfiare il ventricolo sinistro del miocardio come un palloncino. Gli studiosi svizzeri, analizzando i dati relativi a 1750 pazienti, hanno anche visto che a morire di crepacuore sono soprattutto le donne: 95 volte su 100 sono loro a essere stroncate da una forte emozione, bella o brutta che sia. «Potrebbe essere una questione di ormoni femminili, ma non abbiamo ancora una risposta», afferma la dottoressa Ghadri. «Essere felici rende vulnerabili. A parità di condizioni fisiche, e in relazione alle emozioni positive, come la gioia dovuta all’amore (per esempio), gli uomini sembrerebbero più sensibili agli stress da sforzo (come una performance sessuale), le donne più a quelli emozionali (come un "tuffo al cuore"). In entrambi i casi, amare rende vulnerabili. Ma…forse è un rischio che vale la pena correre!
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