Il dolore è un’esperienza negativa che abbiamo provato tutti. Un momento di sofferenza che trae origine da molte cause: traumi, fratture, coliche renali, ernie, artrosi, postumi di un intervento chirurgico. Ma quando i dolori diventano cronici si comincia a intristirsi e a sentire il peso degli anni che passano.
Rassegnarsi a convivere con il mal di testa o la lombalgia? Imbottirsi di analgesici? La strada verso il benessere è lunga e tortuosa, perché passa da una nuova consapevolezza. L’importante è avere fiducia nelle capacità di autoguarigione e mantenere verso il dolore un approccio olistico, che non si limita a silenziare il sintomo ma scava in profondità. Solo così riuscirai a tenere a bada dolori e doloretti vari e, di conseguenza, a sentirti più attiva e ancora giovane.
Per capire meglio come muoversi nel labirinto dei malesseri quotidiani, abbiamo intervistato il dottor Paolo Mariconti, anestesista e farmacologo, esperto in medicina del dolore e dell’aging.
Dottor Mariconti, che cos’è il dolore?
È un un campanello di allarme che ci avverte che qualcosa non va. Senza di lui non capiremmo se qualche organo è in sofferenza. Alcune persone hanno delle alterazioni genetiche tali da non percepire le sensazioni dolorose. Nel 1932 un congresso medico a New York riportò il caso di un certo Mister Gibson, un muratore che, pur prendendosi a martellate le dita, non sentiva male. Era come anestetizzato e pensò bene di sfruttare questa sua tara genetica facendosi riempire di spilli sotto un tendone da circo. Curiosità a parte, il dolore è composto da tre dimensioni: sensitiva, emotiva e cognitiva. Nel dolore acuto può esserci solo la componente sensitiva, quella che ci fa dire “ahi!” (quando si mette la mano su una caffettiera bollente, ad esempio). Ma nella maggior parte dei casi, anche la componente cognitiva ed emotiva hanno una grande peso. La lesione di un legamento per chi lavora al computer o per una ballerina ha dei risvolti diversi. L’esperienza fisica di dolore è uguale, ma nel secondo caso si colorerà di una valenza più cupa: come faccio adesso a danzare? Devo fermarmi con le prove? Ingrasserò nella mia forzata immobilità? L’immagine del trauma, nei due casi, ha un peso diverso e tanto più lo carichiamo del nostro “vissuto” tanto più il dolore sarà intenso.
Quanto conta il modo di vivere l’esperienza dolorosa?
Tantissimo. Pensiamo al post-operatorio di un intervento che viene vissuto in maniera diversa se si tratta del primo intervento in assoluto o di un’esperienza nota, magari per una recidiva. La percezione del dolore non è sempre uguale ma varia in base alla propria storia di malattia, ai racconti dei propri cari (la madre che riferisce alla figlia incinta del dolore indicibile delle doglie), alle spiegazioni ricevute o non ricevute dal medico curante, ai consigli degli amici, del farmacista o del forum a cui siamo iscritti. C’è, insomma, una narrazione del dolore che modifica la sua percezione, in base alla “foto” che viene scattata o che noi scattiamo in momenti diversi della nostra vita. Lo stesso mal di piedi può risultare insopportabile se camminiamo per strada con i tacchi alti e le scarpe a punta, o non essere avvertito se ci stiamo divertendo a una festa.
Che cosa deve fare chi soffre di malesseri cronici?
Deve capire che impatto ha sulla qualità della sua vita. Molte persone sono costrette a convivere con diverse forme di malessere che si protraggono nel tempo. Pensiamo a chi soffre di fibromialgia, di psoriasi, di colon irritabile, di lombalgia e cervicalgia per la presenza di discopatie, di emicrania, di dolori neuropatici (come la nevralgia del trigemino) o dovuti a forme artrosiche o reumatiche. Gli analgesici sono indispensabili nella fase acuta, ma poi occorre affrontare il problema in un’ottica nuova. Bisogna indagare sul fronte dell’infiammazione cronica di basso grado, controllare lo stress ossidativo e lo stato di acidosi dei tessuti. Tutti meccanismi che favoriscono anche un precoce invecchiamento dell’organismo: tant’è che dolore e chronoaging si influenzano reciprocamente. Rivedere la dieta, assumere integratori efficaci e fare un’adeguata attività motoria sono strumenti utilissimi nel controllo del dolore, da affiancare alle terapie tradizionali. Occorre, insomma, capire che non c’è solo la via farmacologica, ma diverse strade per ritrovare un benessere globale.
Quali sono gli errori più comuni nel modo di approcciarsi al dolore?
Non vivere nel presente, ma anticipare con ansia il dolore che verrà. E che verrà di sicuro, se siamo convinti che si presenterà. Faccio un esempio: è martedì e un’amica ti invita la domenica al cinema. Le rispondi che non andrai perché ti deve venire il ciclo mestruale e sai già che in quei giorni ti verrà una terribile emicrania. Molte donne, infatti, soffrono di cefalea catameniale, legata alle mestruazioni. Ma “sentire” il mal di testa ancora prima di viverlo è il miglior metodo per non liberarsene più. Alcune si preparano a vivere il weekend tra il divano e il letto, con il cachet a portata di mano, prognosticando crisi dolorose, nausea e fotofobia. L’esperto in terapia del dolore deve cercare di interrompere il circolo vizioso di false convinzioni, fare uscire la paziente dal loop in cui è precipitata. Occorre prospettarle la via d’uscita del benessere, renderla protagonista del percorso di guarigione, “distraendola” dal dolore. Distrarsi, prendere le distanze tra noi e il malessere è un passo fondamentale.
Lei fa ricorso anche all’ipnosi. Di che cosa si tratta?
L’ipnosi clinica è una terapia antistress e di controllo del dolore riconosciuta dalla comunità scientifica e dallo statunitense NHI (National Health Institute). Determina uno stato di coscienza modificata, indotto dalla voce e dalle parole del terapeuta verso il quale il paziente ha un’attenzione selettiva. Un po’ come quando si assiste al concerto della band preferita, con l’attenzione “rapita” dal palcoscenico. A fianco, possono anche sgranocchiare pop-corn ma non ce ne accorgiamo, concentrati come siamo sul sound. Questo stato di coscienza modificata, che produce anche un profondo rilassamento, consente di comunicare mediante un linguaggio metaforico (simboli, immagini, visualizzazioni) mentre il paziente scivola in una realtà interiore, pronta a sostituirsi a quella esterna. È come compiere un viaggio dentro sé stessi, indotto dalle suggestioni del terapeuta. L’importante è non fermarsi al benessere sperimentato durante la seduta, ma apprendere delle tecniche di autoipnosi da usare ogni volta che non si sta bene. In questo modo il paziente è in grado di richiamare alla mente le sensazioni che gli consentono di alzare la soglia del dolore e di sentirsi subito meglio.
Come terapia lei utilizza e consiglia anche l’agopuntura. Perché è efficace?
L’agopuntura è una pratica orientale, mutuata dalla medicina tradizionale cinese. Si fonda sul concetto che attraverso canali particolari, chiamati meridiani, scorre l’energia vitale. Il dolore rappresenta un disturbo nel fluire dell’energia corporea, ed è possibile ripristinare l’equilibrio con l’infissione di piccoli aghi, dislocati in punti precisi lungo i meridiani. Volendo, è possibile potenziare l’azione degli aghi con una piccola stimolazione elettrica: favorisce il rilascio di endorfine e di oppioidi endogeni all’interno dell’organismo, che fungono da antidolorifici naturali. Così si riducono i farmaci, non solo gli analgesici. Pensiamo a chi non dorme per il mal di schiena. Se va dal medico, gli prescriverà un sonnifero aggiungendo nuovi farmaci agli antidolorifici che sta già prendendo. Grazie a qualche seduta di agopuntura, invece, è possibile ottenere un buon riposo senza medicine. E ridurre anche quelle assunte come terapia sintomatica.
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Articolo pubblicato sul n. 6 di Starbene in edicola e nella app dal 18 maggio 2021