Storia vera: “Ho scoperto le maratone a 61 anni”

Nell’età in cui il fitness in genere è sinonimo di ginnastica dolce e passeggiate, Graziella ha iniziato ad affrontare le corse da 42 chilometri



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Finire sulla pagina Istagram dell’ultima edizione della Maratona di New York non capita certo a tutti. È successo a Graziella Filippuzzi, insieme alla figlia Letizia, fotografate all’arrivo mentre si abbracciano, felici e commosse. Graziella ha 65 anni, è di origine argentina e vive a Udine, dove fa l’interprete.

«Un traguardo cui sono arrivata per caso», racconta sorridendo, quasi incredula di tutto l’interesse che la circonda da quando lo scatto, qualche settimana fa, ha cominciato a circolare sul web facendo conoscere la sua impresa.

«Ho aperto gli occhi sul mondo delle maratone nel 2014, proprio con quella di New York. Ero al computer e casualmente mi è passato sotto gli occhi il filmato dei finisher: non i campioni, ma gente comune. Tutti uniti dalla gioia per aver concluso la gara; una sensazione evidente nonostante la fatica, la stanchezza».

Così, spinta da quell’entusiasmo, ha deciso di partecipare. «Non ho avuto alcuna remora: mi pareva una manifestazione splendida e volevo esserne parte», continua Graziella.


All’inizio mi allenavo da sola, poi seguita da una trainer

Ha cominciato autogestendosi, affidandosi alle tabelle trovate su internet. «Difficili, pesanti», commenta. Ma sufficienti per affrontare, a 61 anni, la sua prima maratona, ad Atene. «Un’emozione straordinaria partecipare all’edizione più antica al mondo, insieme alle mie due figlie! Avevo solo 8 mesi di training nelle gambe ma sono andata tranquilla, senza pensare al risultato, godendomi l’evento», spiega la nostra protagonista.

E poi? «Ci ho preso gusto, tanto che mi sono iscritta all’associazione sportiva Maratonina Udinese e ho iniziato a correre in gruppo, seguita da un’allenatrice due, tre volte alla settimana. E a gareggiare nelle competizioni locali, sui 10-15 km e qualche mezza maratona. Senza bruciare le tappe, seguendo i consigli di Micaela Bonessi, la mia trainer».

Con benefici a livello fisico evidenti, come sottolinea lei stessa: «Ho perso parecchio peso, allenandomi e mangiando meglio, in modo più regolare. La cura per l’alimentazione è cresciuta man mano che mi dedicavo alla corsa: sentivo il bisogno di cibi sani, nella giusta quantità. Ho iniziato anche a dormire meglio ed è scomparsa l’irregolarità intestinale. E poi ho fatto un sacco di nuove amicizie, con cui condividere questa passione».


Prima Buenos Aires e poi New York

Dopo quella di Atene è arrivata la Maratona di Buenos Aires, due anni fa.

«Un modo per tornare nella mia città natale, per viverla in modo diverso, per mettermi alla prova. Perché concludere una maratona significa andare oltre quelli che pensi siano i tuoi limiti. Intorno al chilometro 39 mi accade, regolarmente, di non riuscire ad andare più avanti, come se avessi finito le energie. Per superare il momento difficile e continuare mi pongo dei piccoli obiettivi.

E quando varco il traguardo, vengo travolta da una soddisfazione immensa. Non per la performance sportiva, che non è certamente il mio scopo, ma per aver resistito alla fatica, per essere stata capace di andare avanti, nonostante lo sfinimento. E subito penso alla prossima gara, a come migliorarmi», racconta entusiasta la nostra protagonista.

Finché il 4 novembre 2018 è arrivato il momento tanto atteso, quello della Maratona di New York. «Era il mio obiettivo, volevo arrivare lì dove il mio amore per la corsa era nato. Non è una semplice gara, ma un evento collettivo di gioia, un appuntamento dove i protagonisti non sono solo i runner ma tutti gli abitanti della città che in strada, dalle finestre, dai balconi incitano chi corre. Finché non è arrivato l’ultimo partecipante», commenta Graziella.

«La corsa è stata anche un’occasione da condividere con mia figlia Letizia, che corre regolarmente ma mai con me, perché vive all’estero. Lungo il percorso mi ha aspettato e mi ha aiutato nei momenti critici, incitandomi. Abbiamo chiuso in circa 5 ore, travolte dall’emozione, a metà strada tra il primo, che ci ha messo 2 ore e 5 minuti, e l’ultimo, che ha sfiorato le 12 ore».

E adesso? «Voglio continuare a correre, conoscendo i miei limiti. Quando sento le amiche che si lamentano per gli acciacchi dell’età penso di essere fortunata, perché la corsa mi fa stare bene. E poi ho la fortuna di poter girare il mondo, fare nuove amicizie. Nulla di meglio per restare attivi, con il corpo e la mente».



Maratona per gli over ’60? No problem

«Dopo l’ok del medico, è fondamentale il supporto di un trainer, per ottimizzare la tecnica», esordisce Marco Pasini, preparatore atletico a Vicenza e Verona. Poi occorre fare attenzione alle fasi di stop e alla frequenza settimanale.

«Il corpo deve avere la possibilità di riposare: l’ideale sarebbero 2-3 allenamenti, preceduti da esercizi di mobilizzazione articolare e con almeno 10’ di stretching alla fine. Occorre inoltre integrare il training con sedute di yoga o Pilates, per rinforzare la muscolatura soprattutto di spalle e addominali, a sostegno della colonna vertebrale, e per decontrarre le zone critiche, come quella lombare», commenta Pasini. E durante le uscite non bisogna mai esagerare con i chilometri e l’intensità.

«Con l’età i tempi di percorrenza aumentano, anche se si è allenati. Per le donne il top delle prestazioni nella maratona si raggiunge a 34 anni. Poi ogni 10 anni si perde circa il 10% delle performance: occorre esserne consapevoli. L’allenamento giusto è di 1 ora circa, senza forzare l’andatura», conclude l’esperto.



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Articolo pubblicato nel n° 24 di Starbene in edicola dal 28 maggio 2019


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