Pesce sì, ma sostenibile: quale preferire

Tra cambiamenti climatici ed eccessivo sfruttamento, i nostri mari sono sempre più poveri. Ecco come correre ai ripari, senza rinunciare ad alici, tonno e sardine



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Aumenta nelle diete ma diminuisce nei mari: a fronte di un aumento della richiesta di pesce a tavola, nei fondali si registra un calo degli stock ittici del 4% a livello globale, addirittura del 35% nei mari del Giappone e del Nord. Lo certifica uno studio pubblicato su Science che mette in evidenza gli impatti del cambiamento climatico sulle specie di pesci più importanti per il consumo alimentare: l’overfishing fa il resto.

E in Italia cosa succede? «Siamo all’ottavo posto in Europa per consumo di pesce, ne mangiamo in media 23 chili all’anno, quasi il doppio di 50 anni fa», avverte Giulia Prato, marine officer WWF Italia.

Ma visto che nel frattempo i mari si sono impoveriti, l’intero mercato del nostro pescato finisce ad aprile, per gli altri otto mesi mangiamo pesce importato e spesso pescato in maniera poco sostenibile. Come si è arrivati a questo?


Questione di ph (e inquinamento)

«Il mare ha una grossa capacità di sottrarre C02 e rilasciare ossigeno, ma l’eccesso di C02 che causa il cambiamento climatico sta modificando anche il ph delle acque, rendendole più acide e alterando il meccanismo di riproduzione dei pesci», spiega Silvio Greco, presidente del comitato scientifico di Slow Fish, l’evento organizzato ogni due anni a Genova da Slow Food per sensibilizzare consumatori e operatori del settore sui temi della pesca sostenibile (quest’anno sarà dal 9 al 12 maggio).

«A contribuire all’impoverimento è poi l’abbondanza di metalli pesanti e microplastiche dovuta all’inquinamento dei mari, e decenni di sfruttamento con metodi dannosi come la pesca a strascico che prende tutto, anche i pesci più piccoli e le specie non vendibili».


Le soluzioni ci sono

Per fortuna cominciano a diffondersi barche da pesca con sofisticate tecnologie che permettono di individuare e selezionare solo quello che effettivamente va pescato. Succede per esempio per la pesca di tonno e pesce spada nello stretto di Messina dove si usano le versioni moderne della feluca, imbarcazione con un’alta torre per l’avvistamento del pesce e una passerella per l’arpionaggio.

«Dal 2014 una serie di leggi e direttive europee hanno preso in considerazione anche la salute dell’habitat marino in tema di pesca», dice Giulia Prato. «A gennaio è scattato per esempio l’obbligo per i pescherecci di portare a terra tutto il pescato anziché ributtare in mare quello che non serve: per i pescatori è un problema stivare tutto questo pesce inutile. Conviene quindi adottare sistemi di pesca selettivi che è lo scopo della legge».


Cosa possiamo fare noi

In un settore affidato di fatto alla domanda del mercato a fare la differenza può essere proprio la richiesta dei consumatori.

«Mangiare sempre e solo gli stessi tipi di pesce spinge i pescatori e stressare solo determinate specie che vanno quindi in sofferenza», avverte Greco.

«Oltre a variare i consumi bisognerebbe poi preferire pesci con un ciclo di vita breve, come sardine e alici, perché quando vengono pescati si sono già riprodotti almeno una volta. Sbagliato poi scegliere i carnivori di allevamento come orate e spigole: vengono nutrite con mangimi e farine di pesce pescato spesso dragando i fondali. Via libera invece ai molluschi allevati che non hanno bisogno di mangimi».



Quote di salvataggio

Per ciascuno Stato della Ue è definita una quota di pescato per ciascuna specie. Il sistema ha permesso di ridurre in parte la pesca selvaggia nel Mediterraneo. Ma non è sufficiente, perché sul Mare nostrum si affacciano 22 Paesi e solo 7 sono comunitari.


Siti e certificazioni

Il Wwf ha avviato progetti per accompagnare i pescatori nella ricerca di metodi di pesca meno invasivi di quella a strascico che, nonostante rappresenti solo il 25% degli sbarchi totali, è responsabile di quasi il 60% degli scarti di pesce.

Sul sito pescesostenibile.wwf.it, oltre alle info sui progetti si trovano consigli per i consumatori: taglie minime, guide all’acquisto e ricette per esaltare i pesci più poveri.

Per il pesce lavorato dall’industria, invece, l’unica certezza di sostenibilità è data dalle certificazioni: le più comuni e importanti sono Friend of the sea e Marine Stewardship Council. Per il tonno in scatola è utile la classifica stilata ogni anno da Greenpeace (greenpeace.it/tonnointrappola).




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Articolo pubblicato sul n° 14 di Starbene in edicolca dal 19 marzo 2019

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