In sella a una bicicletta nessuna può starle davanti. A sancirlo, non uno ma ben due record dell’ora. Il primo, conquistato nel 2018, ha retto per ben tre anni prima di essere infranto; il secondo, freschissimo, registrato lo scorso 13 ottobre. Teatro di entrambe le imprese, il velodromo Bicentenario di Aguascalientes, in Messico. Ma Vittoria Bussi è molto più di una ciclista professionista: ha messo in tasca la laurea in matematica, il dottorato di ricerca preso a Oxford e preferito la carriera sportiva a quella accademica.
Perché il richiamo della bici era troppo forte. E perché l’attività fisica le permette di sentire accanto suo padre, che non c’è più. Noi l’abbiamo incontrata a Campus Bike Convention, evento dedicato al rapporto fra ciclismo e prestazione sportiva che si è tenuto a Bologna a dicembre.
Il ciclismo è stato il tuo primo amore sportivo?
No, quello rimane l’atletica leggera. Quando mi chiedono a quale personaggio dello sport mi sono ispirata per conquistare il record dell’ora dico Eliud Kipchoge, secondo me il più grande maratoneta di sempre.
E allora, come nasce la tua carriera su “due ruote”?
Durante gli anni di studio a Oxford avevo deciso di mettere lo sport “in pausa”... Ma quando ce l’hai nel sangue, il suo richiamo è troppo forte. Inoltre, ho ricominciato perché in quel periodo ho perso mio padre e l’attività fisica mi ha offerto un sostegno. All’epoca andava di moda il triathlon, che prevede anche una frazione di ciclismo. Sono stata notata da un ex professionista italiano che viveva in Inghilterra, e lui mi ha detto: “Tu nel ciclismo andresti forte”. Così ho iniziato ad allenarmi in bici.
Lo sport ti ha aiutato ad affrontare il lutto?
Sì. Quando ero bambina, l’atletica dava alla mia famiglia l’opportunità per stare insieme. Ogni weekend c’era in programma una gara. E poi, a mio padre piaceva seguire i miei allenamenti, tutti i giorni. Riprendere a fare sport è stato per me un modo per riabbracciarlo, “afferrare” la sua vita che non poteva più tornare. Una maniera differente per sentirlo ancora vicino. Avevo anche provato a ricominciare con la corsa ma il mio fisico, negli anni, era cambiato...
Perciò, dal triathlon sei passata al ciclismo...
Sì, e non sapevo di essere portata per questo sport. Fin da piccola non sono mai stata particolarmente coraggiosa, quindi ho usato a lungo le rotelle. E non ho mai imparato ad andare in bici senza mani. Non avevo “il ciclismo nel sangue”, dunque è stata una sorpresa anche per me, tanto che mi sono detta: “Potevo scoprirlo prima, almeno non perdevo tempo a fare atletica leggera per dieci anni...” (ride).
La tua preparazione in matematica ti aiuta nello sport?
Il ciclismo si pratica con un mezzo, la bicicletta. E, come nella Formula 1, dietro c’è il lavoro degli ingegneri che devono curare tutta la parte relativa all’aerodinamica, una delle branche della matematica. In generale, poi, trasmette un modo di pensare che permette di affrontare tutti gli aspetti della vita applicando un metodo scientifico-analitico. Perciò, se durante l’allenamento sorge un problema, cerco di capire da dove nasce e come risolverlo in maniera molto schematica, organizzata.
Avevi già conquistato il record. Perché riprovare?
Il primo tentativo era motivato dal fatto di voler dedicare qualcosa di importante a mio padre. Poi, una volta battuto, potevo vederla in due modi: come una sconfitta o un’opportunità di crescita. Ho scelto la seconda opzione: riprovarci è stata un'occasione per misurarmi su una nuova distanza e questo mi ha permesso di crescere, sia a livello personale sia come atleta. Perché non si tratta solo di stabilire un nuovo record. Per raggiungere l’obiettivo bisogna seguire un percorso che ti trasforma, ti cambia. Che per me è l’essenza dello sport.
In difesa della sicurezza
Purtroppo, come spesso capita a chi pedala, anche Vittoria Bussi è stata vittima di incidenti stradali. «Sono stata investita due volte, una nel 2016 e l’altra tre anni dopo», afferma la ciclista, sensibile al tema della sicurezza sulle strade.
Proprio nel 2019, in occasione della cerimonia di premiazione con il Collare d’Oro al Merito Sportivo, Vittoria consegnò all'allora presidente del consiglio Giuseppe Conte un cartello che indicava 1,5 m, cioè la distanza minima di sicurezza che i veicoli dovrebbero rispettare quando superano i ciclisti: oggi, fra le novità previste dal ddl di riforma del Codice della strada (ove le condizioni stradali lo consentano) che, mentre scriviamo, non è ancora stato convertito in legge.
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