Capita a volte per strada di incontrare due sordi che si parlano con la lingua dei segni: io resto sempre affascinato da come riescano a capirsi muovendo velocemente le mani e le dita, formando sempre figure diverse.
Eppure per la Lis, il linguaggio italiano dei segni, manca ancora il riconoscimento ufficiale, nonostante il nostro Paese abbia ratificato nel 2009 la Convenzione delle Nazioni unite che vincola al suo riconoscimento politico e sociale e sebbene sia stata la seconda lingua per sordi al mondo, dopo quella americana, a essere studiata dai ricercatori del Cnr. Il motivo? Pare per un pregiudizio assurdo, privo di qualsiasi base scientifica, secondo cui l’apprendimento della Lis interferirebbe negativamente con quello della lingua parlata. Insomma, se un sordo impara il linguaggio dei segni non si impegnerebbe più a provare a parlare. Invece, dicono proprio i ricercatori del Cnr, è vero il contrario, ovvero che i sordi che padroneggiano la Lis imparano a parlare più facilmente, diventando a tutti gli effetti bilingui, con grandi benefici cognitivi. Perché la lingua dei segni aiuta a migliorare l’attenzione, la discriminazione e la memoria visiva: tutte capacità cognitive che contribuiscono a alzare il quoziente intellettivo.
Ma la Lis aiuta anche l’integrazione: in molte scuole è infatti bello vedere ragazzi e professori udenti usare il linguaggio dei segni per farsi capire dai compagni sordi. Chi non ha problemi di sordità e impara la Lis non solo non è penalizzato a livello educativo, ma anzi sviluppa una maggiore sensibilità verso la disabilità e impara una lingua nuova a tutti gli effetti. Uno strumento in più per comunicare.
Sarebbe quindi importante oggi riconoscere ufficialmente la Lis come una delle lingue ufficiali del nostro Paese, come già avviene ad esempio in Svizzera. In Italia siamo in attesa di un disegno di legge che vada in questa direzione: è nata un movimento che ha portato la questione all’attenzione dell’opinione pubblica, ma non tutte le associazioni di sordi sono d’accordo.