“Il navigare della vita è proprio diverso da come lo immaginiamo a tavolino: per quanto ci attrezziamo con mappe aggiornate, bussole o gps, capiterà sempre qualcosa che ci disorienta e ci costringe ad abbandonare per sempre, con la nostra barchetta sicura, i piccoli laghi tranquilli che credevamo fossero il mare”. La felice metafora è di Guido Marangoni, ingegnere informatico noto come “Il papà di Anna”, la bambina con sindrome di Down protagonista di una pagina facebook (Buone notizie secondo Anna), di un libro autobiografico (Anna che sorride alla pioggia) e di uno spettacolo teatrale (Siamo fatti di-versi, perché siamo poesia).
C’è sempre un altro orizzonte
Marangoni è un vero esperto di eventi inaspettati e di conseguenti cambi di rotta, e non solo perché ne ha vissuti in prima persona. Presentando in giro per l’Italia la sua esperienza di genitore, infatti, ha avuto modo di ascoltare le confidenze di altri individui in balia degli eventi e le ha raccolte nel volume Come stelle portate dal vento (Sperling & Kupfer, 16,90 €).
Il suo messaggio? «Spesso pensiamo di raggiungere le nostre mete e di vivere le nostre vite con percorsi precisi e prestabiliti. In realtà ogni viaggio, ogni scoperta e così ogni vita, sono pieni di errori che fanno parte del viaggio, della vita stessa. Certo, qualsiasi cosa sfugga al nostro controllo ci mette in crisi. Tuttavia, dietro a un brusco cambio di direzione o dopo una violenta tempesta, si nasconde sempre un altro orizzonte da esplorare».
Lo stesso invito alla speranza arriva da Manuel Bortuzzo, il giovane nuotatore che, è rimasto paralizzato dalla vita in giù in seguito a un’aggressione, e che ora sta lavorando per “ottimizzare” la sua nuova condizione. «Le disgrazie capitano e nessuno se le merita», constata l’atleta nel suo memoir Rinascere (Rizzoli, 17 €). «L’unico modo per far sì che non ci fottano la vita è non darla vinta alla sfiga. Bisogna essere più forti di lei, non c’è altra scelta».
Non uno stop, ma uno start
Le storie di Guido e di Manuel sono esempi di quel cambiamento che Richard Tedeschi e Lawrence Calhoun, psicologi dell’università del North Carolina, hanno chiamato “crescita post-traumatica”. Un ossimoro? «No», afferma Valentina Liuzzi, psicologa a Como e vicepresidente del Mippe, movimento italiano psicologia perinatale. «Se è vero che gli eventi traumatici, licenziamenti, divorzi, malattie, fanno piombare nello sconforto, è pure dimostrato che permettono di risollevarsi con nuove prospettive, a patto che ci si conceda la possibilità di riflettere sull’inatteso e di integrare il suo senso nella propria vita. Chi riesce ad attraversare questi due passaggi non torna certo alle condizioni “pre-tempesta”, in compenso prende contatto con il suo potere personale, si sente più pronto ad affrontare gli eventi e, spesso, osa maggiormente nella scoperta delle proprie risorse».
A ciascuno la sua svolta
Non è detto che, per possedere un potenziale evolutivo, l’inaspettato debba per forza essere negativo. «Anche i passaggi connessi al ciclo di vita, come un amore o il diventare genitori, rappresentano momenti che imprimono un cambio di direzione al nostro modo di vivere e di essere», spiega Liuzzi. «Lo stesso vale per le situazioni in cui ci apriamo a strade inedite perché i progetti nei quali avevamo investito si sono saturati. Per molti, poi, i cambi di rotta sono legati a un lavoro psicoterapeutico, sollecitato da alcuni fatti oppure scelto come percorso di crescita. La psicoterapia, infatti, modifica il modo di rapportarsi a se stessi e agli altri, a volte anche attraverso decisioni importanti».
Rimanere in contatto con se stessi
I punti di svolta, positivi o negativi, epici o intimi, sono dunque una variabile imprescindibile nella vita di ciascuno. Ma allora, qual è il presupposto per affrontarli bene? Coltivare il contatto con noi stessi. «Poterci fermare a riconoscere e legittimare la nostra esperienza interna e darci il permesso di sognare o di chiedere aiuto possono non solo salvarci la vita, ma cambiarne il corso. In questo modo, ci scegliamo noi l’esistenza. Nonostante, l’inatteso», chiosa la dottoressa Liuzzi.
3 livelli per ritrovarsi
«È nei momenti “no” che cresciamo e ci mettiamo in gioco», dice Barbara Marchica, counselor, che individua tre livelli di consapevolezza per accettare il nostro reale e trasformarlo. Eccoli.
- L’impatto (“Cosa mi sta succedendo?) Un evento inaspettato crea disorientamento, impotenza, solitudine, vulnerabilità. Emozioni sane e normali di fronte all’evento negativo, che diventano una bomba quando sono concomitanti.
- La decisione (“Come scelgo di stare in tutto ciò?”). Una volta preso atto della crisi, siamo inevitabilmente di fronte a una decisione, che nelle circostanze critiche viene estremizzata: vogliamo essere spettatori della nostra sofferenza o viverla da protagonisti? Se vale la seconda opzione, non subiamo il dispiacere, ma lo attraversiamo e lo trasformiamo.
- L’evoluzione (“Che cosa mi sta insegnando la vita ora?”).Avendo un ruolo attivo, possiamo capire che ogni fatto porta alla luce la nostra anima, a evolverci. Per arrivarci, serve un lavoro su di sé, con training personale e formazione (incontri individuali e di gruppo).
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Articolo pubblicato sul n. 50 di Starbene in edicola dal 26 novembre 2019