Corri a perdifiato e non dimagrisci? Oppure, vorresti muscoli d’acciaio ma il workout a base di squat e affondi si rivela sempre un fallimento? Il motivo potrebbe nascondersi nel tuo patrimonio genetico. Attenzione, non significa che hai qualcosa che non va: devi semplicemente cambiare allenamento.
Lo dice la sport-genomica, una disciplina a cavallo tra biologia molecolare e scienze motorie ancora in fase sperimentale, che partendo dalla fotografia del Dna, restituisce i tratti principali delle nostre attitudini sportive e consiglia come modulare training e alimentazione.
«È utile sia per i professionisti sia per chi cerca solo un po’ di benessere quotidiano», racconta Riccardo Longinari, preparatore atletico e ricercatore sportivo a Bergamo, che lavora con atleti come Fabrizio Donato, campione italiano plurimedagliato di salto triplo, e Antonella Palmisano, stella della marcia.
Un esame svela che atleta sei
Tutto ruota attorno a un test genetico eseguito tramite un prelievo di saliva. Un software si concentra su una ventina di geni correlati alla prestazione fisica, come l’Ace (enzima che regola la pressione sanguigna), l’Actn3 (detto il gene della forza, una proteina presente solo nelle fibre muscolari a rapida contrazione), il Ppara (regolatore del metabolismo energetico), il Vdr (recettore della vitamina D).
Quindi, per ciascuno di essi verifica se e quanti ne possediamo. «Ne deriva un quadro di sintesi diviso in due aree, una sportiva e l’altra alimentare», spiega Longinari. «La prima valuta chi è più predisposto alla resistenza o alla potenza. Vengono misurate la capacità aerobica intesa come livello di utilizzo dell’ossigeno sotto sforzo e la qualità della circolazione sanguigna, da cui dipendono il tempo di recupero e la propensione alle infiammazioni a carico di muscoli e tendini. La seconda, invece, si concentra su possibili intolleranze e carenze di vitamine».
Perché i consigli standard non funzionano
Il problema delle diete o dei programmi di allenamento tradizionali, come la classica scheda della palestra, è che restano standardizzati: «Devi perdere peso? Allora sotto con l’attività aerobica, quella che fa sudare. Vuoi forza? Giù con pesi e sollevamenti. Mentre a tavola carboidrati a mezzogiorno, proteine la sera e il menu è servito. Ma spesso i risultati non arrivano», puntualizza l’esperto.
È il caso di molte persone che desiderano perdere peso, senza riuscirci: «Quasi sempre seguono un allenamento sbilanciato verso l’aerobica. Ma se geneticamente sono più predisposte alla forza, è inutile che insistano troppo con corsa, cyclette o nuoto, anzi, rischiano di sforzare troppo il cuore. Potrebbero raggiungere il massimo dei risultati mescolando il lavoro aerobico, senza però arrivare alla frequenza cardiaca della corsa, alternato a macchinari e circuiti di carico ad alta intensità, così da esaltare le caratteristiche delle proprie fibre muscolari».
Anche la dieta va personalizzata: «Se il giorno dell’allenamento occorre assumere 2mila calorie, queste devono tradursi in energia immagazzinata. Ma se, per ipotesi, avessi intolleranze comuni come quella al glutine o al lattosio e basassi il mio pranzo su pasta e mozzarella, rischierei di bruciare metà del carico per sostenere una digestione faticosa», specifica Longinari.
Non è una formula magica
La sport-genomica può essere d’aiuto anche per i più giovani che praticano uno sport, ma senza facili illusioni: «Il test non serve a scovare il campione. Al massimo, può indirizzare un ragazzo verso le discipline in cui ha più probabilità di riuscire, a patto che gli piacciano. In più, serve a comprendere i propri limiti e ad accettarli, poiché con certe caratteristiche, più di tanto non si potrà dimagrire o diventare muscolosi. Non è una pozione miracolosa, ma solo un modo per ottenere il massimo del benessere», conclude l’esperto.
L'abbiamo provato per voi
Andrea Truzzi, giornalista di Starbene, ha 55 anni e da 20 gareggia a livello amatoriale sui 100 e i 200 m. Ha provato il test genetico per ottimizzare le sue performance: «Basta prelevare 2 tamponi di saliva e aspettare dopo qualche giorno i risultati. Nel mio caso, l’esame non ha rilevato intolleranze alimentari, ma mi ha permesso di calibrare meglio i training, dividendoli per il 60% verso le attività di potenza e per il 40% sugli allenamenti a basso impatto muscolare.
In più, ho aumentato del 50% i tempi di riposo. Il test ha evidenziato che ho un basso coefficiente di circolazione periferica: in pratica, il sangue ci mette più tempo a smaltire le tossine e, se lo sforzo ricomincia in anticipo, tendini e muscoli sono ancora affaticati, andando così incontro a eventuali infortuni».
Il test costa 299 €. Per saperne di più fai clic su silvanaliberti-2013.it.
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Articolo pubblicato nel n° 22 di Starbene in edicola dal 14 maggio 2019