Testo raccolto da Anna Pugliese
Alessia Binetti ha 39 anni e vive a Bari, dove insegna yoga e meditazione. Ecco la sua storia.
Il pancione enorme, in gravidanza, è una tradizione di famiglia. Dopo mia mamma e mia nonna, l’ho avuto anch’io: il mio primo bimbo, nel 2013, alla nascita pesava 4,35 kg. Ero ingrassata di ben 11 kg, da dietro apparivo snella e asciutta, ma la pancia era davvero pronunciata, per usare un eufemismo.
Nei primi tre mesi avevo minacciato un aborto, quindi ero rimasta molto tranquilla e sotto controllo medico. Poi, all’avvicinarsi del parto, avevo ripreso le mie pratiche di hata yoga. Sono un’insegnante di questa disciplina e le asana fanno parte della mia vita: nei mesi dell’attesa mi hanno dato una mano a stemperare la tensione, a sviluppare la consapevolezza di mamma, a sentire in modo preciso, definito, i movimenti del mio bambino, e a rimanere tonica, attiva.
E durante il travaglio la respirazione consapevole (yogica) e il controllo delle contrazioni muscolari mi hanno aiutato a partorire in modo più partecipe, veloce e fluido, con meno dolore.
C’era uno spazio vuoto
Poi il mio bimbo mi ha travolta, in senso positivo. Ho vissuto per lui, godendomi tutti i suoi piccoli cambiamenti, giorno dopo giorno, ma senza rinunciare a uno spazio mio per la pratica yoga. Intanto il peso in eccesso piano piano calava, anche grazie all’allattamento ma senza diete speciali. Insomma, mi sentivo bene, felice.
A quattro mesi dal parto, però, mi sono accorta che nella pancia c’era uno spazio vuoto. Una sorta di buco nel retto addominale, il muscolo che fascia, verticalmente, la parete dell’addome. Se poggiavo la mano al centro dell’addome, facendo un po’ di pressione, sprofondava. Ero piuttosto preoccupata. Sono corsa al computer per cercare su internet una diagnosi. E poi ho coinvolto anche i miei colleghi istruttori. Loro non ne sapevano nulla, ma sul web ho trovato il nome del mio problema: diastasi addominale.
Si manifesta quando il muscolo si divide longitudinalmente con la spinta dell’utero in crescita. Ovviamente mi sono rivolta al mio medico, che mi ha prescritto un’ecografia addominale: l’esame ha confermato la diagnosi, con l’aggiunta di un’ernia ombelicale. Il dottore mi ha spiegato che ho lo xifoide (l’estremità inferiore dello sterno) alto e che questo, fisiologicamente, può favorire il disturbo.
Avrei potuto limitare il danno indossando una guaina contenitiva subito dopo il parto, ma non l’avevo fatto. La soluzione ideale, per lui, era la chirurgia. Io invece ero convinta di poter rimediare con lo yoga, lavorando per rinforzare il retto addominale, in modo da riavvicinare i due lembi del muscolo.
Volevo guarire con esercizi molto mirati. Ma sbagliavo
Da quel momento, il tempo che non riservavo al mio piccolo o alle priorità essenziali, era dedicato agli esercizi per l’addome. Volevo proteggere i miei organi interni ed evitare il rischio di ernie, ricreando saldamente la parete addominale, ma anche tornare in forma: per poter giocare con mio figlio e sollevarlo senza problemi e vedermi di nuovo con la pancia piatta, senza protuberanze.
Però stavo sbagliando, perché mi allenavo soprattutto con posizioni in flessione ed estensione, mettendo sotto sforzo proprio il muscolo danneggiato: così al posto di risolvere il problema lo esasperavo. Tanto che, a un certo punto, nel buco tra i due lembi muscolari, si è addirittura intravista una sorta di pinna, l’interno della mia pancia che spingeva per uscire.
In conseguenza della diastasi avevo anche problemi di digestione e dopo ogni pasto mi sentivo male: l’addome si gonfiava, sembravo incinta di almeno 3 o 4 mesi. In pratica, stomaco e poi intestino si allargavano ma, non avendo il sostegno del retto, si espandevano anteriormente. Inoltre, soffrivo di mal di schiena, perché i muscoli lombari erano sotto sforzo e rischiavo anche l’incontinenza e il prolasso uterino.
Il mio programma vincente
Ho dovuto allora rivedere i miei piani, puntando questa volta su un programma di allenamento della muscolatura profonda dell’addome, che ha un’importante funzione di sostegno: mi sono impegnata sul trasverso, ma anche sugli obliqui.
La panacea è stato un esercizio yoga di contrazione addominale, Uddiyana Bandha. È piuttosto faticoso (va evitato da chi soffre di cuore) e dev’essere eseguito sotto il controllo di un istruttore. In pratica, dopo aver svuotato i polmoni si crea una depressione nel torace, simulando l’inspirazione, per sollevare il diaframma e aspirare le viscere nell’addome. Questa asana è diventata parte della mia quotidianità: i muscoli si sono progressivamente rinforzati e la pancia è diventata meno sporgente.
Devo anche ringraziare un mio collega personal trainer, che mi ha seguita con un metodo di riprogrammazione posturale: allo yoga ho abbinato un workout che lavora sulla tonificazione della fascia addominale e del pavimento pelvico, per riequilibrare anche la colonna vertebrale. Non ho eliminato del tutto il problema, ma la situazione è molto migliorata e ho risolto i miei problemi digestivi.
Adesso mi attende il bis
La scorsa primavera sono rimasta di nuovo incinta. Partorirò a breve, la pancia è di nuovo enorme e continuo a praticare hata yoga per prepararmi al parto. Sono tonica e rilassata. Aspetto il mio bimbo. Poi riprenderò con il mio training “antidiastasi”.
Punto sempre a evitare il bisturi, perché credo nel potere rigenerante e nella forza della disciplina che insegno.
CHE COS'È LA DIASTASI ADDOMINALE
«Il retto addominale è separato centralmente dalla linea “alba”, una sottile fascia di tessuto connettivo che si sviluppa longitudinalmente dal pube allo sterno», spiega Mario Artini, terapista della riabilitazione a Roma.
«Diastasi dei retti significa che la parte destra e sinistra del muscolo si separano a causa di uno stiramento. Può appunto accadere in gravidanza, per effetto della spinta dell’utero, ma può anche dipendere dal sovrappeso o da sforzi ripetuti e molto intensi, come quelli di chi pratica body building o fa lavori pesanti. Se una prima autovalutazione (trovi le info su diastasiaddominale.com) conferma il sospetto, va fatta un’ecografia addominale.
«Il primo step è un percorso fisioterapico per tonificare il trasverso, il muscolo più profondo dell’addome», prosegue Artini. «Se non si hanno risultati e magari ci sono complicanze (ernie ombelicali o epigastriche, prolasso di utero o vescica) va consultato un chirurgo per un’eventuale riparazione endoscopica: attraverso tre piccole incisioni all’altezza del pube si suturano le fasce muscolari».
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Articolo pubblicato nel n° 8 di Starbene in edicola dal 5 febbraio 2019