Sapete cos’ha provato Davide Re lo scorso 30 giugno subito dopo aver tagliato il traguardo dei 400 metri in 44”77, primo velocista italiano della storia a correre la distanza sotto i 45 secondi? Assolutamente nulla.
«Ero troppo incavolato per essere arrivato di un soffio secondo», racconta il 26enne atleta delle Fiamme Gialle. «Meno male che un mio caro amico mi ha subito raggiunto urlando “Guarda che ce l’hai fatta!”: solo allora ho guardato il tabellone con i tempi e la rabbia è stata ovviamente sostituita da un enorme senso di soddisfazione».
Tra pista e libri
Il prossimo obiettivo del campione azzurro, a partire dagli imminenti Mondiali di Doha, è quello di mantenersi sui livelli raggiunti e cercare di migliorare il suo record. Ma in parallelo allo sportivo, feroce agonista in pista, continuerà anche a esserci “l’altro” Davide: il tranquillo ma altrettanto determinato studente di medicina, che lo scorso autunno-inverno ha dato il massimo per recuperare metri preziosi nella corsa verso la laurea.
«È come se fossi al terzo anno, perché conciliare il tutto non è facile», racconta Re. «Così, d’accordo con la mia allenatrice Chiara Milardi, con cui lavoro a Rieti dal 2017 e che tra l’altro ha saputo ricostruirmi mentalmente prima ancora che fisicamente dopo un periodo buio in cui ho addirittura pensato di mollare tutto, mi sono temporaneamente trasferito a Torino per superare alcuni esami-blocco, facendo anche i dovuti tirocini in ospedale».
Con una tabella settimanale che rende merito a Davide tanto quanto il 44”77 fatto registrare pochi mesi dopo in Svizzera, a La-Chaux-de-Fonds: «Dal lunedì al venerdì seguivo le lezioni mattina e pomeriggio, andando in palestra nella pausa-pranzo. Poi la sera alle 18.30 andavo al campo di atletica e mi allenavo per due ore, facendo anche i filmati da inviare a Chiara. Sabato di nuovo allenamento e domenica libera, ma senza mai esagerare».
L’esperienza americana
Perché nel caso non l’abbiate ancora capito, Davide è il classico "bravo e serio ragazzo" che tutte le mamme vorrebbero per la figlia, non solo per il look: «In realtà è solo questione di essere atleti fino in fondo», si schermisce.
«L’ho imparato a vent’anni, quando per tre mesi ho avuto la fortuna di allenarmi in Florida, condividendo anche la stanza nel campus, con LaShawn Merritt, oro nei 400 metri alle Olimpiadi di Pechino 2008: un vero esempio di come, per arrivare al top, non devi trascurare nessun dettaglio e dosare ogni energia.
Se hai alle spalle una dura settimana di allenamento, fare le ore piccole nel weekend è deleterio, perché il lunedì ti ripresenti ai blocchi di partenza senza aver recuperato nulla. E per quanto riguarda gli affetti, devo ringraziare la mia fidanzata Francesca, universitaria a Siena, per aver accettato il fatto che il nostro rapporto sia basato sulla qualità piuttosto che sulla quantità del tempo passato insieme».
Per Davide è tra l’altro normale vedere con il contagocce le persone care: ha dovuto lasciare Imperia, la famiglia e gli amici già da ragazzo, quando prima di propendere definitivamente per l’atletica era anche una promessa dello sci, come la gemella Elena.
Uno scientifico equilibrio
Se ogni atleta impara a conoscere il proprio corpo, Davide ci aggiunge gli studi in medicina per dare indicazioni più precise alla sua allenatrice e gestire quotidianamente la dieta (50% proteine, 30% carboidrati, 20% grassi, equamente suddivisi tra pasti e spuntini), sotto la guida del suo medico nutrizionista, il dottor Luca Mondazzi.
Con un approccio scientifico anche nel dosare gli sforzi tra muscoli e cervello: «Quando ho in programma un allenamento di velocità, riduco per esempio sempre le ore di studio precedenti per non affaticare le fibre nervose. Ciascuna di loro innerva infatti più fibre muscolari e quindi solo avendo le prime “cariche” posso essere sicuro che le altre si accendano e siano a disposizione per la miglior performance possibile». E magari di un nuovo record.
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Articolo pubblicato sul n. 40 di Starbene in edicola dal 17 settembre 2019