Tempi duri per le emozioni. La contemporaneità ha dettato precise regole di un sentire schematico e selettivo, plasmato (ma non domato) dalla forza di volontà: diffidiamo, reprimiamo, nascondiamo invidia, gelosia, rimorso e qualsiasi altro sentimento spiacevole o sconveniente e, invece, esaltiamo tutto il catalogo della fotogenia emotiva, che ci vuole sempre sorridenti, estasiati ed entusiasti.
«Ma la vita non viene sempre bene in fotografia», esordisce la filosofa Ilaria Gaspari. «Ci sono delle cose che ci spettinano, ci scompigliano, non sono mostrabili. Solo che stiamo perdendo di vista questo rovescio della medaglia, che invece andrebbe ripensato e ricollocato al giusto posto». E visto e considerato che non è immaginabile e, quantomeno possibile, pensare di essere sempre al settimo cielo, la studiosa ha scritto il libro Vita segreta delle emozioni (Einaudi), per spingerci a ragionare che, volenti o nolenti, non ci sono emozioni di serie A o B ma tutte le emozioni vivono e prosperano dentro di noi, e che bisognerebbe “respirarle a pieni polmoni” per non fare sconti alla realtà.
Le emozioni hanno una loro logica?
Per la filosofia, le emozioni non sono un terreno di pura irrazionalità ma anche di ragionevolezza. In altri termini: hanno una forma conoscitiva, per quanto diversa da quella data dall’intelligenza. Lo dice anche Blaise Pascal, filosofo francese del ‘600: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”.
Eppure, tendiamo a dare poca importanza alle emozioni...
L’emozione affonda le sue radici nel più filosofico dei temi, cioè che l’essere umano è fatto sia di corpo sia di mente. Infatti, è una reazione anfibia, ovvero ambivalente: c’è una parte (completamente incontrollabile) che si manifesta nel fisico e un aspetto legato alla nostra interiorità, alla nostra storia personale e a quella con cui ci poniamo nel mondo. Le emozioni disegnano, perciò, il paesaggio della vita spirituale e sociale di ciascuno. Sono un ponte tra l’habitat interiore e l’ambiente esterno.
E pensare che tutti credono che siano solo fatti intimi. Perché?
Per ogni persona la meraviglia, l’odio, il desiderio, la gioia e la tristezza hanno un volto diverso, vogliono dire qualcosa di segreto, connesso all’esperienza personale che associa un ricordo, un profumo, una persona, un episodio a ciascuna di queste parole. Nel contempo, le emozioni le proviamo tutti. Ciò che proviene dalla nostra interiorità è un linguaggio universale: lo apprendiamo fin da neonati nel volto di chi ci accudisce, lo riconosciamo nelle espressioni altrui. È il discorso emotivo che ci mette in contatto con il mondo. Ci rende umani, nel senso di riconoscere che abbiamo tutti gli stessi bisogni.
Le emozioni hanno un aspetto comunicativo molto importante, quindi...
Sì, infatti nel momento in cui le scacciamo oppure proviamo a non ascoltarle non facciamo del bene. Né a noi né agli altri, poiché rinunciamo in partenza a un’occasione per conoscerci e conoscere il mondo più a fondo e in modo più veritiero. Sapere decifrare l’alfabeto dei sentimenti permette, infatti, di poter dire “io” (attraverso un percorso accidentato ma fascinoso) per poter essere in grado di pensare a un “noi”, per poterci aprire al resto dell’umanità.
Ogni vibrazione merita di essere ascoltata, per favorire una maggiore consapevolezza di vita?
Sì, anche e soprattutto quelle ritenute “tabù”. Gelosia e invidia, per iniziare: nella prima c’è il timore di essere sostituiti; nella seconda, c’è il disagio di non essere all’altezza di una persona (o di un contesto). Entrambe hanno a che fare con la percezione di noi stessi, con i nostri batticuori che qualcuno ci possa portare via l’amore, l’attenzione, la considerazione che da soli non riusciamo ad attribuirci. Ma forse, l’unico modo per evitare che ci consumino è riconoscerle, osservandole per quello che sono: una forma di insicurezza, un’insoddisfazione di noi stessi. Altrimenti, saremo condannati a vivere con l’idea di essere sempre sotto assedio, in perenne difesa da tutto e tutti. Mentre quanto è liberatorio dire: “Ho paura del mondo, ma la paura la posso affrontare! Accogliamo anche l’antipatia, che quasi sempre cerchiamo di respingere mostrandoci (a forza) disponibili, gentili, cordiali. Quando, in fondo, è un avvertimento, anche inconscio, dell’incompatibilità tra noialtri e certi individui. Se riconosciuta, con civiltà, è una forma di protezione da non sottovalutare.
Detto questo, soffocare certi turbamenti è una consolazione illusoria?
Esatto. È strumentale per mantenere la maschera che ci siamo dati, un po’ truffaldina però: a furia di metterle sotto il tappeto, certe emozioni ci tornano addosso in un’altra forma e ci costringeranno, bene o male, a farci i conti. L’esempio perfetto è l’ansia, un messaggio indifferenziato (senza oggetto) di preoccupazione dentro di noi. Sintomo che il corpo ci sta dicendo qualcosa a cui vogliamo sfuggire. Mentre sarebbe importante ascoltarlo, per autodefinire il nostro vissuto.
Ma non possiamo sempre dare libero sfogo a ciò che proviamo nel profondo…
Premesso che non possiamo precluderci o evitare le “emozioni cattive” perché su questo non abbiamo potere, impariamo a temperarci, tenendoci sempre qualcosa di segreto per noi. Se usciamo dal meccanismo dello sguardo pubblico, non urtiamo gli altri e coltiviamo un rapporto autentico con la nostra emotività. Ammettiamo che c’è, ma possiamo lavorarci sopra, smussarla per diventare la persona più simile a come si vorrebbe essere. Viva, aperta all’esperienza.
Cosa nella vita non dovrebbe mai mancare?
Il rimpianto, spia che non siamo onnipotenti rispetto a quello che abbiamo fatto. La felicità. Non è uno stato di euforia permanente, utopistico. Piuttosto è quella piacevolezza collegata alla ricerca di noi stessi, a un’esperienza di vita che ci appartenga. Il filo d’Arianna ce lo dà solo la lettura approfondita della nostra storia emotiva.
Nostalgia e rimpianto: i lati positivi
Nostalgia, rimpianto, rimorso, tutti dipendono dai limiti del nostro viaggio esistenziale. La nostalgia è legata alla fatica ad accettare il tempo che non tornerà più: prendiamola per com’è, un humus avvolgente, rassicurante ma sempre con una punta di disperazione, al punto che pensare di rifuggirla andando nei luoghi della memoria ci deluderà, e basta. Mentre il rimpianto è la celebrazione delle occasioni mancate, e il rimorso è la constatazione che abbiamo fatto tanti errori, più o meno volontari. «Moti del cuore che hanno un aspetto doloroso e nessuno lo nega, però sono indice che abbiamo vissuto», spiega Gaspari. E vivere, anche se non lo vorremmo, è una questione di obblighi e scelte, che escludono a priori la realizzazione di qualsiasi possibilità a nostra disposizione.
Fai la tua domanda ai nostri esperti
Articolo pubblicato sul n. 12 di Starbene in edicola e sulla app dal 16 novembre 2021